Adesso si trova a sgambettare in un ampio appezzamento di steli marroni che le arrivano al ginocchio, e che al suo passaggio si aprono a sbuffo emettendo uno strano vapore condensato. La tuta serra ulteriormente i pori artificiali, per cui non si preoccupa particolarmente. Inizia a sentirsi accaldata per la corsa, nonostante lo sforzo dei mobot di mantenere costanti i parametri biochimici interni. Arriva al margine del campo e decide di fermarsi un attimo per tirare il fiato e permettere alla tuta di ricalibrarsi. Appoggia le mani sulle ginocchia, guardandosi intorno. Un intero mondo vegetale l’abbraccia da ogni lato, in apparenza consapevole di essere una grande anomalia, fiero del proprio particolare equilibrio basato sulla totale assenza di vita animale e sulla complicata gestione che è riuscito a inventarsi. Keira sa per esperienza che ecosistemi del genere di solito non tollerano bene intrusioni violente e quella degli scout ha tutta l’aria di esserlo, specie per il casino con cui sono scesi.Dalla sua posizione vede un nuovo pezzo di vegetazione, un disordine verde scuro con striature rosse, arbusti di altezza diseguale e dalla superficie viscida mescolati a tronchi curvi, sottili e alti parecchi metri che proiettano riflessi giallo e magenta da corti rami carichi di frutti simili a palloncini sgonfi. Il software fatica a decodificare quella varietà così repentina, un’ecologia che cambia quasi di metro in metro. Certi impatti di colore sono sberle pesanti ai sensori ottici, e meno male che ha ridotto la sensibilità degli olfattivi in modo che l’intenso graffiare degli odori della foresta si riduca a un banale sottofondo aromatico.Si rimette in marcia spostandosi nei punti in cui la vegetazione è meno intensa e utilizzando il calore dei guanti per farsi largo tra gli ostacoli più grossi. Polpacci e gomiti vengono sfiorati da foglie lunghe e strette, rami piatti ricoperti di resina gommosa, radici che spuntano improvvisamente dal terreno con guizzi che le provocano piccoli sobbalzi per la sorpresa e che scaccia a calci, stupendosi per come si sbriciolino sotto le suole. Il calore interno alla tuta aumenta ancora. Keira regola l’umidità e attiva una nuova batteria di mobot per assicurarsi il funzionamento potenziato degli elementi refrigeranti, privilegiando i punti del corpo sottoposti a maggior frizione. Un delicato prurito si manifesta sotto le ascelle e nell’incavo delle ginocchia, lasciandole una sensazione tutto sommato piacevole ma rendendo la marcia più lenta.Poi, senza preavviso, un punto di calore estremo le si accende nella nuca lasciandola per un attimo senza fiato. Prende un ampio respiro con la bocca mentre una sensazione umida le scioglie i lobi delle orecchie.

Tende un braccio per appoggiarsi a qualcosa che somiglia a un albero, mentre in preda a una lieve vertigine cerca la regolarità del battito cardiaco. Il check della tuta le dice che si è trattato di un leggero sbalzo dei parametri vitali, ma se non fosse rinchiusa in un involucro ermetico a intelligenza distribuita giurerebbe di aver appena ricevuto una stimolazione sessuale.

Keira soffia un paio di volte per liberarsi di quella sensazione e accelera il passo. La capsula di Bogosia è ancora distante. Spera che il francese abbia seguito il protocollo che gli impone di restare nella capsula base, e che non abbia deciso invece di andarsene in giro. Si fa largo tra folte macchie di vegetazione e appena scova un sentiero relativamente più sgombro carica di energia gli stivali e si lancia in una corsa sostenuta.

Supera quasi di slancio un altro pendio, leggermente scossa da sottili brividi che dal ventre si espandono tra le costole e lungo la spina dorsale, interferendo con le misurazioni dei mobot cablati nella tuta. Scendendo si trova di fronte uno spesso manto di erba dura, matasse di larghe foglie ammucchiate, compresse e solide come mattoni. Keira ci sale sopra e si sposta da un blocco a un altro alzando le ginocchia e sbuffando nonostante l’assistenza della tuta. La foresta ricomincia a intricarsi, un puzzle perverso di fronde semitrasparenti contornate da piante scure e carnose e lunghissimi filamenti bianchi che tagliano trasversalmente tutti gli spazi, brillando di umidità come se fossero costellati da minuscoli diamanti. Avanza tagliando e strappando i filamenti mentre una curiosa forma di calore le prende lo stomaco e dita di umidità le impregnano il collo, lasciandole un tremore intenso che si trasmette direttamente al volto. Inizia a respirare profondamente e ha quasi l’impulso di disattivare la visiera e lasciare che la jungla si mostri per come è, sovrabbondante di profumi e di sensazioni, scorretta e indisciplinata nella sua anarchica composizione di caos vitale.