Delos 28: Racconto: Chiedete di Bierkovitz racconto di

Giovanni Burgio

chiedete

di bierkovitz

Giovanni Burgio sta crescendo. A passi sempre più veloci e decisi si sta guadagnando un posto di rispetto tra gli autori italiani del fantastico nazionale. Personalmente lo conosco bene per aver letto alcuni dei suoi migliori racconti che hanno partecipato ai premi Lovecraft e Alien, ma ormai il suo nome ha cominciato a girare da quando, all'ultima Italcon di San Marino, l'abbiamo visto salire sul palco a ritirare la palma d'onore del "Premio Courmayeur", che ha vinto con il racconto BabyLight. Ma non e' tutto qui. Perche' molte altre sue opere usciranno presto in antologie prestigiose, dando a Burgio il merito che si è guadagnato scrivendo racconti piacevoli e ricchi d'inventiva come questo che segue. (Franco Forte)

Il 10 aprile 2010 semantizzai un algoritmo cognitivo. Cliccai sul comando @SEMANLOG e vidi quell'accozzaglia di simboli matematici trasformarsi, come per una magica dissolvenza, in un pensiero compiuto. E mi sembrò che il cuore toccasse quella vetta sublime di estasi che assapora solo chi raggiunge la più alta delle verità.

"Apri lo scrigno delle possibilità e respira la vera emanazione noumenica', mi ripetè con insistenza Bierkovitz fin dal primo momento che ci conoscemmo.

"La verità: lo specchio di ciò che è, un dogma teoretico che si è obbligati a riconoscere in quanto tale." Questo fu sempre il suo pensiero, che non l'aiutò di certo ad andare d'accordo col Comitato Scintifico Governativo, quella mandria di conservatori bigotti.

Buona parte della nostra scoperta fu merito di quel genio della logica di Bierkovitz, uno che maneggia le teorie dei numeri complessi e i modelli non lineari con la stessa facilità con cui un rapace compie quei voli funambolici nel cielo, sfruttando senza neppure saperlo una dote che il gioco del destino gli ha regalato.

L'emanazione di ciò che é, insomma. Date dei numeri a Bierkovitz e lui vi creerà Dio, dissi sempre ai nostri allievi.

Bierkovitz ebbe quella grande intuizione di avere teorizzato, dal punto di vista matematico, la parametrizzazione delle funzioni d'onda cerebrali e la semantizzazione delle funzioni logiche.

Chiedete di lui, del grande Bierkovitz, è uno che non ha segreti. E penso che abbia ancora voglia di andare avanti, con le ricerche. Governo permettendo, s'intende.

Riguardo alla nostra faccenda, le cose si misero subito molto male perchè l'affare fu preso in mano dalle multinazionali governative; le strutture hard con i programmi matematico-linguistici per la parametrizzazione e la semantizzazione diventarono in pratica un segreto militare.

Ma l'input di tutto, mi riferisco cioè all'ideazione e alla costruzione degli analizzatori telepatici di onde cerebrali, non fu certo una cosa da niente. Quella scoperta fu merito anche mio e se oggi gli analizzatori telepatici si chiamano decodificatori Vallanzani-Huger, non è certo un caso.

Huger, tanto per intenderci, fu l'ingegnere che mi aiutò per la parte elettronica. Un vero tedesco, uno con cui sul lavoro non potevi neanche scherzare. E quando l'interrompevi con una scusa qualsiasi, lui ti diceva sempre con tono freddo:" Siamo qui per lavorare o cazzeggiare?" E quella frase in tedesco acquistava una sonorità particolare che a me faceva ridere. Soprattutto il termine "cazzeggiare" la cui traduzione in tedesco è per me impronunciabile.

E così gli analizzatori telepatici vennero chiamati proprio così, Vallanzani-Huger. Bierkovitz si accontentò di dare il suo nome a una delle più belle scoperte di logica-matematica della storia: teoria della parametrizzazione semantica. Trasformare cioè dei campi d'energia come le onde cerebrali in parametri statistici, con la stessa sintassi matematica con cui si descrive ad esempio una curva gaussiana o una binomiale negativa; e poi convertire quel caos in un ragionamento concreto come ad esempio: "se le cose continuano così la benzina aumenterà di prezzo', "mamma ti voglio bene', "aiutami a calcolare i parametri di questa curva', oppure "stasera vado a fare la spesa perchè il frigo è vuoto."

