Quando le radici: Gabriella Scialdone

Gabriella Scialdone afferma di essere nata sotto il segno del.....

Gabriella Scialdone: leggi la presentazione di Vittorio Catani

I.

Il mio corpo è fatto per il caldo.

A volte penso che potrei sciogliermi così, in questa luce compatta.

Amo la sabbia bianca, e il gran sole che c'è sull'isola, sempre.

* * *

Spesso si chiedono come fa ad essere sempre così sorridente e gentile, e credono - tutti - che il lavoro gli piaccia molto.

Ma non posso dire, il lavoro, di odiarlo. Forse all'inizio l'ho odiato perché pur nella sua complessità era sempre una macchina per uccidere. Ormai è diventato una serie di gesti di cui conosco il significato, come se li vedessi compiere da un altro in un film. Sarebbe stato meglio continuare a odiare. Ma è sempre così: odiare e amare, e poi l'odio e l'amore si spengono e tu ricominci a odiare e amare qualcos'altro, ma ogni volta conosci con esattezza maggiore quando, come e anche perché finirà. E allora le mie mani indagano tranquille e sicure nel grande ventre del computer, e mi lasciano il tempo di ascoltare in segreto i pensieri degli altri. Perché nessuno sa che io sento i pensieri (per un fatto a me così naturale, non voglio usare il difficile nome di telepatia). Forse se lo sapessero mi ucciderebbero. Perciò taccio. Eppure non ho paura di morire. Ma la violenza... non ne sopporto nemmeno l'idea.

In realtà quel che gli piace molto è guardare le sue mani che si muovono nel grembo della macchina, tranquille e sicure e (spesso pensa) come eleganti farfalle.

Mi hanno detto che c'è una guerra. E che, in un certo modo, anche io sto combattendo. Può darsi. Ma qui il cielo è azzurro come le piume di un uccello da leggenda.

Gli uomini e le donne della base, con le loro divise grigioverdi, hanno turni e sorveglianze e disciplina e controlli.

E io... io passo i giorni tra sabbia acqua e cielo; e quando mi vengono a chiamare - perché il Grande Computer ha qualcosa che non va, e qualcuno dei loro missili rischia di non uccidere abbastanza - sopportano anche i miei moti di noia e insofferenza, e mi dicono che anch'io sto combattendo, e credo proprio che lo dicano per farmi un piacere.

A volte, mentre osservo le tracce sempre nuove che l'onda lascia sulla sabbia, cerco di sentirmi colpevole, almeno un po'. Ma mi stanco subito, e preferisco pensare al mio paese laggiù nel Sud, dall'altra parte del mondo, e alla spiaggia, e a come fa caldo anche da noi d'estate.

Ci sono molti gabbiani alla baia, forse anche troppi. Ma mi fanno compagnia. Gioco con loro, gli tiro qualche pezzo di cracker. A volte gli parlo - a uno qualunque, faccio finta che sia sempre lo stesso. Ho cercato anche di prenderne qualcuno per legare un filo alla zampa e riconoscerlo, ma non ci sono mai riuscito.

Mi sono immerso, come al solito. L'acqua oggi era di un verde chiaro quasi giallognolo, e le alghe salivano dritte, venate di sangue. Mi sono seduto sulla sabbia, che sott'acqua diventa ancora più granulosa, e mi sono tolto il respiratore.

L'aria si consuma

dentro, e le alghe

sono tutte rosse

il mare è rosso

e il sangue

è un velo caldo sugli occhi,

il momento

per qualunque cosa

e per non pensare a niente.

Poi, con calma, mi sono rimesso il respiratore. E sono rimasto lì sul fondo, seduto immobile e tutto in me era verticale e saliva, come le alghe, ma non per arrivare in alto. Come le alghe.

II.

Da quasi una settimana ormai sono solo sull'isola. Senza rumori - cammino sempre scalzo - attraverso le baracche vuote, sabbia e caldo non riescono a impadronirsene del tutto.