“Bogosia! Jean-Claude!” Le sembra di urlare, invece la sua voce è appena un sussurro che emerge dal mare di spossatezza che le ostruisce l’accesso ai polmoni. Percepisce l’inizio di un accenno di formicolio alle estremità delle dita. In un attimo di lucidità realizza che nelle immediate vicinanze della capsula il pericoloso composto di fluidi e atmosfera potrebbe essere meno efficace. Prova a respirare cautamente. Che almeno Bogosia abbia capito in tempo e non si sia allontanato.Si arrampica debolmente sul portello accostato prima di spalancarlo con uno sforzo che le fa danzare macchie rosse davanti alle pupille. Scruta la vuota penombra dell’interno poi inizia ad allontanarsi, seguendo un percorso a cerchi concentrici, lentamente, misurando i passi, respirando a fondo per tenere sotto controllo le sensazioni, e continuando a chiamare.Lo trova un centinaio di metri più in là, quando già flussi di calore scivolano maliziosamente all’interno della tuta. Subito le sembra una nuova varietà di pianta, uno strano miscuglio di tronchi e foglie scagliato da una qualche forza sconosciuta alla base di un agglomerato legnoso basso e largo. Poi intravede la tuta adagiata nell’erba fitta.Il corpo slavato del francese è accarezzato teneramente da una serie di larghe foglie rettangolari. Sopprimendo la massa acida che le sale dallo stomaco, Keira si avvicina cautamente. Bogosia è in parte appoggiato e in parte sollevato da un fitto intrico di arbusti apparentemente morbidi. Una serie di liane sottili sono intrecciate intorno al suo pene eretto, minuscoli batuffoli chiari e spugnosi ondeggiano lievemente sul torace e sul ventre cosparso di brina trasparente. Accovacciandosi scorge altre radici fremere lievemente, infilate in profondità nell’ano. Una mascherina di plastica collegata ai filtri della tuta blocca la bocca e il naso dell’uomo, i cui occhi chiari sono completamente dilatati e fissano un punto indefinito oltre l’atmosfera e il sistema solare. I suoi capelli, nerissimi fino al giorno prima, ora sono bianchi. Le sue costole si muovono appena sotto la pelle tesa, in una respirazione lenta e arrancante.

Keira crolla a terra singhiozzando pesantemente. Resta così per un tempo indefinito, lasciandosi andare a spasmi sempre più pesanti.

Nella capsula ermeticamente chiusa, mette al massimo livello di allerta i mobot superstiti dettando con furiosa rapidità un rapporto completo. Non spera più di trovare altri superstiti. Recupera il lanciatore di microsatelliti, lo carica con tutti i sistemi funzionanti che riesce a racimolare, poi avvia la sequenza.

Segue sullo schermo il verme irregolare di vapore che sfonda le spirali dell’atmosfera. Una volta che gli altri microsatelliti lo agganceranno, il contenitore verrà smistato su un binario di boe magnetiche che lo porteranno diritto verso la nave. La prossima squadra di scout sarà avvisata.

Chiude gli occhi mentre ogni respiro le scuote i polmoni. Ansimando e gemendo comincia a slacciarsi i vari pezzi della tuta, che per gli scout è una seconda pelle, lasciandoli scivolare sul pavimento della capsula.

Rimane nuda, in piedi. Si osserva il corpo. Non se lo ricordava così magro. Le vene azzurre che spiccano sul pallore delle braccia, i seni allungati, il ventre segnato da pieghe orizzontali, le gambe rese secche dal troppo utilizzo dei servoassistenti. Ovunque è piena di puntini rossi, là dove le connessioni della tuta perforano la pelle. Sorride stancamente. Non si può considerare una donna avvenente, ma a quanto sembra la vegetazione non è schizzinosa. Anche se non è bella, non è formosa, e la vita da scout le ha segnato il fisico in modo irreversibile, le piante l’accoglieranno in un abbraccio morbido, soddisfacendola con tenerezza e trasporto fino all'arrivo dei soccorsi. Se riuscirà a sopravvivere così a lungo. Si chiede cosa ci guadagni la luna, quale sia la contropartita: un differente livello di comunicazione, forse uno scambio di informazioni veicolate mediante fluidi corporei ed emissioni gassose.

Keira stacca il respiratore dalla tuta e indossa una mascherina. Apre il portello. Una brezza fresca la investe facendola rabbrividire. Scende cautamente, la sensazione di insolita fragranza che l’erba sottile trasmette alle piante dei piedi. Si allontana con passo incerto, lasciando che il suo corpo assapori quella nuova libertà dalle costrizioni meccaniche di una tuta impregnata di alta tecnologia.