Oppure quello che volete voi. Qualsiasi pensiero umano, insomma, e in tutte le lingue conosciute.

Huger comunque, dopo la scoperta, decise improvvisamente di abbandonare gli studi, e da allora non lo vidi più. Almeno così disse a noi. Non mi stupii certo che uno con un carattere di quel tipo non si fece più sentire per anni; mi sembrò solo strano che da un giorno all'altro si fossero perse le sue tracce. Qualche voce maligna disse che fosse andato a lavorare con i Servizi Segreti Telematici, cosa di cui io non ebbi mai la prova.

Quello di cui sono certo è che a un certo punto della mia carriera, rifiutai orgogliosamente un'offerta dell'Ufficio Telematico Sociale, un paravento legale di quel branco di pirati dei Servizi Segreti Cibernetici.

Da allora finirono la mia carriera e il mio lavoro, e cessarono anche i miei finanziamenti scientifici.

E di questo non me ne importò niente visto che ormai di riconoscimenti scientifici ne avevo avuti abbastanza. E anche un po" di soldi. Fra le altre cose andai anche a finire sull'Enciclopedia, Cristo.

Quello che non sopportatai mai, e che ancora oggi mi rode il fegato, fu che dovetti troncare le ricerche su quella mia intuizione scientifica, che eresse le sue fondamenta sugli studi innovativi di Margulis e Lovelock. La mia teoria.

Forse sbagliai a darle quel nome così ostico e troppo tecnico di macromolecorizzazione procariote, ma penso che non sia questo il punto.

Mi stroncarono per non avere accettato di collaborare con il potere, con i Servizi Segreti. Bastardi loro e bastardo soprattutto Huger: ormai sono certo che sia stato lui ad avere aiutato quei criminali a trovarmi.

Se avete qualche dubbio, chiedete di Bierkovitz: lui vi dirà tutto. Contattarlo non sarà facile ma vale sempre la pena provare. L'unico che mi manca è proprio lui, il vecchio Berkovitz, compagno di voli pindarici, amico di sbornie e convegni, una persona con un cuore grande così. L'ultima sua cartolina fu spedita dalla Finlandia: una foto con due Lapponi che parlavano scambiandosi formule di meccanica quantistica. Quando la vidi risi per un'ora. Mi disse che andava tutto bene, che le Finlandesi erano delle gran femmine, che faceva molto freddo e che quando la situazione si fosse messa a posto mi sarebbe venuto a trovare. Riguardo alle altre cose, per una questione di sicurezza, mi avrebbe parlato a quattr'occhi. La cartolina finì con: Ciao Valla, tuo Samuel.

Se Berkovitz non vinse mai il premio Nobel della matematica fu solo per motivi politici e per colpa di quel suo carattere esuberante e ribelle. Non andò mai molto daccordo con i burocrati, soprattutto con quelli dell'ala conservatrice. Li trattò come dovevano essere trattati e cioè come stronzi. E poi il nuovo governo repressivo non lo considerò mai per quel che valeva realmente perchè era ebreo. Bastardo anche il governo.

Ti sto ancora aspettando, vecchio Samuel, e oltre a parlare di gnoseocibernetica vorrei che ce la spassassimo come quella volta, quando portammo di nascosto quelle due studentesse in Istituto e ci divertimmo con loro in sala esercitazioni. Quella femmina olandese, l'astrofisica, mentre scopavate urtò con una gamba uno schermo analizzatore, che andò in tilt. E tu, vecchio maiale tecnologico, riparasti i circuiti senza battere ciglio nel bel mezzo dei tuoi movimenti pelvici, mentre lei si mise a provare, come se niente fosse, i filtri di frequenza con la cuffietta in testa. Che scena.

