La visione di Tarkovskij
Solaris ebbe un successo di portata internazionale, con decine di edizioni e traduzioni, e fu il grimaldello che permise a Stanislaw Lem di raggiungere la fama mondiale, oltre che far conoscere la fantascienza dell’est europeo oltre la cerchia degli appassionati. Quasi inevitabile il passaggio sul grande schermo, che avvenne nel 1972 ad opera di un altro maestro visionario, il regista russo Andrej Tarkovskij, all’epoca già dissidente, ma ancora in grado di lavorare nell’Unione Sovietica (la sua fuga con richiesta di asilo politico sarebbe avvenuta solo alla fine del decennio).
L’approccio al testo di Tarkovskij è stato fortemente interpretativo; pur ricalcando quasi fedelmente la trama del romanzo, il regista ha prodotto un’opera più vicina alla propria sensibilità, fatta di lunghe sequenze solitarie, di spazi deserti, di dialoghi ridotti all’osso e distribuiti molto in profondità nella lunghissima durata del film (circa due ore e mezza nella versione originale). Là dove il romanzo è veloce e asciutto, il film è lentissimo, pacato, quasi che ogni sequenza dovesse pensare sé stessa prima di mostrarsi agli spettatori. I film di Tarkovskij sono sempre soprattutto film di immagini, pieni di simbolismi e di silenzi come dimostreranno i successivi Stalker e Nostalghia.
Nella visione di Tarkovskij, Solaris diventa il pretesto per un’analisi introspettiva della condizione umana, in cui l’uomo è perennemente in conflitto con sé stesso e con i propri ricordi ai quali finisce col piegarsi, e utilizzarli per interpretare la realtà in modo soggettivo. Rispetto al libro, il regista aggiunge un lunghissimo prologo di quasi quaranta minuti (completamente tagliato nella versione italiana) che utilizza da un lato per introdurre gli spettatori alla conoscenza dell’oceano pensante, dall’altra per svelare il mondo interiore del protagonista Kelvin, introducendo il personaggio chiave del padre e la casa di campagna; lo spettatore ritroverà entrambi nella sequenza finale, anch’essa ripensata rispetto al finale del romanzo. Dove il libro proponeva un finale in un certo senso aperto alle possibilità che Kelvin e Solaris si proponevano a vicenda, Tarkovskij immagina per il suo Solaris una struttura circolare; la vicenda termina dove era iniziata, nel casolare immerso nella campagna e popolato dall’autorevole figura del padre di Kelvin, solo che questi elementi diventano essi stessi parte dell’immaginario del protagonista. Il confine tra realtà oggettiva e soggettiva finisce per svanire e tutto naufraga in un mare, anzi, in un oceano indistinto di pensiero e memoria, in cui solo l’accettazione della volontà di un essere superiore (Solaris, Dio) assume un senso.
Interpretato da attori russi sconosciuti in Occidente (Donatas Banionis e Natalia Bondarchuk), Solaris venne presentato al Festival del Cinema di Cannes del 1972, dove ottenne grandi consensi di critica e successo di pubblico; tanto che, in epoca di guerra fredda che si combatteva su tutti i fronti, molti critici europei, e soprattutto italiani, lo presentarono come la risposta sovietica ad un altro capolavoro assoluto del cinema: 2001: Odissea nello spazio firmato da Stanley Kubrick, che aveva in effetti alcuni punti in comune con il film di Tarkovskij. Purtroppo la versione italiana, tagliata senza pietà e con un doppiaggio infarcito di espressioni dialettali, figlio di una certa interpretazione ideologica, uscì fortemente sminuita nell’impatto, tanto da costringere lo stesso regista a una vivace protesta.
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