- Gilgamesh... Enkidu... Troppi nomi in una sola volta.

Lui ignora bellamente la mia lamentela. - Si racconta che Gilgamesh fosse un tipo speciale, per un terzo uomo e per due terzi dio e che, consapevole della propria straordinaria natura, governasse con protervia la sua città, Uruk.

- Dove si trova questa città?

- Dove si trova Uruk? Dove si trovava, vorrai dire. In un posto chiamato Babylonia, sulle sponde del fiume Euphrates. Iraq moderno, insomma, più o meno dove siamo adesso. La storia si colloca intorno all'anno duemilasettecento prima di Cristo... ma tu non puoi contare su riferimenti geografici o temporali, non ancora comunque, non sforzarti di stabilire cronologie. Errore mio. Tentativi di computare il tempo in base a calendari che non conosci finirebbero per confonderti ulteriormente.

- Infatti - confermo. E mento ancora. Per metà. Perché se di quanto va dicendo sulla posizione geografica della città non capisco molto e se non posso comprendere lo strano conteggio d'anni riferito a quel tale, Cristo, la città di Uruk e il nome Gilgamesh sono parte delle mie allucinazioni...

Alla fine del viaggio sta in piedi di fronte ai cancelli di Uruk

invitato da Urshanabi a guardare la grandezza di questa città,

i suoi muri alti, le sue torri, e qui alla base dei suoi cancelli,

affiorante dalle fondazioni dei muri, una pietra di lapislazzuli

sulla quale è scolpito il racconto di Gilgamesh e delle sue imprese

- Va bene, va bene - taglia corto il carceriere, sempre più spazientito. - Non importa se la tua mente non trova collegamenti chiari: importa che quanto vado a raccontare serva in qualche modo a stimolarti la mente, per spingerla a... a ritrovare, per dirla con Giobbe, il Luogo della Comprensione... Forse questo, più della pittura, potrà servire. Io comincio a essere stanco, quelli che rappresentiamo cominciano a essere stanchi.

- Chi sono quelli che rappresenti?

- Lascia perdere e ascolta. Dicevo di Gilgamesh... Pare che i cittadini di Uruk, esasperati dal comportamento di questo re, chiesero aiuto agli dei, che mandarono Enkidu, un sosia di Gilgamesh. Enkidu finì per essere adorato come re, e Gilgamesh ne divenne geloso. I due s'incontrarono e lottarono, ma dallo scontro nessuno dei due uscì vincitore, anzi, contrariamente all'intenzione degli dei, divennero amici e affrontarono insieme epiche imprese. Niente di tutto questo ti è familiare?

Affondo le mani nella ciotola e mi caccio in gola un pezzo di carne gocciolante. - No, niente. - E nel frattempo mi esplode nel cervello la visione del Luogo che in un tempo non collocabile visitai. O che forse visitò Gilgamesh. O Enkidu...

La Casa dove la quiete muore in oscurità totale

Dove loro bevono immondizia e mangiano pietra

Dove loro portano penne come uccelli

Dove nessuna luce mai invade la loro oscurità eterna

Dove la porta e la serratura sono coperte di polvere

La Casa di Polvere

Il carceriere strizza gli occhietti malefici e si volta di scatto, calcandosi con forza il copricapo floscio. - Continua a lavorare all'affresco! - Sibila minaccioso prima di lasciare la torre. La porta sbattuta mi riporta alla prigionia solitaria. Ascolto il rumore di ferraglia dei catenacci, mescolato alle invettive borbottate in una lingua che non conosco. Una lingua che non conosco? Perché, che lingua conosco? In che lingua mi esprimo? Alle volte la sento estranea, ho la sensazione che per qualche ragione non mi appartenga.