Capitolo Primo: perché l’eroe di solito è il più modesto e il meno conosciuto fra gli uomini

Spur si trovò di nuovo nell’incubo. Come sempre iniziò in mezzo all’incendio e il fronte del fuoco assunse una qualità liquida e quasi come lava corse verso di lui. Guizzò attorno ai massi e bruciò gli alberi che Spur aveva giurato di proteggere. E non c’era nulla che potesse fare per combatterlo.

Nell’incubo Spur non indossava lo spegni-fiamma e neppure la tuta ignifuga. La paura lo tenne inchiodato a una quercia finché non sentì la pelle sul suo volto che cominciava a cuocersi. Allora si strappò alla morsa e cominciò a correre. Ma a quel punto fu l’incendio che gli balzò dietro, seguendolo come un’ombra famelica. Lo inseguì attraverso la pineta, mentre attorno a lui i tronchi esplodevano come petardi. Alcune scintille si aprirono una strada attraverso i suoi abiti, pungendolo. Poteva sentire l’odore di capelli in fiamme. I suoi.

In preda al panico si gettò nel ruscello pieno di pesci morti e di rane ormai bollite, ma l’acqua gli scottò le gambe. Si arrampicò allora freneticamente lungo la sponda del torrente, in preda alle lacrime. Sapeva che non avrebbe dovuto aver paura, perché era un veterano della lotta agli incendi boschivi, eppure era come se qualcosa lo stesse strizzando da dentro. Un’ocagna uggiolante gli si parò davanti all’improvviso, con le piume arroventate e gli occhi resi enormi dal panico. Spur sentì l’incendio immergersi sotto la foresta e scavarsi una via davanti a lui in tutte le direzioni. Il terreno sotto i suoi piedi era bollente, e il terriccio scuro emanava vapori fetidi.

Nell’incubo c’era una sola via di uscita, ma suo cognato Vic la bloccava, e nell’incubo Vic era un pukpuk, una delle torce umane che avevano dato origine al rogo.

Vic non si era ancora dato fuoco, per quanto la sua maglietta da baseball stesse fumando per il calore che lo circondava. L’uomo gli rivolse un segno di saluto e Spur per un istante pensò che forse poteva non trattarsi di Vic, mentre il suo volto angosciato luccicava nella vampa di calore. Dopo tutto Vic non avrebbe potuto tradirli, vero?

Ormai Spur era costretto a saltellare per impedire che le sue scarpe prendessero fuoco e non aveva via di fuga, nessuna scelta, nemmeno il tempo. La torcia umana spalancò le braccia e Spur cadde dentro il suo abbraccio e con un sibilo rabbioso esplosero insieme nelle fiamme. Spur sentì la sua pelle crepitare…

– Può bastare, per ora. – Una voce acuta frantumò il suo incubo e Spur si lasciò andare a un sospiro di sollievo quando si accorse che non c’era nessun incendio. Almeno non lì. Sentì una mano fredda toccargli la fronte come una benedizione e seppe di trovarsi in un ospedale. Era appena stato nel simulatore che gli Esterni stavano usando per curargli l’anima.

– Dovresti smetterla di agitarti in quel modo – disse il medi-bot, – a meno che tu non voglia che ti inchiodi i sensori alla testa.

Spur aprì gli occhi, ma tutto quello che riuscì a a vedere fu una nebbiolina punteggiata di luci. Provò a rispondere al medi-bot, ma a malapena era in grado di sentirsi la lingua dentro la bocca. Il chiarore alla sua sinistra a poco a poco si trasformò nella finestra illuminata dal sole di una stanza d’ospedale. Sentiva la pressione decisa e non del tutto spiacevole dei lacci che lo tenevano legato al letto: erano delle ampie fasce che gli cingevano le caviglie, le cosce, i polsi e il costato.

Il medi-bot staccò i sensori dalle sue tempie e poi gli sollevò la testa per arrivare a quello che si trovava alla base del cranio.

– Ti ricordi il tuo nome? – chiese.

Spur stiracchiò la testa contro il cuscino, cercando di sciogliere l’intorpidimento del collo.

– Sono qui, figliolo. Da questa parte.

Si girò e si trovò a fissare un singolo occhio blu luminoso, che per un attimo parve pulsare.

– La dilatazione della pupilla è normale – borbottò il medi-bot, senza che il commento fosse rivolto a Spur. Si prese una breve pausa, poi chiese di nuovo: – Allora, il nome?

– Spur.

Il medi-bot grattò il palmo della mano di Spur con un attrezzo metallico che faceva parte della sua mano, raccogliendo un campione del suo sudore, per poi infilarselo in bocca. – Quello può essere il soprannome con cui ti chiamano gli amici – disse, – ma io ti sto chiedendo il nome che compare sulla tua piastrina.

Le parole si rincorsero l’un l’altra sul soffitto per qualche istante prima di entrare nella testa di Spur. Non avrebbe avuto alcun problema nel comprenderle pienamente se il medi-bot fosse stato una persona reale, con delle labbra e una bocca vera e propria e non quella fessura oblunga.