Il colpo tra le gambe la prende completamente di sorpresa. Una scarica violenta che le annebbia la vista e le strappa dalla bocca un gemito prolungato, costringendola a lasciarsi andare sulle ginocchia con gli occhi socchiusi e a sprofondare nella molle viscosità del terreno. Si riprende respirando con calma, passandosi la lingua sulle labbra mentre la tuta compensa aumentando l’irrogazione di liquidi dalle sacche termiche. Dopo qualche istante Keira si lascia sedere pesantemente. La mano scivola a massaggiare l’inguine.“Però…” Se è stato un orgasmo, e lo è stato, è il migliore da un mucchio di tempo a questa parte. Pensa che si sia trattato della sovreccitazione per la situazione di emergenza, anche se non le era mai successo prima. Ora si sente calma e rilassata; la tuta sta contribuendo a restituirle le energie dissipate insufflando dosi robuste di molecole nutritive. Si rialza sospirando e ricomincia ad avanzare gettando un’occhiata rapida al cielo spiraliforme. La luminosità è buona e secondo la visiera ha ancora diverse ore standard prima del tramonto.Ancora un cambio repentino. Stavolta si trova su un terreno irregolare, friabile sotto i piedi. A intervalli casuali enormi fusti pallidi a forma di cono si innalzano sfumando in una cima frastagliata. Alla base di ogni albero una corolla di minuscoli cespugli radi dalle proprietà camaleontiche: ogni volta che li osserva cambiano colore, mandando in crisi il convertitore semantico della visiera. Attraversa la foresta rallentando inconsciamente e calpestando radici morte che lasciano una scia scivolosa sotto le suole. E intanto una strana forma di pizzicore riprende a tormentarla dietro la nuca e sui fianchi, strappandole piccoli versi di sfogo.Quando esce dalla foresta per entrare in una macchia vegetale più folta, una nuova folata umida ha iniziato a risalirle lungo le cosce, accarezzandole delicatamente lo stomaco, costringendola a contrarre ritmicamente l’ombelico e stimolandole il seno con dita invisibili. Keira si siede puntellandosi al terreno, con le vibrazioni che le afferrano le spalle e la testa mentre i capezzoli sono sul punto di esplodere tanto si sono induriti. Chiude gli occhi ansimando e implora il soccorso della tuta, che fa quello che può per regolare i battiti e iniettare neuroinibitori di flusso. Allarga le braccia stendendosi completamente sul terreno e sfiorando con la punta delle dita foglie cadute e calpestate. Anche la terra le trasmette vibrazioni. Chiude gli occhi, immagini di riflessi mescolate a ricordi di serate antiche mentre inarca la schiena e muove il bacino regolarmente, sotto la spinta di ondate di energia termica che contrastano il pompaggio degli inibitori. La visiera si offusca completamente sotto l’effetto di una tempesta elettronica mentre una vampata di vapore le esce insieme a un urlo asciutto che si scarica lungo i tendini.

Quando si riprende si gira su un fianco, mettendosi le mani tra le gambe e avvicinando le ginocchia al corpo. Resta rattrappita per lunghi secondi, a bocca semiaperta e occhi socchiusi, senza fare caso al sudore che le cola sulla fronte e sul naso e che l’impianto della tuta ormai al limite fatica ad assorbire.

Subito dopo lancia un’interrogazione a vasto raggio su ogni sottosistema. Livelli energetici, supporto vitale, feedback, carichi di forza, strumentazione, microlaboratori di analisi. Ognuno delle centinaia di minuscoli strumenti inseriti direttamente nel tessuto e nel casco vengono analizzati e sottoposti a test di ridondanza. Poi passa a un esame comparato e approfondito dell’ambiente. Mentre i check vengono lanciati Keira riprende a marciare, stavolta con cautela, misurando i passi ed evitando di correre per non stimolare un’ulteriore reazione biochimica dell’organismo. Solamente il continuo sostentamento dei composti nutritivi della tuta è in grado di contrastare il senso di debolezza che a tratti le aggredisce le gambe, impastandole i movimenti.

Ora attraversa un avallamento interamente cosparso di rovi morbidi, grossi batuffoli grigiastri che dapprima offrono una discreta resistenza al passaggio e poi si afflosciano come cuscini vuoti. Si rende conto che iniziano a spostarsi lateralmente come i cespugli che aveva incontrato chilometri prima, seguendo una tecnica che avrebbe fatto la felicità di un botanico ma di cui a lei non importa proprio nulla. Sfiorando uno dei rovi si ritrova il guanto ancora impiastrato di quella strana brina gelatinosa, che i mobot hanno classificato rapidamente come un residuo di una particolare versione di fotosintesi.