Se qualcuno comunque è interessato a portare avanti le nostre ricerche, mi raccomando che chieda di Bierkovitz e dica che è un mio amico. Ci penserà lui a fare il resto.

Ricordo che mi dicesti sempre che ogni cosa si poteva risolvere come un problema di densità di probabilità: un modulo stocastico non lineare, insomma. E a te in fondo, cosa rappresentassero da un punto di vista fisico quelle funzioni cerebrali, quei diagrammi caotici apparentemente senza senso, non te ne importò mai niente. Per te il punto fu solo come trasformare quelle funzioni d'onda in strutture logiche. E convertire un'alchimia numerica in un'emanazione noumenica. Un problema di numeri, insomma. I moduli, come li chiamasti tu, vecchio Bierkovitz.

E così inventasti la parametrizzazione-neurosemantica.

Come riuscisti a convertire quelle montagne russe di diagrammi tridimensionali in operatori logici, lo sai solo tu. Partoristi dal nulla i trasduttori neurosemantici. E le tue formule sono ancora nella tua testa, chissà in che parte del tuo cervellone.

Poi l'Unione delle Multinazionali Telematiche copiò e riprodusse i programmi di parametrizzazione e semantizzazione che inventasti tu e li mise in una banca svizzera.

I modelli matematici e i calcoli di tutta la faccenda pero" sono ancora nel tuo cervello, la banca dati più sicura del mondo. Almeno prima che noi inventassimo i decodificatori.

Gran bel paese comunque la Svizzera. E gran bell'errore, il nostro, di non aver brevettato i programmi di parametrizzazione-neurosemantica e di semantizzazione degli algoritmi. Un'ingenuità che ancor'oggi paghiamo.

Lavorammo come dei matti e ci mettemmo anni per raccogliere quegli spettri neuronali che, una volta inseriti nel circuito di semantizzazione, ci permisero di trasformare quelle formule incomprensibili in pensieri umani. Telepatia cibernetica, insomma.

Da me derivò forse l'intuizione di base, quell'ossessione che coltivai fin da studente e che mi spinse a laurearmi in Gnoseocibernetica. Che il pensiero cioè produce dei campi energetici che possono essere captati. E quelle onde cerebrali altro non sono che la termodinamica del pensiero. Ci mettemmo a lavorare come matti per cercare di costruire quei dannati analizzatori, cullando un sogno che anche a noi all'inizio sembrò irragiungibile. Alla fine ci riuscimmo e, a essere sinceri, anche quel tedesco di Huger ci aiutò a mettere a punto la parte elettronica della strumentazione.

Fummo un trio proprio affiatato, almeno sul lavoro. Io l'intuitivo, quello con i lampi innovativi; Huger il progettista, l'ingegnere, e il grande Bierkovitz il calcolatore umano, il matematico geniale, quello che dava un senso matematico a tutto e faceva quadrare i conti.

Sia chiaro che io e te, Bierkovitz, andammo sempre d'accordo anche nella vita privata. Fu quel tedesco del cazzo a rovinare tutto, quell'ingegnere dei miei coglioni. Io comunque non odio di certo i tedeschi. Ma voi due proprio non andaste mai d'accordo. Per colpa sua, s'intende. Ora sono sempre più convinto che collaborò di nascosto del governo conservatore. E ti sfottè sempre perché eri ebreo. Bastardo Huger e bastardo il governo. Viva Che Guevara.

Oddio, che cazzo dico.

La parte più complessa di tutta la faccenda, fu quella di capire che ogni cervello ha una configurazione semantica unica. Vale a dire che le strutture molecolari, con tutte le loro implicazioni quantistiche, sono caratteristiche per ogni cervello. Fortunatamente io scoprii che ci sono dei tipi di cervello simili, il cui spettro neuronale è praticamente sovrapponibile. Questi cervelli hanno una lunghezza d'onda pressochè identica. Tutto questo è importante per la captazione delle funzioni d'onda cerebrali, nel senso che è indispensabile sintonizzare l'analizzatore con uno spettro neuronale compatibile al cervello di cui si vuole ciucciare il pensiero.

