racconto di

Giovanni Burgio

Elmo super otto Autovox

racconto vincitore del Premio Lovecraft 1997

Eccoci alla pubblicazione sulle pagine di Delos del racconto vincitore dell'ultima edizione del Premio Lovecraft. Giovanni Burgio sta vivendo un momento assolutamente magico, in quest'ultimo anno, e io ne sono personalmente felice, dato che lo considero uno dei nuovi autori più in gamba e in grado di sfornare ottimi racconti. Dopo la sua affermazione al Premio Courmayeur del 1997, Giovanni è stato da me inserito nell'antologia Mondadori "Strani Giorni" con il racconto "La strategia del branco", e adesso questa ulteriore affermazione al Premio Lovecraft non può che confermare quello che di buono sta facendo. Presto lo leggerete anche in una antologia sui vampiri a cura di Valerio Evangelisti per l'Editoriale Avvenimenti. (Franco Forte)

Mattia, che corre come un bolide con quelle scarpe da basket colorate e ingombranti.

Io, che gli sto dietro finché posso, con la mia corsa meno veloce ma resistente.

Mattia, come un razzo impazzito, che si molleggia saltando su e giù con quelle astronavi di gomma ai piedi.

Io invece assomiglio più a un treno: non ho fretta ma arrivo dove voglio. Ho imparato a dosare la mia energia, so aspettare. Ma alla fine arrivo, eccome se arrivo.

La mamma di Mattia, strilli e sgridate, faccia rossa anche se bella, corpo magro e bianco, con quei jeans stretti stretti che fanno assomigliarla a sua figlia.

La mia mamma, sorridente e apprensiva, che se arrivo tardi telefona a tutti quelli della zona, è felice se le dedico dei disegnini ed è più intelligente della maestra.

La mamma di Mattia sta urlando come una pazza, ma io non so rispondere. Le sue domande sono chiare, e lei le ripete a raffica come fa la maestra quando interroga uno che non spiaccica una parola, ma io non ho altre cose da dire, quello che so l'ho già ripetuto cento volte. Ho la testa vuota, la memoria va e viene come se fosse un'altalena, certe cose le ricordo ma altre no, e mi sento come quando faccio a gara a chi trattiene di più il respiro, e la testa diventa come un minestrone bollente e le orecchie come due bistecche. Ho del gran vuoto dentro, insomma. Come dice la maestra? Tabula rasa. O una roba simile.

Semplicemente, certi particolari non li ricordo, è inutile strillare tanto. Ma tanto lei, la mamma di Mattia, fa sempre così. Mia mamma è calma e mi difende educatamente ma con determinazione. Allarga le braccia come per dire: -- Cosa vuole, mio figlio non racconta balle... L'abbiamo abituato così... E' inutile urlare, signora... Cosa vuole che le dica... Guardi che si sistema tutto... Non siam mica nel Bronx...

E' come se tutto fosse successo ora, mentre sto parlando, con i miei ricordi che scorrono nel presente come un film impazzito.

Mattia, che non sta fermo un attimo e vorrebbe sempre andare su e giù e qua e là, trotterellando come un matto con le sue scarpe gigantesche che non so come faccia a portare.

-- Mattia, dacci un taglio.-- gli dico a volte. Ma lui niente. Parla e suda, suda e parla, e vieni con me, mi dice, e dai seguimi, e facciamo qui, e facciamo là, dai che ti porto da quelle mie amiche che baciano con la lingua. Limonano che dovresti sentire, mi dice sempre. Secondo lui dovrei anch'io limonare con la lingua, ma io non ho fretta. E poi con qualcuna mi sa che mi farebbe anche un po' schifo. Silvia Sarti invece me la limonerei dalla mattina alla sera, a occhi aperti anche, e la porterei in giro tutto il giorno nello stradellino vicino al canale, a raccogliere le pietre e i fiori e magari a giocare a luna o strega in alto. Le altre cose è come se fossero state nascoste in qualche scompartimento nascosto del mio cervello.

