Englischer Garten, Monaco

L’Englischer Garten attraversava Monaco come una gigantesca arteria verde. Quella creatura vegetale era germogliata e aveva invaso la città, fagocitando il cemento ed esplodendo in maniera inarrestabile, come una metastasi vegetale. La clorofilla, in quella parte della città, era la forma di vita predominante.  Poco lontano da quella chiazza smeraldina si estendeva, come un’interferenza inorganica, un reticolo regolare di strade, che a quell’ora del giorno ricordava un circuito elettrico fosforescente. 

Le strade di Monaco.

La moto entrò nella parte del parco adiacente a Koning Strasse. Dopo qualche centinaio di metri abbandonò la strada asfaltata e si diresse verso il cuore dell’Englischer Garten. Attraversò un grande prato, lasciando un solco rettilineo sulla terra. Poi si fermò.

Gunther avvicinò la mano destra sul cruscotto e girò la chiave. La moto si spense, borbottando con un grido strozzato. 

Isolde, con un movimento elegante, scese dal sedile posteriore. Atterrò sul prato umido con un rumore soffice; poi, bruscamente, si tolse il casco e si sciolse i capelli. 

L’odore di legna umida, mescolandosi al profumo del muschio, generava un aroma acido che ricordava la decomposizione organica. 

Un rapace cacciò un grido innaturale, che squarciò la calma apparente della foresta e si spense fra le betulle e i faggi. 

Poi ci fu il silenzio. Che non durò molto.

– Hai sentito? – chiese Gunther alzando la testa come un animale spaventato. 

– Sì – rispose Isolde, girandosi verso di lui.

– Cos’era?

– Non conosci il verso della civetta? – precisò lei, sistemandosi il casco fra il fianco destro e il braccio. 

– Sono nato in città. 

– Allora? 

– Ho più esperienza con gli avvoltoi…

– Avrai fatto le scuole elementari – lo interruppe Isolde. – Non ti hanno insegnato un po’ di scienze?

– Hai voglia di litigare?

– Sì. 

– Cristo santo…

– Mi avevi detto che sarebbe stata una cosa tranquilla. Vaffanculo. Hai attirato tutta la polizia della città...

– Smettila. Ce l’abbiamo fatta o no?

Isolde fece due passi, portandosi di fronte a lui con un gesto di sfida. 

– Cosa? – incalzò con voce grintosa. – Ci troviamo di notte in questo posto assurdo, in compagnia di una moto rubata e con la polizia alle calcagna. Ah, dimenticavo la sparatoria col poliziotto. E mi vieni a dire che va tutto bene? Hai toccato il fondo, non avevi mai fatto una cosa simile! – Isolde lasciò cadere il casco e si coprì la faccia con le mani. Le sue imprecazioni si persero nel silenzio opprimente del parco, fino a estinguersi. 

– Smettila, ragazzina isterica – rispose Gunther.

– L’hai ammazzato, porca puttana, l’hai ammazzato – incalzò Isolde.

– Ti dico di no,  l’ho solo ferito. Ho mirato in basso, sotto il giubbotto antiproiettile.  

– E dove l’hai preso?

– A una gamba. Quello sta meglio di noi.

– E ora cosa pensi di fare?

– Che la Gnädigste sparisca e ci lasci in pace. Dormiremo qui. Domattina arriverai a casa, ti farai un bel bagno e quando avrai fatto colazione…

Isolde si girò di scatto. – Hai sentito? – lo interruppe lei, distratta da un rumore che aveva interrotto il silenzio che regnava nel parco.

– Sì. Anzi…no.  Mi fai innervosire, Isolde, non riesco a concentrarmi…

– Era un urlo.

– Forse era il grido di quella... 

– Quella cazzo di cosa non era una civetta…