“Solaris, o dell’irrazionale”. Questo era il titolo della prefazione del noto critico e giornalista Gianfranco De Turris, che impreziosiva l’edizione tascabile Mondadori di quello che viene considerato uno dei capolavori assoluti della letteratura, e non solo di fantascienza. Il suo autore, il polacco Stanislaw Lem, classe 1921, meccanico, medico, saggista e infine

Stanislaw Lem, ospite alla Hungarocon
Stanislaw Lem, ospite alla Hungarocon
scrittore, nelle interviste successive alla prima pubblicazione del romanzo nel 1961, parlava con un certo imbarazzo del processo creativo che lo portò a immaginare la vicenda dell’oceano senziente Solaris, processo che definì: “assolutamente fuori dal mio controllo razionale.” E in effetti Lem arriva alla stesura di Solaris dopo un buon numero di romanzi di fantascienza ben riusciti e, in un certo senso canonici, nei quali i temi del confronto dell’uomo con l’esplorazione dello spazio (Pianeta Eden, L’invincibile, Ritorno dall’universo) vengono affrontati senza mai perdere vista lo spirito razionale che per Lem è di evidente derivazione dal modello socialista, modello che l’autore non discuteva almeno in quegli anni. Con Solaris l’approccio cambia profondamente; il risultato è stato un romanzo di grande impatto “visivo” ed emozionale, che ha avuto l’onore di ben due trasposizioni cinematografiche, a testimoniare il valore assoluto del lavoro di Lem.

I limiti della conoscenza? Un oceano

La trama del libro è nota: lo psicologo Chris Kelvin viene inviato in missione sulla stazione spaziale orbitante intorno a Solaris, pianeta scoperto un centinaio di anni prima e interamente ricoperto da un oceano gelatinoso che si suppone essere una forma di vita. Sulla stazione Kelvin scopre subito che il suo amico e fisico Gibarian è morto e che la stazione, oltre agli altri due ricercatori Snaut e Sartorius, è popolata da esseri viventi i quali non sono altro che proiezioni mentali dei membri dell’equipaggio, materializzati dallo stesso pianeta. Anche Kelvin si ritrova a fare i conti con l’incarnazione della propria mente; Harey, la moglie morta suicida anni prima, si materializza nella sua prima notte di permanenza nella stazione. Ma è una Harey solo fisicamente uguale alla moglie, poiché in realtà la sua essenza è viva solo dei ricordi che ha in comune con Kelvin. Il tentativo di ucciderla si rivela vano in quanto il clone, come tutte le creature generate dal pianeta è immortale. Kelvin vede lentamente la propria capacità di analisi razionale piegarsi di fronte alla devastante potenza dei sentimenti che Solaris gli impone; inoltre, il clone Harey acquista la consapevolezza di essere solo una copia, il frutto dei sentimenti di Kelvin e dell’oscuro tentativo di Solaris di comunicare con gli uomini. Il fallito suicidio del clone ha l’effetto di risvegliare i sensi di colpa di Kelvin, convinto di aver causato anche il suicidio della “vera” moglie; e quando l’ultimo esperimento di Snaut, bombardare il pianeta con i raggi X, causa la sparizione di tutti i cloni, per Kelvin è come perdere la moglie una seconda volta. È il colpo di grazia, la prova definitiva che Solaris ha vinto, ha sovvertito le regole su cui Kelvin, e tutto il genere umano con lui, hanno costruito il proprio progresso. La capacità di comprensione, il pensiero razionale, il positivismo scientifico naufragano tra le onde gelatinose del pianeta vivente, e a Kelvin non resta altro da fare che accettare la volontà di un essere incomprensibile ai limiti del divino, e sperare, come recita l’ultima indimenticabile frase del romanzo, che “l’epoca dei miracoli crudeli” non fosse terminata.

In Solaris è presente la precisa denuncia dei limiti non solo della conoscenza umana, ma anche della capacità di ampliare la stessa; laddove ci si trova di fronte a qualcosa che sfugge a metodi conoscitivi collaudati, la mente razionale si trova a brancolare nel profondo dell’oscurità. Alla fine solo la forza dei sentimenti, l’irrazionale nascosto in qualche piega del nostro cervello sembrano in grado di fornire se non una spiegazione, almeno un’ancora a cui aggrapparsi, una luce in grado di indicare la strada nell’oscurità. La forza del romanzo è nella sua scrittura asciutta, nella struttura tesa e veloce che non subisce quasi mai battute d’arresto; descrivendo le vicende di Kelvin in prima persona, Lem riesce a rendere alla perfezione lo sballottamento emotivo di chi sta perdendo le certezze di una vita, e trova nell’intensità dei sentimenti l’unica ragione per continuare. Prima che un romanzo di fantascienza, Lem ha scritto un romanzo universale; per questo l’autore nel 1977 ha “rischiato” di essere candidato addirittura per il premio Nobel, cosa che avrebbe sancito definitivamente la sua grandezza.