Io penso che bisogna dare retta alla mamma, soprattutto quando ci dice di non andare di là dal muretto. Che poi sia mia mamma o quella di Mattia, non importa, una mamma è sempre una mamma. Ma poi io e Mattia non resistiamo e andiamo di là lo stesso.

Il muretto, che è proprio dietro il mulino dove lavora mio nonno, è mezzo distrutto e pieno di scritte che non voglion dire niente. E' lì da molto tempo, l'han costruito prima che ci fossimo sia io e Mattia, che mia mamma e la sua. Da sempre, insomma. Chissà chi abitava in quel palazzo. Perché un palazzo, dietro il muretto, doveva pure esserci, si vedono la pianta, i pavimenti, i marmi e tutto il resto. Mio nonno dice che se andiamo di là dal muretto, dobbiamo stare attenti ai topi, perché lui ne ha visti di grandi come gatti, che nuotavan come pesci nel canale vicino. Dice proprio così: -- I' nudeven cumpagna di pas. Sta'atent a chi pungaz.

Infatti io e Mattia quando andiamo da quelle parti ci mettiamo i pantaloni lunghi. Gli Indian Rifle, per la precisione.

A proposito delle frasi del nonno, la maestra non vuole che parliamo in dialetto in classe e allora io lascio stare. Anche perché mia mamma mi ha detto che devo ubbidire alla maestra. Comunque, anche Indian Rifle non è una parola in italiano, ma quella si può dire. Va' a capirle, le maestre.

-- Ti porto in un posto, da farti cagar sotto.-- mi aveva detto Mattia quella volta.

-- Ma va' -- gli avevo risposto. -- E dove?

-- Di là dal muretto, sotto terra, ho trovato un punto che se sollevi un lastrone di marmo, puoi scendere.

-- Sotto terra? -- avevo chiesto io. E lui aveva fatto -- sì -- con la testa, guardandomi con quella faccia da furbo.

-- Proprio sotto terra? -- avevo ripetuto.

-- Ti giuro di sì -- mi aveva risposto lui. -- E' pieno di gallerie che sembran dei bigatti dal gran che son lunghe.

-- Mio nonno mi parla sempre dei rifugi della guerra... Sta' a vedere...

-- Ce ne sono un fracco, di gallerie. Ma ne ho scoperta una che finisce in una specie di muro. Sotto 'sto muro c'è una botola. Dalla botola partono delle scale. Sono sceso e ho trovato una specie di cantina. Ci sono sei o sette stanze. Una è aperta, perché l'uscio ha un piccolo spiraglio. Un buio della madonna, là dentro, per fortuna che avevo la pila.

-- Sei entrato?

-- Da solo mi cago sotto. Se tu vieni con me, è un'altra cosa. In due ci si difende meglio.

-- Ci si difende da chi?

-- E' un modo di dire.

-- Da chi cazzo ci dobbiamo difendere?

-- Allora, vieni o no?

-- Va bè...

-- Non si dice niente a nessuno.

-- A nessuno.

-- Neanche a tua madre.

-- Neanche a lei.

-- Giura.

-- Giuro.

Mattia corre come un matto. E io dietro, a seguirlo, sporcandomi della polvere che lui alza con quelle sue scarpe enormi. Si aspetta il momento buono e poi si scavalca il muretto. E' facile perché c'è un punto pieno di fessure dove i mattoni sono tutti sconnessi. Quando atterri sembra di essere in un altro mondo. E' una sterpaglia piena di macerie, mucchi di sabbia e piante spinose, e se non avessi gli Indian Rifle mi farei degli sgorbi nelle gambe da sanguinare per un'ora.

Cosa c'è di là dal muretto? Sassi, sporco e roba rotta. E poi ruderi, selciati mezzi rotti, qualche vecchio cartello arrugginito.

Le cose dietro il muretto si sono rivelate molte diverse da come le immaginavamo prima. E quella parte di mondo, così normale e insulsa, non è poi tanto speciale come ce l'aspettavamo. Cosa c'è di tanto emozionante, allora, nello scavalcare quei quattro sassi mezzi rotti e catapultarsi di là? Mah, forse la consapevolezza di aver fatto qualcosa di vietato.

