Chi si aspettava che Hulk arrivasse nei cinema mondiali in un'orgia di pop corn, zainetti e pupazzetti avrà una bella sorpresa: oltre essere in assoluto un capolavoro, il film di Ang Lee è una pellicola destinata a un pubblico principalmente di ragazzi e di adulti, perché sono loro a potere cogliere in pieno la ricchezza narrativa della trama, le sfumature delle interpretazioni, i virtuosismi della regia e le citazioni cinematografiche e fumettistiche abilmente mescolate in un film in grado di coniugare la spiritualità del cinema psicologico legato agli eroi e - al tempo stesso - la dinamica spettacolare del genere d'azione.

Un film d'autore esaltato dai toni tragici su cui Lee è andato a costituire l'intarsio di una storia di ispirazione fantastica, carica di effetti speciali. Come nel mito greco di Prometeo, come nella storia del sacrificio di Isacco, come nella tragedia di Edipo, come in un raffinato dramma urbano, Hulk è il punto di arrivo e al tempo stesso di partenza di un viaggio personale alla conoscenza di se stessi, del proprio lato oscuro, che emerge in virtù di un passato volutamente rimosso, perché troppo doloroso da ricordare.

Tutto inizia nel 1966 con uno scienziato militare che si inietta - contravvenendo agli ordini - una sostanza chimica. Dopo un po' la moglie gli comunica di essere incinta. Pur tentando di capire quali danni abbia subito il DNA del suo bambino, il ricercatore è curioso: ha - finalmente - la possibilità di sperimentare sugli esseri umani le proprie teorie, nonostante i militari glielo abbiano proibito. Poi accade qualcosa di terribile e più di trent'anni dopo ritroviamo quel bambino diventato a sua volta un famoso scienziato che lavora con un'avvenente collega, figlia, ma guarda un po'..., del generale che ha contribuito a cambiargli (in peggio) la vita. Un incidente di laboratorio che dovrebbe ucciderlo, scatena in Bruce Banner una sconosciuta forza sopita. Una nemesi del passato con cui lo scienziato non può non fare i conti. Interpretato da Eric Bana, Jennifer Connelly e un Nick Nolte in stato di grazia al punto da meritare una possibile nomination all'Oscar, Hulk è girato visivamente come lo sviluppo in 3D di un fumetto: lo schermo è spesso diviso in più settori (split screen) e ad ogni cambio di scena c'è un rumore che ricorda tanto lo sfogliare delle pagine.

Tutt'altro che ironico, più dark e introspettivo rispetto a Spiderman e X Men, Hulk è più vicino alla sensibilità dei classici come La bella e la bestia che al glamour dei film sui supereroi. Esteticamente perfetto, in molti momenti di dialogo assume la dignità di un dramma teatrale, di una tragedia dai toni ancestrali in cui il presunto mostro (Hulk realizzato completamente in CGI nel film è alto circa quattro metri...) come Frankenstein viene cacciato e odiato da chi lo considera semplicemente un diverso. Ang Lee seguendo l'equilibrio della contaminazione, costruisce - dunque - un film notevole in cui Hulk compare dopo quasi una quarantina di minuti e in cui immettere il rimando ultimo ai temi principali della tragedia greca: il confronto tra padri e figli e il peccato di tracotanza dell'uomo nei confronti del divino, ovvero l'andare oltre i confini prestabiliti, per poi pagare le conseguenze di tanta presunzione.