Altra desolazione è quella dei futuri remoti, dove troviamo un'unica entità che si presenta come estremo lembo in mezzo alla desolazione, solitamente una città o una torre. Queste però non costituiscono né un avamposto né un faro, quanto piuttosto l'ultimo rimasuglio di una civiltà ormai sterile, o in via di sterilizzazione, ripiegata su se stessa per difendersi dalla desolazione circostante. Il nostro pensiero corre quindi a romanzi come The City and the Stars (1956, tit. it. La città e le stelle, Editrice l'Unità, 1993), di Arthur C. Clarke o Beyond the Sealed World (12965, tit. it. L'agonia degli immortali, Libra Editrice, Bologna, 1975) di Rena Vale:

"Gli oceani si erano asciugati e il deserto si era impadronito di tutto il globo. Il vento e la pioggia avevano spianato le ultime montagne, e la Terra era troppo stanca per crearne di nuove. La città restava indifferente; se anche la Terra fosse andata in briciole, Diaspar avrebbe continuato a proteggere i figli dei suoi creatori, portandoli in salvo con i loro tesori lungo la corrente del Tempo. Essi avevano dimenticato molte cose, ma non lo sapevano. Erano stati adattati perfettamente all'ambiente, e questo a loro. Ciò che esisteva oltre i confini della città non li riguardava, poiché tutto ciò che non era Diaspar era stato annullato nelle loro menti. Diaspar era la sola cosa esistente, la sola di cui avevano bisogno, la sola che potevano immaginare. Non aveva nessuna importanza che un tempo l'Uomo avesse conquistato le stelle." (Clarke, op. cit)

Queste enclavi rappresentano l'estrema stagnazione, l'attesa della morte, di una morte che non giungerà forse mai perché Diaspar esiste dai milioni di anni. Da questo punto di vista, la Terra del futuro, somiglia al Marte della fantascienza. In particolare al pianeta rosso dei racconti di Leigh Brackett , un mondo desolato, morto, ripiegato nell'elegiaco ricordo di una passata civiltà. Il deserto viene visto quindi come la fine della carica vitale. Con il deserto inizia la devoluzione, o quanto meno una specie di stato di vita nella morte, in cui le cose. Le esistente si trascinano senza apparente sviluppo. Spesso Marte viene presentato come il futuro della Terra, un mondo morto, o geologicamente morente, dove la vita è possibile esclusivamente sotto le cupole: The Sands of Mars (1951, tit .it Le sabbie di Marte, Classici Fantascienza 7, Arnoldo Mondadori, Milano, 1977) di Clarke o Police your Planet 1953, tit .it Veglia sul tuo pianeta, Libra Editrice, Bologna, 1974) di Lester Del Rey. E' questo quello che attende il nostro pianeta? Qualche cupola qua e là, affondate nella desolazione? E' questo ciò a cui pensano i politici e i tecnocrati quando ci dicono che la tecnologia risolverà il problema?

Manuali di sopravvivenza

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Al tempo stesso però il deserto non rappresenta un mondo completamente morto, anche il più arido dei deserti offre delle possibilità di vita e diventa quindi il banco di prova dell'eroe. Certo non un eroe muscoloso alla Conan il barbaro, quanto un uomo attento all'ambiente in cui vive, molto più di quanto siamo abituati noi.

"Imparerai a conoscere le piane dei morti - gli aveva detto, - il più vuoto deserto, le terre aride in cui niente vive, eccettuati la spezia e il verme delle sabbie. Ti sporcherai di nero le palpebre per ridurre il barbaglio del sole. Un rifugio sarà soltanto un buco al riparo del vento e nascosto alla vista. Cavalcherai il deserto con i tuoi piedi, senza un ornitottero, un qualsiasi veicolo di terra o un animale sellato". (Dune).