Il posto è talmente grande che non si vedono i confini. E poi è pieno di alberi, alti e frondosi, disposti sul perimetro intorno al muretto.

Sudore, polvere, odore di piante strane, la ghiaia che frigge sotto i piedi, io sempre dietro a Mattia, che sembra un lampo dal gran che corre. Io sto attento, corro sì, ma tranquillo, perché se cado mi sbrago dappertutto e rischio il tetano.

Il tetano viene se ti tagli e sanguini e ti sporchi con la terra.

Alt. Mattia che inchioda come una bicicletta. Si alza un polverone. Anch'io mi fermo. Il posto è talmente grande, che ti puoi perdere come ridere.

-- Cazzo fai, Mattia, -- mi verrebbe voglia di dire, -- sarebbe meglio tornare, giusto per essere più vicini al punto del muretto dove si scavalca, 'che se capita qualcosa siam subito lì, mio nonno mi ha detto che ci son dei topi che sembran dei gatti...

Ma poi sto zitto, tanto quello non mi ascolta neanche.

Mattia ora è fermo come un setter che punta. -- La lastra è qui, la vedi? -- mi dice.

-- Per vederla, la vedo. Siamo lontani dal punto dove siamo entrati.

-- E allora?

-- Ci son dei topi come dei cani, anzi no, dei gatti.

-- Cosa dici?

-- I gatti... Anzi no, i topi.

-- Vieni giù, patacca, te la fai sotto eh?

-- Va be', ma tu va' piano...

-- Tu seguimi, ci penso io.

-- Va' piano, che se cadiamo ci può venire il tetano.

-- Pesa come un mulo, 'sta lastra... Cazzo, aiutami.

-- Non saprei neanche tornarci in 'sto punto, correvi come un matto e io non riuscivo a guardare le cose intorno.

-- Ma cosa vuoi guardare?

Il tetano viene se ti tagli o ti sbucci senza disinfettarti. Matematico. Non è necessario che il sangue venga giù a fiotti, fasta una ferita piccola, la pelle sbrindellata e un po' di sporco o terra sopra, che sei fritto. Quindi fare attenzione a non cadere. Basta stare attento, correre piano, non sfregare le gambe sui muri altrimenti, se sanguini, chi te lo da' l'alcol per disinfettarti?

Mattia non mi ascolta e si muove a scatti come una lucertola. Ride. E scende. Io sempre dietro. Il tetano. Basta sanguinare un po' e i germi t'ammazzano come un maiale. Fare piano. Gallerie e gallerie. Odore di funghi. Umido. L'acqua sembra andar su per il naso. I germi t'ammazzano come un maiale. Le nostre pile che illuminano a chiazze i muri. Dovevamo portarci dietro l'alcol. Me lo dice sempre mio nonno, se ti tagli non è un problema, basta avere l'alcol o l'acqua ossigenata. Odore di puzza. Buio.

-- Se finiam le pile siam nella merda -- gli dico.

-- Ma sta' zitto, patacca -- risponde lui.

Mattia imbocca la galleria giusta, lo capisco da come borbotta. Più in fondo, dopo un po' di metri, il muro. Sotto, la botola. E poi le scale, che ti fanno venire freddo solo a guardarle e ti portano nella pancia dei sotterranei. Entriamo in uno scantinato e finalmente la vedo.

La porta.

Quella leggermente aperta, s'intende. Cristo, c'è davvero.

Mattia ride.

Quanta strada avremo fatto? Molta. A fare tutto in fretta non ti rendi conto di come passa il tempo, che scorre via a tua insaputa, slittando come una biscia fra le sterpaglie. E noi, a correre per 'sti corridoi... No, anzi, gallerie.

Quante ce ne sono, Mattia? E poi sarem capaci di tornare indietro?

