Attesa da anni, per non dire da decenni, la trasposizione cinematografica de Il gioco di Ender era contenuta in nuce nella pubblicazione stessa del romanzo, a sua volta ampliamento di un racconto lungo di alcuni anni anteriore alla stesura in volume, nella metà degli anni Ottanta. A parecchi critici, infatti, non è mai sfuggita la forte connotazione cinematografica del best-seller di Orson Scott Card, con le sue scene visivamente potenti e la dettagliata descrizione delle battaglie in microgravità all’interno della Scuola di Guerra. Ma a lungo i tempi non sono stati maturi per un’operazione del genere, non tanto per la mancanza di mezzi quanto per la volontà dell’autore. Consapevole della qualità del suo romanzo, Scott Card rifiutò a lungo diverse proposte di acquisto dei diritti per la trasposizione sul grande schermo, determinato a non consentire stravolgimenti della trama. Un rischio, in effetti, non di poco conto. Il gioco di Ender è un po’ come un iceberg: un regista potrebbe essere colpito dalla ;;suspense e dall’ottima gestione delle scene di azione all’interno del romanzo, ignorando invece tutto il vero significato dell’opera, nascosto in profondità, sotto il pelo dell’acqua, che assume significato solo negli ultimissimi capitoli. Trasformare Il gioco di Ender in una sorta di seconda edizione della pessima operazione cinematografica compiuta da Paul Verhoeven con Starship Troopers sarebbe stato davvero molto facile.

Dopo aver scritto una propria sceneggiatura e averla presentata a diverse major attraverso la Fresco Pictures, una casa di produzione cinematografica da lui stesso co-fondata nella metà degli anni Novanta per portare sullo schermo i suoi romanzi e racconti (oggi ribattezzata “Taleswapper”), Orson Scott Card iniziò a redigere un nuovo script nel 2005 per conto della Warner Bros., abbandonando la sua precedente versione per adattarla alle sollecitazioni provenienti da uno sceneggiatore di punta come David Benioff (La 25° ora, Troy, X-Men le origini - Wolverine) e dal più giovane D.B. Weiss (che con Benioff oggi firma la serie Games of Thrones). Ma anche questa non venne utilizzata e la produzione del film, la cui regia era stata in un primo momento affidata  a Wolfgang Petersen, naufragò. Sembrava a quel punto che Il gioco di Ender fosse destinato a diventare l’ennesimo romanzo di fantascienza sempre annunciato per il grande schermo e mai realizzato, quando nel 2009 lo stesso Scott Card rese noto di aver firmato un accordo con la Odd Lot Entertainment per la realizzazione di un’ulteriore sceneggiatura, in cui sarebbero state fuse anche parti del romanzo L’ombra di Ender (1999), nel quale lo scrittore raccontava le stesse vicende del romanzo capostipite dal punto di vista di Bean, amico di Ender alla Scuola di Guerra.

L’anno dopo i diritti di realizzazione vennero acquistati dalla Lionsgate e al progetto viene affiancato il regista sudafricano Gavin Hood, entrato prepotentemente a Hollywood dopo aver vinto a sorpresa l’Oscar 2005 come miglior film straniero con Il suo nome è Tsotsi ed essere gradualmente passato dalla denuncia politica (Rendition – detenzione illegale del 2007) alla fantascienza (X-Men le origini – Wolverine del 2009). Il magico duo Roberto Orci e Alex Kurtzman, passati dalle acclamate sceneggiature della serie-cult Lost alla co-produzione dei due nuovi film di Star Trek sotto la direzione di J.J. Abrams, ha assunto le redini del progetto trovando i finanziamenti e i distributori necessari per assicurare al film il successo. Il ruolo principale, quello di Ender, viene affidato a Asa Butterfield, talentuoso enfant prodige già acclamato per il suo ruolo ne Il bambino con il pigiama a righe (2008) e in Hugo Cabret (2011), mentre le parti dei suoi due mentori, il colonnello Graff e il generale Rackham, sono assegnate a due stelle di prima grandezza, Harrison Ford e Ben Kingsley.

La scelta di portare al cinema un romanzo di fantascienza vecchio di oltre un quarto di secolo è menoazzardata di quanto a prima vista si possa immaginare. Non solo perché Scott Card ha esteso la saga di Ender negli anni con un gran numero di nuovi capitoli, riprendendo nel 2008 con Ender in Exile dopo una pausa di alcuni anni, e pubblicando l’ultimo Earth Afire proprio quest’anno (ed è in uscita anche Shadows Alive ambientato nel ciclo alternativo iniziato con L’ombra di Ender, l’unico della serie uscito anche in Italia). Ma soprattutto perché, cinematograficamente parlando, i tempi sono davvero propizi. Sull’onda lunga del successo di una saga dai contorni che appaiono simili, quella di Hunger’s Games, l’operazione Ender’s Games ammicca a tutto un pubblico di adolescenti al quale sembra volersi rivolgere. Non a caso l’età di Ender, che nel romanzo è di 7 anni, viene alzata a 13 per permettere di affidare il ruolo a una star come Asa Butterfield, nel quale gli adolescenti possano riconoscersi. Operazione simile a quanto Will Smith ha provato a fare con il recente After Earth da lui co-prodotto, nel quale ha voluto lanciare – peraltro con scarsi esiti – il figlio Jaden, affidandogli il ruolo di protagonista. Ender’s Game sfrutta così il boom di un filone che si rivolge ai teenagers utilizzando le suggestioni tipiche della fantascienza e del fantasy, senza calcare troppo la mano con la fantasia ma anzi cercando di presentare una storia con la quale il giovane pubblico possa immedesimarsi, come può accadere con l’addestramento di Ender alla Scuola di Guerra.