È difficile pensare che su una costruzione simile il lavoro dei fratelli Strugatzki abbia inciso, dato il loro stile di racconto decisamente diverso. Mentre è sicuramente preponderante la visione di Tarkovskij, che si ripete simile in praticamente tutti i suoi film. A cominciare dalle scelte cromatiche, in seguito alle quali il mondo “normale” viene reso in bianco e nero mentre la Zona è carica di colori sbiaditi. Ma l’intera costruzione del film è tipica del regista russo, tanto che viene da chiedersi se Stalker, più che una trasposizione del romanzo, ne sia invece una specie di riscrittura fatta con altri mezzi. Il quasi totale distacco della trama e le atmosfere volutamente diverse, sembrano voler indicare un ulteriore evoluzione delle vicende raccontate nel romanzo. Come se il film fosse una specie di versione alternativa, in cui Tarkovskij abbia voluto raccontare una vicenda analoga, ma svoltasi in un universo parallelo e partendo da un punto di vista, le considerazioni filosofiche, del tutto differente. Uno sguardo alla Zona vista da un’altra Zona, quella della mente umana e del significato che tende a dare alle cose. Il film, girato tra l’altro e profeticamente nelle campagne di Chernobyl, uscì nel 1979 in Unione Sovietica e venne presentato a Cannes nel 1980, dove riscosse subito grandi consensi. Al di là delle considerazioni sulla estrema diversità tra romanzo e film, tra le più ampie mai registrate in campo fantascientifico, resta il fatto che il romanzo degli Strugatzki ha creato i concetti di Zona e Stalker divenuti di uso comune in ambito fantascientifico. Mentre il film di Tarkovskij ne ha costruito una visione differente ma non di minore impatto, contribuendo a creare l’immaginario post-catastrofico che ha influenzato molti registi negli anni successivi (e ispirando anche una serie di videogiochi). Insomma, la Zona è ancora lì ad attenderci con i suoi misteri e le sue trappole, pronte a imprigionare soltanto chi desidera caderci. E forse è proprio questa la sua funzione ultima.