Mattia che ride. Io che ansimo. Aveva ragione mio nonno. I rifugi, la guerra, i bombardamenti, mia mamma, piccolina, che piangeva sotto le bombe e mia nonna con quella statuina della Madonna che aveva trovato sotto le macerie. L'ha ancora, quella Madonnina. E poi non so perché mi vengono in mente queste cose, ma qui sotto si pensa proprio bene, si è attenti a tutto, il cervello funziona da dio, e si è pronti a scattare a una minima mossa. Forse è il fresco che c'è qui a farti stare così...

Arrivo sempre dopo, io. La colpa è di Mattia che corre come un matto con quelle scarpe di gomma che sembran due canotti.

La porta è aperta.

-- Guarda qui -- dice Mattia da dentro.

E' già entrato, quel coglione.

-- Cosa? -- faccio io.

-- Guarda qui -- mi ripete.

-- Cosa c'è?

-- Entra, cazzo.

Prima la pila, poi i miei occhi. Non si sa mai. La cosa che mi fa più paura è il tetano. Poi vengono i delinquenti, quelli con i coltelli.

Guardo.

Una cantina, troppo normale per essere vera. Venir fin qui per vedere una cantina. Solo muri e odore di puzza, con quell'acqua che si arrampica su per il naso.

Mattia ha gli occhi sbarrati come il bidello della nostra scuola, quel balordo col naso rosso, il bidello che puzza di vino rosso e tocca sempre il culo a tutte. Ha gli occhi proprio come lui, come due palle di vetro incandescenti e guarda quella cosa come se non l'avesse mai vista. Oddio, non c'è niente di strano in quella cosa, soltanto che non mi sarei aspettavo di vederla qui.

-- Guarda la marca -- gli dico.

-- La marca di cosa?

-- Dell'aggeggio lì davanti.

-- Adesso la guardo.

-- Ti ho detto di guardar la marca.

-- Calma, calma...

-- Allora?

-- Elmo super otto, Autovox.

-- Come?

-- Te l'ho detto. Elmo super otto, Autovox.

-- Mio padre ne ha uno. Serve per le filmine. Vengon da dio.

-- Cosa ci fa qui? -- chiede Mattia.

Se sapessi rispondere a tutto, avrei dieci in matematica, in storia, in geografia e potrei smettere di andare a scuola. Passerei il tempo a limonare Silvia Sarti, a guardare le partire del Bologna e mi potrei vedere diecimila volte i gol di Pascutti.

Se fossi qui con noi, Silvia.

Mattia si avvicina. E' proprio allora che lui risponde. Sì, risponde. Intendo l'aggeggio per le filmine. Risponde. Niente cavo, niente prese, niente corrente, niente di niente, ma lui risponde. Almeno penso che sia la sua risposta, come può essere quella di un proiettore di filmine.

Frrr. Tatatatata. Frrr. Tatatatata.

Si accende, insomma. E' come se Mattia sia entrato nel suo raggio e lui si sia acceso. Inizia a muoversi, a filmare come se qualcuno abbia acceso la corrente. Mattia fa due occhi che si illuminano di bianco, inizia a tremare. Si contorce. Mi vuole dire qualcosa, ma non ci riesce. Forse non sta bene, sarà il freddo. E lui, intendo l'aggeggio, col suo frrr, tatatata, frrr, tatatata.

Fin qui per delle filmine, che roba assurda. Potevamo vederle a casa mia e non avremmo rischiato di prenderci il tetano. Se non hai l'alcol, puoi rimediare leccando la ferita con la saliva: se sei fortunato non te lo becchi. Mio nonno non dice le balle.

Frrr, tatatata. Si accende e filma, filma e si accende, frrr, tatatata, con un cono di luce che parte da Mattia, entra nell'aggeggio e finisce sul muro di fronte.

Filma e si accende.