Riuscimmo a memorizzare un'enormità di spettri neuronali, in modo che ogni volta che avevamo a che fare con una materia grigia, ci bastava sintonizzarci su quella determinata lunghezza d'onda e lavorarci sopra. E provammo finchè non trovammo il collegamento.

Analizzatori telepatici, chi l'avrebbe mai detto. Ma noi ci credemmo. E ci riuscimmo, alla fine.

Ma la cosa che cambiò la mia vita successe dopo.

Gli analizzatori telepatici furono tolti dalla circolazione e il loro utilizzo fu permesso solo per finalità scientifiche. Quello che dicemmo sempre noi, insomma. Ma secondo noi, "finalità scientifiche', sarebbe dovuto essere un concetto da interpretare nel vero senso della parola: un ambito sperimentale al servizio dell'uomo per cercare di capire meglio il funzionento di quella palla gelatinosa che abbiamo nella scatola cranica. Anche Huger usò sempre questo termine, palla gelatinosa. Naturalmente in tedesco. E dovevate sentire che suono grottesco avevano quelle due parole. Bastardo Huger.

Invece si intromisero i Servizi Segreti e successe un mezzo macello.

Pensai molto riguardo all'utilizzo improprio degli analizzatori telepatici, e alla fine arrivai sempre alla conclusione che l'uomo continuerà a commettere i soliti errori del cazzo, non c'è niente da fare. Così smisi di mettermi problemi etici. Non me ne fregò più niente, insomma, che li usassero come volessero loro, quegli analizzatori.

Leggete pure nel cervello degli uomini: cosa sperate di trovare?

E poi lo so che i Servizi Segreti mi spiano anche adesso e non vedono l'ora che io faccia una mossa falsa per stroncarmi. Colpa di Huger.

Se sapessero che nel frattempo riuscii a procurarmi un analizzatore di onde cerebrali e un parametrizzatore stocastico, e che li ho nascosi in camera mia, non la prenderebbero troppo bene e non so che fine potrei fare.

Io, che l'analizzatore telepatico l'inventai.

Il problema è un altro, santo cielo. Sono ossessionato dal fatto che per colpa di tutto questo dovetti cessare le mie ricerche sulla macromolecorizzazione procariote, anche se cullo ancora l'idea ottimistica che qualcuno possa continuare i miei studi: l'importante é che chieda di Bierkovitz.

E dire che riuscii a dimostrarla, la mia teoria. Purtroppo nessuno lo sa, ed é per questo che se qualcuno volesse approfondire la faccenda, si rivolga a Bierkovitz, l'unico forse che ci può capire qualcosa.

La mia scoperta scientifica fu memorizzata sotto forma di algoritmi incomprensibili nella memoria del mio Analyzer, in attesa che arrivi qualcuno con un bel semantizzatore a scansione per completare l'esperimento. Qualcuno come Bierkovitz, per esempio. Chissà se ci ha cavato fuori qualcosa da quel macello di formule.

Fui sempre ossessionato dalle teorie di Margulis, lo scienziato che ipotizzò che i mitocondri e i cloroplasti derivassero da batteri entrati in simbiosi con la cellula. E quello fu il punto di partenza per le mie considerazioni.

Anche i tessuti umani, pensai infatti sempre io, essendo composti da singole cellule, assomiglierebbero in fondo a colonie batteriche, pur ammettendo una netta diversità strutturale della cellula eucariote da quella procariote. Ogni organismo pluricellulare, paradossalmente, sarebbe quindi una sorta di aggregato batterico perché l'unità base degli organismi viventi sulla terra non sarebbe altro che un batterio che si è evoluto senza tregua nel palcoscenico del nostro pianeta.

Parafrasando tutto questo, la vita potrebbe ridursi a un'infezione batterica. E quindi il pensiero proverrebbe dai batteri.

Questa fu da sempre la mia ossessione, anche se capisco che possa sembrare, a prima vista, infondata.

E tutti i batteri che sono sulla terra, da quelli che vivono nel corpo umano a quelli che prosperano nel terreno, nell'acqua, nelle pozzanghere, nelle piante? Per non parlare dei batteri patogeni. Il mondo è dei batteri, sono loro probabilmente ad essere gli organismi meglio adattati sulla terra.

