Regista di film come Gremlins, La seconda guerra civile americana, Looney Tunes Back in Action e membro della giuria dell’ultimo Festival di Venezia, Joe Dante ha diretto The Hole in 3D. Affascinato dalle nuove possibilità offerte da questa tecnologia Dante spiega che la sua è una passione di ‘lunga data’ “Sono sempre stato un fan del 3D e sono anche sufficientemente anziano per ricordarmi cosa fosse quest’ultimo negli anni Cinquanta” dice. “Mi considero molto fortunato in quanto ho iniziato a fare del cinema nell’epoca in cui la sottocultura dei fumetti e dei B-Movies è passata in serie A. Per me è stato possibile fare una transizione dal piccolo al grande budget utilizzando lo stesso materiale.”

Parliamo di The Hole?

A convincermi a girare The Hole in 3D è stato soprattutto il potere constatare come la tecnologia sia assolutamente notevole e adatta in questo momento a fare ciò che si desidera. È un ottimo strumento per un cineasta che voglia raccontare una storia in una certa maniera ed è uno sviluppo importante del cinema. Quando ho avuto l’opportunità di girare The Hole in 3D non mi sono tirato indietro in quanto io amo le possibilità narrative del tridimensionale. In precedenza avevo girato già un corto in 3D di venti minuti per un parco di divertimenti. L’avevo realizzato con due macchine da presa da 70mm. Pesantissime! Mentre, oggi, ho fatto tutto con due macchine digitali decisamente molto più leggere e maneggevoli.

Cosa pensa dei remake di film in 3D?

Quando ero giovane i film si potevano vedere solo al cinema e noi li vedevamo tutti. Poi, però, le cose sono via via cambiate. Oggi il cinema è dappertutto, ma a parte poche persone che hanno studiato e i grandi appassionati, la gente non conosce davvero il grande cinema del passato. Per questo si possono fare remake scadenti e raccontare nuovamente storie in maniera decisamente non all’altezza dell’originale. Anche per colpa di chi fa cinema… i capi stessi degli Studios conoscono poco la storia del cinema e, peggio ancora, non hanno mai visto i film di alcuni registi. Il passato non viene reinterpretato, perché la gente semplicemente non lo conosce.

Parliamo di Roger Corman?

Un amico e un artista attento a ogni dettaglio. Un regista che lavora sempre alacremente per fare in modo che i suoi film brillino di luce particolare. Il problema è che a Hollywood la gente non è interessata alla qualità, ma solo ai soldi. Se una cosa funziona al botteghino, ecco, quindi, che vale la pena farla.

Cosa pensa dell’horror italiano?

È assurdo che dopo tanti film di Mario Bava, Antonio Margariti, Lucio Fulci e Dario Argento solo quest’ultimo sia rimasto a fare questo tipo di cinema. Dove è andato il vostro cinema dell’orrore dopo quella generazione? La Maschera del Demonio è stato il primo grande horror italiano che abbia funzionato in America, almeno fino agli anni Ottanta quando il cinema italiano si è scontrato con lo stesso cambiamento subito da quello americano con George Romero e la sua Notte dei Morti Viventi.Credo, però, che il vero grande cambiamento nel cinema horror sia arrivato con Halloween: non era il soprannaturale a spaventare, bensì i coltelli e lo slasher in generale. Da un lato era più economico, dall’altro faceva riferimento alla sicurezza personale nella realtà di tutti i giorni. Personalmente non sono interessato a Final Destination dove si mettono in mostra solo modi diversi di morire. È un po’ troppo vicino allo Snuff Movie… il cinema dell’orrore che mi interessa è di natura psicologica. Non mostri niente di terribile al pubblico e la loro mente ‘immagina’ qualcosa di ancora più spaventoso e profondo che nessun regista potrebbe filmare. Il cinema è uno strumento molto più sofisticato che mettere in scena una macelleria

Il segreto per spaventare le persone?

Metterle a proprio agio e poi terrorizzarle. È la maniera migliore per prendere qualcuno di sorpresa. Il cinema che amo è un misto di Frankestein e delle avventure di Abbott e Costello (Gianni e Pinotto in italiano, ndr). Il segreto della paura è ‘fare credere’.  Quando ero ragazzino non avevo dubbi che la ‘Tarantola gigante’ fosse vera. Dopo avere visto quel film, la mattina quando mi alzavo ero terrorizzato dal dovere mettere i piedi per terra. Temevo che da sotto il letto uscisse la tarantola e mi portasse via… i miei genitori mi suggerirono di non vedere più questi film… non potevo farci nulla. Io adoravo il cinema horror….Insomma, non bisogna essere troppo analitici. Il segreto di tutto è guardare al cinema che fai e a quello degli altri alla stessa maniera. Essere parte del pubblico è l’unico modo per capire quello che terrorizza davvero le persone.

Una versione più lunga di questa intervista uscirà in luglio su Robot 60.