Che scherzo mi hai fatto, Mattia? Ci sei tu, proiettato sul muro, tu che stai correndo in spiaggia con tua madre, che spegni la torta con le candeline. Mi racconti la tua vita, Mattia. La filmina è bella, sta andando che è una bellezza, con la tua vita che scorre come un treno sui binari del tempo, il tempo che slitta come una biscia mentre noi non ce ne accorgiamo neppure; e tu sei felice, si vede dai sorrisi e dai salti che fai. Ti muovi sempre come un matto anche nella filmina, Mattia, non stai mai fermo neanche lì, una lucertola ubriaca che schizza di qua e di là. L'aggeggio fa uscire quel cono di luce e di immagini, le tue, e le proietta senza un ordine ben preciso, con una sequenza caotica, come se la tua vita si potesse proiettare come una comica di Stanlio e Ollio accelerata, con quel fruscio fastidioso, frrr, tatatata, frrr, tatatata.

Tu al mare, in piscina, in montagna, con la zia, quella rossa che si mette sempre in minigonna, tu alla prima comunione, mentre stai giocando con la sorellina.

Tu. Le tue immagini, la tua vita. Guardo i tuoi occhi, Mattia, che non ci sono più. Ma forse è solo l'effetto luminoso che li rende gelatinosi come due biglie di marmellata. Ti cade la pila e sparisci, inghiottito dal buio; tranne gli occhi, che brillano come lucciole nel buio.

Ti illumino con la mia torcia: sei sempre immobile, lì di fronte.

Elmo super otto, Autovox, è l'unica cosa che mi ricordo bene. Nessuno crede che sia un particolare importante. Elmo super otto, Autovox. Era proprio quella, la marca.

Mattia, che si muove sempre come un forsennato, che corre così forte che non gli sta dietro nessuno. Ora è immobile e io sto vedendo la sua vita.

Mi hai portato fin qui, Mattia, per vedere 'ste filmine, e non la capisco proprio, questa storia. In un posto con un odore di puzza. L'aria sembra acqua e i muri caverne. Io, tu e le filmine. Che l'aggeggio proietta sul muro umido. Come cazzo funziona se non c'è una spina, la corrente e tutto il resto?

Il tempo passa e la filmina sembra una vecchia comica, veloce come l'acqua del canale dietro al mulino di mio nonno, con quelle immagini della tua vita rapide ed evanescenti.

Ma tu dove sei, Mattia, di fronte a me o proiettato sul muro?

E se mi avvicinassi a te, Mattia, giusto un po' per sentire come stai, per capire perché non parli più, tu che non stai mai zitto e fermo.

Mattia è immobile, con quegli occhi strampalati come il bidello. Adesso sta vomitando, come quella volta che abbiamo mangiato troppi rusticani e dopo abbiamo fatto il bagno nel canale. L'acqua era fredda.

Mi avvicino a Mattia. Sta sanguinando.

-- Non stare così impalato -- penso io. -- La filmina non è male ma dovresti dirmi perché mi hai portato fin qui per vederla...

Frrr, tatatata.

Niente cavi, niente corrente, niente di niente. Un passo, due passi, sono anch'io vicino all'aggeggio. Elmo super otto, Autovox, proprio come quello di mio padre. Mi ha filmato al mare e si vedono le tende di Riccione con le ragazze che prendono il sole. Mia madre si è un po' incazzata perché non c'era bisogno di riprendere quelle bionde così grandi e ben riempite. E mio nonno ride e guarda le ragazze. Io corro in spiaggia, felice come una pasqua, alzando la sabbia come una ruspa, allontanandomi sempre di più da chi mi sta filmando, ma anche da te, Mattia, che in questo momento non so più cosa stai facendo.

Dove sei? Io sono vicino all'aggeggio, l'Elmo super otto, e lo sento molto bene, ora. Ma io non ho fretta, penso sempre bene prima di fare una cosa, ci ragiono su e quando una faccenda non mi convince, via, gambe in spalla e correre, stando attento a non cadere. C'è il tetano, non sono deficiente.

Dei topi grandi come dei gatti, che nuotano in acqua. Bella questa. Ma mio nonno non dice le balle. I rifugi del tempo di guerra, queste gallerie che sembrano dei tubi di terra e puzza. Li ho trovati, nonno.

-- Sentivi dei botti, durante i bombardamenti, che te li sognavi per tutta la vita -- dice sempre la nonna. Mia mamma, che era piccola, piangeva come un cagnolino, e piangeva, piangeva, col nonno che arrivava dal lavoro in bicicletta...

