I sandali battono sugli scalini di legno: il calpestio si affievolisce e scema lungo l'enorme braccio d'edera che porta ai piedi della torre, quella scala spiraliforme che so esistere.

E io odio l'edera, e odio il rumore del catenaccio, e il tonfo dei sandali. E odio il carceriere. E se ammazzarlo non risolverebbe la situazione, forse c'è una cosa che posso fare per deludere definitivamente la sua intenzione di scandagliarmi il cervello, un gesto risolutivo. Sì, questa è una cosa che posso ancora fare.

Il sangue che colora la memoria.

Strano torpore.

Nausea. Schifo.

L'ultimo schifo dopo l'ultimo risveglio.

Oggi finisce.

Oggi mi sono ucciso.

Oggi.

Probabilmente, quando entrerà con la broda mi troverà già morto.

Sì, oggi mi sono ucciso.

Mi chiedo perché non ci ho pensato ieri, o ieri l'altro, o prima.

Quando mette dentro il brutto muso, mi trova morto.

Ah, vorrei esserci per vedere la sua faccia, per ridere della sua delusione.

Non è stato difficile, è bastato un briciolo di coraggio.

E una breve riflessione per scegliere il modo migliore.

Il modo, poco traumatico, quasi indolore: la ciotola di terracotta.

Il coccio spaccato contro le assi del giaciglio e la scheggia tagliente per incidere i polsi.

E il sangue che, quasi in un sospiro gioioso, si libera dalla costrizione dei piccoli canali che percorrono le braccia e colora il proprio cammino.

Torpore. Una forma insolita, diversa da quella provocata dalla sintetica.

Un intorpidimento piacevole, appagante, che meglio del liquido ambrato apre le porte del Luogo della Comprensione.

E io sono il Prigioniero della Torre e sono Gilgamesh e sono Enkidu. Di volta in volta, recuperando nelle visioni i ricordi...

Lui vide il Mistero grande, lui seppe l'Ignoto

Lui recuperò la conoscenza di tutti i tempi, il nemequ,

di fronte all'Inondazione.

Lui viaggiò oltre il distante,

Lui viaggiò fin dove il Mondo si esaurisce

E poi fece naru, intagliò la sua storia su pietra.

E la sonnolenza aumenta e il sangue fluisce lento, alimentando una pozzanghera ai piedi del giaciglio. Nel liquido che si fa denso, come in uno specchio purpureo, la memoria recupera vividezza, come un racconto scolpito sopra Tavolette di lapislazzuli. E, galleggiante sul mio sangue, il riflesso della città di Uruk, di Anu che crea un sosia selvatico affinché rivaleggi con Gilgamesh, di Shamat la meretrice del tempio, che procura sogni profetici. E ancora, nello specchio purpureo, rivivono i sogni della meteora e dell'ascia... Una duna liquida, nel rosso, replica l'uccisione del demone Humbaba, il Guardiano della Foresta del Cedro, e quando la duna sprofonda in un gorgo concavo, vedo emergere lo sguardo desideroso di sesso della dea Ishtar, sguardo che si trasforma in ghigno cattivo a causa del rifiuto...

Ishtar chiede ad Anu il Toro del Cielo

per distruggere Gilgamesh e la sua città,

Ogni volta che il Toro respira

il suo fiato è così potente

che abissi enormi si aprono nella terra

e a centinaia incontrano morte

E ancora, nei riflessi della pozzanghera che si allarga, la morte di Enkidu, punito dagli dei per l'uccisione di Humbaba e del Toro del Cielo...

In un sogno, un demone viene a prendere Enkidu

e lo trascina nella Casa di Polvere

dove tutto è già morto

e mentre muore lui stesso descrive Inferno

E io sono Enkidu che muore.

E io sono Gilgamesh che si consuma nel dolore, incommensurabile, per la morte di Enkidu. Poi il dolore è affievolito dal torpore che sta sublimandosi nello sfinimento.