Abbiamo chiesto ad alcuni critici e scrittori di fantascienza di commentare, con un ricordo personale, il doppio compleanno della nascita della fantascienza in Italia, avvenuta con la rivista Scienza Fantastica nel 1952, e di Urania, la collana mondadoriana che è anche la pubblicazione più longeva di science fiction in Italia. Ecco cosa ci hanno risposto…

Vittorio Catani, scrittore

Dire che la fantascienza “mi ha cambiato la vita”, mi sono accorto recentemente, non è da matti irrecuperabili. Si sono recentemente espressi in questo senso autorevolissimi personaggi: il che mi conforta. A mio modesto parere la sf, Urania in primis, ha aperto, checché se ne dica, una breccia in una cultura – quella italiana del dopoguerra – ferreamente inchiodata a un passato nobilissimo ma ormai datato. Una breccia fastidiosa per chi considerasse l’universo delle tecno-scienze roba secondaria, “ancillare”, utile solo alla vita pratica quotidiana, insomma subordinata al nobile empito della creatività letteraria o filosofica. Non illudiamoci: nonostante i 60 anni trascorsi, questo rifiuto di una narrativa “popolare” capace – unica nella letteratura – di presentarci in modo sia critico sia di semplice intrattenimento una scansione a 360 gradi del reale, persiste ancora senza distinzione di cultura o fasce sociali. Parlo per (numerosissime) esperienze dirette. Venendo al personale: per me è anche una doppia festa, perché esattamente cinquant’anni fa veniva pubblicato per la prima volta un mio racconto (su Galaxy, luglio 1962). Avevo letto come primo Urania La Legione dello spazio, di Jack Williamson: ero dodicenne anni e fui infettato con violenza dal virus. Ma mio padre detestava la sf (“rovina la fantasia”), per cui mi strappava gli Urania. A scuola l’insegnante diceva che mai si potrà andare sulla Luna perché nello spazio non c’è aria e l’aereo cade. Se accennavo qualcosa ad amici e compagni di classe, mi ridevano addosso. Giunsi a vergognarmi di questa mia passione, e andavo all’edicola per l’Urania solo se non mi vedeva altra gente. Vincere la prima edizione del Premio Urania fu un vero colpo di fortuna: era un premio Mondadori, e risaltò sulla stampa di tutta l’Italia. Ebbi il mio quarto d’ora di celebrità che mi fruttò, in primis, una collaborazione a “La Gazzetta del Mezzogiorno” felicemente perdurante. Altra svolta di rilievo: l’invito di Silvio Sosio – era la fine degli anni ’90 – a una collaborazione fissa alle sue iniziative online. Ho scritto parecchia sf – più di quanto mai sperassi – sui temi più svariati. Sì, la sf mi ha cambiato la vita. È stata la mia vera maestra, infondendo in me curiosità per gli strani argomenti che ha sempre trattato (fisica, chimica, planetologia, cosmologia, geologia, astronautica, eccetera) spingendomi ad approfondire queste materie, sia pure da dilettante: cosa che quasi mai mi è capitato con l’educazione scolastica. E last

Alessandro Fambrini
Alessandro Fambrini
 but not least, ha fatto da fermo contraltare alle grigie giornate del mio quarantennio vissuto come funzionario di banca. Lunga vita a Urania e alla fantascienza! 

Alessandro Fambrini, critico e docente universitario

Sessant’anni di Urania e sessanta di fantascienza in Italia. A sessant’anni, scriveva Alfred Andersch, inizia la vecchiaia. All’improvviso: il giorno prima non c’era, e il giorno dopo è lì, per non andare più via. Ma la fantascienza si confronta con l’eternità e l’infinito, la sua età si misura in eoni. Siamo noi, semmai, che ce ne occupiamo da tanti troppi anni, a sentire le vertigini e un brivido quando ci voltiamo indietro. La fantascienza invece guarda avanti e oltre, e grazie a lei abbiamo imparato anche noi a farlo. Come abbiamo imparato tante altre cose. Soprattutto a osservare il mondo con un occhio al tempo stesso lucido e pieno di meraviglia: la fantascienza è lo scioglimento di questa contraddizione, di questo paradosso.

Per i compleanni importanti si fanno gli auguri e non c’è bisogno di spiegare perché sono importanti. Basta così.