Dove sei, Mattia? Dimmelo subito perché sento che non posso restare qui per molto tempo. Io ci penso, prima di fare una cosa. Però adesso bisogna decidere tutto in un attimo, essere veloci come il respiro, altrimenti potrebbe non rimanere più tempo per salvarci. Come il tetano.

Per un attimo mi sono visto anch'io, sul muro di fronte, proprio quando sono passato vicino all'aggeggio. Intendo l'Elmo super otto. Eppure non ho portato le mie filmine. C'è qualcosa di strano. Eppure mi sono visto al mare, mentre corro col pallone e cerco di essere come Pascutti. Pascutti fa gol di testa e di piede, si tuffa in mezzo ai difensori, è pelato ma è bravo. E' il più grande. E' meglio anche di Mazzola. Ma io non ho portato nessuna mia filmina e se l'aggeggio mi fa vedere 'ste robe...

Io corro meno forte di Mattia, ma sono paziente e regolare come un treno. Se decido di fermarmi, mi fermo. Se decido di saltare, salto. Saltare, stando attento al tetano.

E' meglio allontanarsi dall'aggeggio, Mattia, ora lo faccio io per farti vedere come si fa, basta fare un salto, cazzo, non ci vuole niente, così scompare la mia filmina dal muro e sto meglio.

Saltare, stando attento a non cadere.

La filmina sparisce, portandosi dietro pezzi della mia vita. Ma io non voglio morire del tutto. So come salvarmi. Basta fare un salto.

Adesso vado su e mi tuffo dalle nostre parti, così tu poi mi raggiungi, e dopo ne parliamo con calma all'aperto, dove il mondo fa odore d'aria e ci sono le strade al posto delle gallerie.

Cadere uguale a ferita. Ferita uguale a tetano. Niente alcol. Hai visto, ora non sono più proiettato sul muro, ci sono stato anch'io per un attimo ma adesso è finita.

Mi hai sentito, Mattia?

Correre, correre ma senza esagerare.

Frrr, tatatata.

La marca dell'aggeggio è una delle poche cose che mi ricordo bene: Elmo super otto, Autovox. Il posto è di là dal muretto. Però non chiedetemi come ci si arrivi. La lastra da sollevare per scendere è in un punto che non ricordo. E quello che è avvenuto dopo in quella specie di cantina è in una parte del mio cervello che faccio fatica a ripescare.

Mattia, sua madre che sbraita, i topi che sembran dei gatti, quei corridoi di terra e umido, l'aggeggio che filma e si accende, mia madre che mi difende: sembra tutto successo nello stesso momento, ma non capisco se adesso o quella volta. Penso comunque che non cambi niente. Faccio una gran confusione, insomma, e non riesco più a distinguere il tempo passato dal presente. E quello fugge in silenzio a nostra insaputa, intanto, è bastardo come un serpente. Lo dice sempre mio nonno.

Certe cose che erano nella mia testa, non so più dove siano andate: spero di ritrovarle, prima o poi.

Mi ricordo quelle luci, le filmine, ma non quello che è avvenuto dopo. Una cosa ho in mente, però, ed è un ricordo che difficilmente mi toglierò dalla testa: Elmo super otto, Autovox, e le parole sono stampate come scritte luminose su una lavagna nera.

Mattia di sicuro se l'è cavata. Quando corre non gli sta dietro neanche una moto. E poi bastava fare un salto....

La mamma di Mattia urla, sbraita e mi chiede centomila volte la stessa cosa. Ma io non mi ricordo il punto da dove si va giù. Non me lo ricordo proprio. Per fortuna che mia madre mi difende. E quando ho detto che siamo andati in giro per le gallerie sotto il mulino, attraverso i rifugi del tempo di guerra, e che abbiamo fatto chilometri su chilometri in quelle budella di muri, terra e puzza, nessuno ci ha creduto. Tranne mio nonno, che quella zona la conosce. Dei topi come dei cani, anzi no, dei gatti. E nuotan come dei pesci. Elmo super otto, Autovox.

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