Anche nell’ambito delle teorie cospirazioniste, il luddista mostra un’attitudine fortemente influenzata da questa sindrome: “siccome il cosiddetto ‘sistema’ è dotato di tecnologie che io non ho, allora le tecnologie non mi piacciono”. Ammesso che esista un ‘sistema’ che domina i cittadini indifesi, non sarebbe più razionale dotarsi di tutte le tecnologie possibili per difendersi dal sistema? Cerchiamo di vedere la situazione da una prospettiva diversa. Innanzitutto, il fatto che il ‘sistema’ abbia tecnologie più avanzate è vero solo in parte.

Consideriamo, per esempio, le tecnologie informatiche. Tutti vediamo che i tecnofili della rete sono molto più esperti della classe dirigente del paese nel maneggiare macchine intelligenti. Ma anche ammettendo che le élite abbiano accesso a tecnologie migliori, a sistemi di comunicazione e di controllo più avanzati, non bisogna scordare che le conoscenze, le informazioni, le abilità giocano ancora un ruolo fondamentale. Un parallelo può aiutare a capire: se su una pista automobilistica mettiamo due concorrenti, un pilota di formula uno su un’utilitaria e un neopatentato su un bolide di formula uno, possiamo tranquillamente prevedere che vincerà il primo, nonostante l’inferiorità del mezzo. Questo perché la prestazione di una tecnologia dipende anche dalla nostra capacità di usarla. Dunque, anche ammesso che ‘loro’ (le famigerate élite che attentano alla libertà dei cittadini, attraverso tentacolari ramificazioni nell’amministrazione pubblica) possono spiare e controllare noi (i cittadini, il popolo), è anche vero che ‘noi’ possiamo spiare e controllare loro, possiamo fare sentire il fiato sul collo a chi ci governa. E diffondere capillarmente notizie e informazioni importanti, anche al di fuori dei canali istituzionali. Il modello che si applica ora alle tecnologie della comunicazione, potrebbe applicarsi domani alle biotecnologie. Se noi cittadini non vogliamo un mondo diviso in caste, con i postumani in posizione dominante e gli umani in posizione servile, quello che dobbiamo fare è molto semplice: diventare noi stessi postumani. Prima possibile.

Per concludere: sognatori sì, ma sufficientemente pragmatici

Una critica che ci viene spesso mossa è che il sogno dei transumanisti è appunto “un sogno”. E tale resterà. Facile ribattere che tutta la realtà è stata prima un sogno. L’uomo si distingue dagli altri esseri viventi proprio per la sua capacità di sognare, di pensare il futuro, di immaginarlo, e quindi di progettarlo e costruirlo. Spesso ci dicono: “questa è fantascienza, non scienza”. Ma cari amici, anche il telefono cellulare prima di diventare uno degli elettrodomestici più diffusi del pianeta era un sogno fantascientifico che popolava soltanto le pellicole di Star Trek. Uno scrittore lo ha immaginato e poi un ingegnere lo ha realizzato, proprio ispirandosi alle chiamate wireless tra Captain Kirk e Spock. Prima si sogna, poi si realizza. Questo ci insegna piuttosto che la letteratura fantascientifica è una forma culturale di cruciale importanza per il destino dell’umanità.Ci dicono anche che non tutto ciò che si immagina può essere realizzato. Ma questo è un truismo. Che cosa dimostra? Resta comunque vero il contrario, ossia che ciò che si realizza deve prima essere immaginato. È vero. Non ci sono certezze a riguardo della trasformazione postumana, del longevismo estremo, della fusione tra uomo e macchina, della crionica, del mind uploading, della Singolarità. Di questo i transumanisti sono ben consapevoli. Ma se anche solo una su dieci delle invenzioni prognosticate dai futurologi transumanisti si realizzasse nei prossimi anni, su questo pianeta avrebbe comunque luogo la più grande rivoluzione della storia dell’umanità dai tempi del neolitico. E il bello della storia è che noi siamo qui, ora, pronti a vivere da protagonisti questo momento epocale.