Non riesce nel tentativo di migliorare le cose nemmeno la cessione del potere da parte di Muad’dib al figlio Leto II. In

realtà Leto, seguendo l’eredità tracciata dal padre (il “sentiero dorato”) instaura un violento dispotismo ‘illuminato’ il cui fine ultimo è quello di sopprimere le spinte innovative provenienti dalla società per dimostrare alla razza umana che la guerra, il caos e l’iniziativa individuale valgono molto più della pace e della stabilità che finisce per ritorcesi su di essi. La staticità è ciò che uccide ogni forma politica. Ne I Figli di Dune troviamo un’altra massima: «I governi, se durano, tendono in modo sempre crescente ad assumere forme aristocratiche… E man mano che l’aristocrazia si sviluppa, il governo tende sempre più ad agire esclusivamente nell’interesse della classe dirigente». Infatti sia Paul Muad’dib che Leto II, e tra il governo dell’uno e dell’altro la ‘reggenza’ di Alia, vedono il loro potere personale messo in crisi dalle istituzioni aristocratiche, religiose e burocratiche da loro stessi create. A questo problema tentano di contrapporre un potere sempre più personalistico, in un continuo sforzo di far primeggiare la legittimità carismatica rispetto a quella tradizionale o a quella istituzionale fatta di leggi e codici (in Messia, Muad’dib rifiuta di concedere una costituzione sostenendo che il potere del leader non deve avere limiti). Ma Herbert dimostra che la soluzione personalistica non è quella preferibile. Così, se è vero che ne I Figli di Dune si legge che «i buoni governi non sono mai resi tali dalle leggi, ma dalle qualità personali di coloro che governano», nel capitolo conclusivo del ciclo - La Rifondazione di Dune - si ritrova nascosta nel testo una massima definitiva: «Tutti i governi soffrono di un problema ricorrente: il Potere attira personalità patologiche». Si giunge così allo stesso impasse della saga di Star Wars, e non è un caso visto come George Lucas ha esplicitamente affermato una volta che “senza Dune, Guerre Stellari non sarebbe esistito”. La soluzione leaderistica, dove il potere viene accentrato nelle mani di un despota illuminato, benché sembri apparentemente la migliore (e così sicuramente appare a Lucas ed Herbert), si presta come le altre soluzioni alla corruzione e all’uso sconsiderato di questo potere.  Come si legge alla voce “Impero” del Dizionario di politica curato da Bobbio, Matteucci e Pasquino: «…Carattere
fondamentale comune di tutti i modelli imperiali praticati è… la concezione della perennità dell’impero. Perennità che si legava al concetto di continuità e di necessità: esattamente l’impero venne sempre visto come strumento necessario per la salvezza di tutto quel mondo che vi si ricollegava…». L’idea di impero come qualcosa di perfetto ed eterno è alla base del pensiero che Asimov infonde nella sua saga della Fondazione ed evidente nell’affermazione che egli mette in bocca a Hari Seldon in Preludio alla Fondazione: «L'Impero Galattico non poteva finire, proprio come l'universo non poteva finire. O meglio, solo se l'universo avesse cessato di esistere, sarebbe scomparso anche l'Impero». E quando Palpatine annuncia al Senato galattico, ne La Vendetta dei Sith, che per garantire una galassia più sicura «la Repubblica sarà riorganizzata nel Primo Impero Galattico», ecco che si evidenzia quel concetto di impero come “strumento necessario di salvezza” di cui parla l’estensore della voce sopra riportata. Così, sia Asimov che Lucas che Herbert nel creare le loro istituzioni fantapolitiche non hanno fatto alche che basarsi su realtà archetipe prima che storiche: l’idea di impero che tutti e tre sfruttano nelle loro opere ha sì affinità con gli esempi storici di cui si è discusso (Impero romano, Terzo Reich, Sacro Romano Impero tedesco), ma trova origine nel fascino del potere che emana il concetto ideltipico. A questo concetto poi gli autori affiancano le loro rispettive e personali idee politiche, dove si evidenziano le differenze di modelli. Ma al di là di queste differenze ad accomunarli resta una scelta di fondo radicale: il rigetto dell’idea di potere in qualsiasi forma. Perché se l’Impero asimoviano è comunque positivo a differenza della dittatura dei Sith e dall’Impero religioso di Muad’dib, le alternative non sono migliori: non è migliore la Repubblica galattica di Star Wars né l’imperatore-padiscià di Dune né il Secondo Impero della Fondazione. L’unica soluzione sembra tracciarla Asimov con l’idea di “Galaxia”: ed è l’autogoverno al suo massimo grado di libertà, dove il concetto stesso di potere scompare e con esso anche il concetto di politica.