La fantascienza ha immaginato da tempo qualcosa del genere. Per esempio, in due romanzi usciti in Italia nel 1955 (I giorni dell'atomo di Teldy Naïm, "Urania" n. 77; e Le stelle ci amano di Pierre Versins. "Urania" n. 103) si prevedeva nel futuro un'unica razza-specie: un umano di media altezza, colorito appena olivastro, occhi mandorlati. Svaniti dunque i pretesti per tensioni razziali? Macché (qui giocava l'ironia degli autori): quei nostri vivaci posteri erano pronti a scannarsi per altri generi di differenze, sia pure "minimissime"; a dimostrazione di quanto in realtà il razzismo sia una copertura di altri nodi, di timori più profondi.

Certo si svilupperanno nuove facoltà, altre andranno perse. Si abiteranno montagne, oceani, spazi interplanetari... Ma qui eccoci già nell'altro campo, quello cui si riferisce Cavalli-Sforza: "...a meno che l'uomo non avrà la follia di cambiarsi volontariamente"...

Prima di chiudere questo primo capitolo, accennerò alla teoria che, seppure estremamente minoritaria, al momento risulta - almeno mediaticamente - la maggiore antagonista dell'evoluzionismo darwiniano: il "fissismo", o "creazionismo" dei cattolici; secondo cui le specie (umana inclusa) sarebbero nate "bell'e pronte". La faccenda, già insostenibile di per sé, si complica maggiormente dal punto di vista logico con il "creazionismo evolutivo", che prevede comunque la possibilità di successive mutazioni in specie nate "bell'e pronte". Ciò perché la natura non sarebbe cieca, ma avrebbe un fine: la progressiva maturazione fisica e psichica dell'uomo, ad majorem Dei gloriam. Il che spiegherebbe anche l'apertura (per molti versi sorprendente) che, in epoca di continui revisionismi, papa Woytila qualche anno fa ebbe verso il darwinismo, teoria che in realtà fa letteralmente a pugni con il cristianesimo. Perché mi diffondo su questi argomenti? Semplice: perché siamo su una rivista di fantascienza, e ciò cui ho appena accennato è appunto finalizzato alla miglior lettura di un brevissimo racconto di Winston P. Sanders (pseudonimo di Poul Anderson) intitolato La barriera del tempo (su Pianeta n. 23, 1968), che si rifaceva a un vecchio ma sempre attuale rompicapo filosofico. Dunque: si costruisce una macchina del tempo, ma inspiegabilmente gli oggetti spediti nel passato non riescono ad andare indietro più di due anni e mezzo. Alla fine è appunto un filosofo a delineare una spiegazione per l'inventore: "Ecco l'enigma: come può lei provare che il cosmo intero non sia apparso e non sia stato creato al completo, con tutte le testimonianze d'una storia precedente, a una data arbitraria del passato? Diciamo per esempio... proprio due anni e mezzo fa?"

A titolo quasi di par condicio per questa storia (ma con finale altrettanto problematico), propongo L'uomo che si evolse, famoso racconto di Edmond Hamilton risalente al 1931, in cui si narravano i risultati di una macchina capace di procurare una evoluzione accelerata dell'individuo: "Ogni dose di raggi cosmici cui ci si sottopone, dovrebbe corrispondere a 50 milioni di anni di modificazioni evolutive" informa l'inventore, che decide di sperimentare su di sé il suo macchinario, assistito da un amico. E' costui che racconta l'evento: "Dopo il primo quarto d'ora la trasfigurazione è divina, il suo viso nei tratti perfetti ha l'impronta di un'immensa potenza intellettuale.... Altri 15 minuti: la testa diventa enorme, circa un metro di diametro, il cervello è telepatico, l'intelligenza illimitata! Quarta esposizione ai raggi: il tutto si trasforma in un cervello deambulante su due muscolosi tentacoli (...) Ultima mutazione: vedo ancora un grande cervello, immobile sul pavimento, sciogliersi in una massa gelatinosa, trasparente. E' il ritorno a un semplice protoplasma..."

Innumerevoli poi, negli anni della Guerra fredda, le storie in cui radiazioni atomiche causavano mutazioni: talora positive, come in Operazione Apocalisse di Lewis Padgett (BEM Mondadori n. 31, 1955), dove nasceva una nuova razza umana telepatica che entrava in conflitto con i "normali"; o in L'ultimo rifugio di Jimmy Guieu (Urania n. 166, 1957), in cui si assisteva alla nascita di un bimbo con la pelle azzurra, "apripista" di una nuova umanità a prova di raggi gamma. Più frequentemente però le mutazioni erano recessive o mostruose (la copertina di un mediocre romanzo francese dell'epoca, I paria dell'atomo, Urania n. 202 del 1959, credo sia eloquente a sufficienza...)