Il 26 settembre del 2001 debuttava negli Stati Uniti Star Trek: Enterprise (per la prime due stagioni semplicemente Enterprise), la sesta serie televisiva del famoso franchise e l’ultima prima di una lunga pausa durata fino al 2017. Pochi giorni dopo – il 7 ottobre – sarebbe iniziata l’operazione “Enduring Freedom”, la risposta armata degli Stati Uniti e dei suoi alleati all’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre.

Mentre l’equipaggio dell’Enterprise muoveva i primi passi nello spazio (la serie era un prequel ambientato circa un secolo prima delle avventure del capitano Kirk e compagni), animato, come sempre, dal desiderio di conoscere ed esplorare, nel mondo reale vivevamo la guerra senza quartiere al terrorismo e il brusco risveglio da quella pia illusione che, con la fine della Guerra Fredda, fosse tutto risolto.

Perché accostare queste due cose all’apparenza così distanti?

Perché, per gli appassionati di fantascienza e scrittura, Star Trek: Enterprise è l’equivalente di un buco nero per gli astrofisici, un punto di incontro tra realtà e fantasia capace di generare una forza di gravità a cui è impossibile sfuggire.

Questi sono i viaggi…

La prima stagione di Star Trek: Enterprise andò male per varie ragioni: il franchise era già in fase calante, c’erano divergenze creative all’interno del team di produzione e l’idea di un prequel non entusiasmava i fan. I dirigenti della Paramount però individuarono nello scollamento dalla realtà il motivo principale della scarsa attenzione del pubblico alla serie e chiesero agli sceneggiatori più azione e più emozioni. Così, oppure tutti a casa.

La risposta fu una seconda stagione altalenante conclusa, forse, nel peggiore dei modi possibili con l’episodio “Attacco alla Terra”: una razza aliena sconosciuta, senza ragione apparente, attacca con un ordigno devastante la Terra causando sette milioni di morti. Come reazione la Flotta Stellare invia l’Enterprise a investigare sui misteriosi assalitori alla ricerca di risposte e forse anche di vendetta.

Il prezzo da pagare

È molto interessante osservare a posteriori la reazione del mondo dell’intrattenimento televisivo americano agli attentati terroristici dell’11 settembre. Per la prima volta da Pearl Harbour un nemico portava morte sul suolo americano ma, in questo caso, si trattava di un nemico senza volto, nascosto tra la gente comune, integrato magari senza grossi problemi nella società americana oppure da qualche parte in zone misteriose del pianeta.

I primi a essere guardati con sospetto furono i musulmani perché condividevano la stessa fede degli attentatori e poco importava se la comunità musulmana era numerosa e bene integrata negli Stati Uniti. Il passo dalla discriminazione su base religiosa a quello su base raziale fu brevissimo. Questo succedeva in tutto l’Occidente ma tra le stelle cosa succedeva?

L’equipaggio dell’Enterprise, tra i cui membri c’erano parenti di vittime dell’attentato alla Terra, si domandava se fosse saggio considerare gli alieni con tanta benevolenza. Sì, bisognava trovare i mandanti, ben nascosti in una regione remota e inesplorata dell’universo, e, una volta trovati, decidere cosa farne di loro: cercare una mediazione e una soluzione pacifica al conflitto, oppure scatenare una violenta ritorsione?

Questo genere di dilemmi sono sempre stati alla base della moderna Fantascienza ma mai come in quegli anni sembravano scontati: la risposta non poteva essere che violenta.

Capitani coraggiosi

Mentre le operazioni militari in Afghanistan procedevano, la guerra al terrorismo diventava per noi occidentali la quotidianità. Nelle metropoli europee l’allerta era massima, bisognava stare sempre sul chi va là perché il prossimo attentato poteva succedere in una qualsiasi delle nostre metropolitane, in un museo, o magari su una spiaggia di un villaggio turistico. Sembrava non ci fosse più alcuno spazio per il dialogo.

Anche sull’Enterprise del capitano Archer – scampata alla cancellazione da parte di Paramount e arrivata, in qualche modo, alla terza stagione –  le cose non andavano bene. Il capitano aveva smesso i panni dell’esploratore affamato di conoscenza per indossare quelli del leader militare. La Flotta Stellare, tanto per chiarire la natura della missione, aveva dislocato a bordo della nave delle truppe d’assalto.

Per scoprire dove trovare la misteriosa civiltà che aveva attaccato la Terra Archer ricorre alla tortura (episodio “L’anomalia”): rinchiude un prigioniero osaariano in una camera di decompressione e gli concede quindici secondi per parlare prima che la pressione lo uccida. Ottiene così le informazioni che lo condurranno dove lo attendono tutte le risposte, ma a quale prezzo? I membri dell’equipaggio osservano la scena e rimangono scioccati, ora il capitano non è solo una guida da seguire ma qualcuno da temere.

Nel mondo reale i prigionieri del campo di Guantánamo (una base militare americana sull’isola di Cuba), dichiarati “combattenti nemici”, per il governo statunitense non sono protetti dalla convenzione di Ginevra. Secondo il Washington Post nel 2003 a Guantánamo c’erano circa 367 prigionieri mantenuti in condizioni disumane e sottoposti a continui interrogatori condotti in aperta violazione dei più elementari diritti umani. Si cercavano informazioni sulle basi da cui erano partiti gli attacchi terroristici, si cercavano nomi e indirizzi. Informazioni da ottenere a qualsiasi costo.

Realtà e finzione viaggiavano su binari paralleli.

La fine dell’utopia

Nel mondo di Star Trek il conflitto con la misteriosa civiltà aliena si risolve per il meglio per i terrestri. L’equipaggio dell’Enterprise riesce a scongiurare nuovi attacchi ma non riesce a salvare la serie: dopo quattro stagioni viene cancellata con un episodio finale considerato da molti (me compreso) uno dei peggiori dell’intero franchise. Vedere l’umanità del futuro – immaginata da Gene Roddenberry,  creatore di Star Trek, come progredita e pacifica – ridotta ad essere la nostra brutta copia non è stato un bello spettacolo. Dove era finita l’utopia di Star Trek? L’interesse per il franchise, al di fuori della cerchia degli appassionati, era scemato e sembrava finito per sempre.

La guerra al terrorismo invece non è mai finita ed è stata affiancata da altri tipi di guerre. In questo caso di studio il realismo, dopo aver contagiato e quasi distrutto la fantasia, ci impone prudenza e di stare con i piedi per terra. Ci si domanda quando e se succederà mai il contrario, riuscirà mai l’utopia a influenzare la realtà?