E così immaginai la terra come una sorta di macrorganismo, ipotesi molto vicina alla teoria di Gaia di Lovelock. Ma mentre lui considerò il nostro pianeta come una specie di grande cellula, un ente capace di autoregolarsi, io invece lo ipotizzai come un enorme contenitore in cui batteva un invisibile cuore batterico. Dove gli uomini e gli altri organismi animali e vegetali recitavano la parte più vistosa ma forse la meno importante.

Iniziai allora a studiare come potevano essere disposti spazialmente tutti i batteri nel mondo, tenendo conto di tutte le variabili possibili. E qui mi aiutò il vecchio Bierkovitz, con le sue formule di matematica. Io gli diedi i parametri e lui calcolò tutto. Gli passai i dati chimico-fisici delle pozzanghere della periferie di Los Angeles e lui mi stimò le dimensioni delle relative popolazioni batteriche. Usò un procedimento stocastico s'intende, ma quelle che mi sputò fuori furono delle configurazioni più che realistiche.

Gli procurai ad esempio i dati infettivi della tubercolosi e lui mi diede la distribuzione spaziale, il pattern, come lo chiamò sempre Bierkovitz, delle colonie di Mycobacterium tubercolosis, quel fottuto microbo che manda all'altro mondo tanti cristiani. Potrei continuare così per gli Escherichia coli che sono nelle pance di tutti gli austriaci o gli Agrobacterium tumefaciens nei terreni agrari della Svizzera.

Mi procurai dalle banche dati dell'Università di Cambridge le liste delle specie batteriche scoperte fino ad allora. E iniziai così a portare avanti il mio delirio, come mi diceva sempre Bierkovitz. Lui però, anche se non credette mai molto alle mie teorie, continuò a calcolarmi i pattern spaziali di tutti i batteri che io gli propinai. Si divertì sempre molto, secondo me, a giocare coi suoi modelli matematici. I geni sono dei bambini, in fondo.

E un bel giorno arrivò Bierkovitz e mi disse: "Guarda qui Valla, ti ho fatto un grafico su scala mondiale delle distribuzioni spaziali di alcune specie batteriche presenti sulla terra. Puoi vedere i macro-profili come grossi aggregati: sono quelle palline sparse per il mondo. Però puoi anche approfondire i micro-pattern di ogni pallino e vedere le strutture...

"Ma va'..." gli dissi io.

"Sullo schermo - continuò lui - è possibile ingradire tutti i particolari che vuoi, come fossero scatole cinesi: ad esempio se in una certa zona gli agglomerati sono troppo confusi basta cambiare scala per particolareggiare meglio i dati. Per vedere meglio nel dettaglio le disposizioni, le reti di tutta la struttura. Sembra proprio una rete. Alcune specie batteriche hanno una disposizione... Cristo, guarda tu stesso Valla...

Dei tessuti nervosi, che comparirono come per magia mano a mano che Bierkovitz ingrandiva la rete. Fu quello che venne fuori dai suoi grafici.

"Poi ho sovrapposto le distribuzioni spaziali di diverse specie batteriche, quelli con le popolazioni relative più alte. Prima su macro, poi in microscala. Guarda qui Valla..." continuò Bierkovitz. "Sembra un sistema nervoso..." mi disse.

"Te l'avevo detto." feci io.

"Ma secondo te è un'organizzazione vera e propria o è solo un ammasso casuale di cellule che non sanno neanche di essere al mondo?"

Io non gli risposi. Risi istericamente come un matto dalla gioia, finché Bierkovitz non mi guardò con quel sorriso sornione.

Poi gli illustrai il progetto del mio successivo esperimento. Lui mi fissò trincandosi del Calvados e ridacchiando di tanto in tanto. Tanto non ci credette mai, il grande Bierkovitz a quelle mie fissazioni. Anche se si divertì sempre a giocare con le mie teorie. E" questo il più grosso merito dei geni.

"Per me è una follia, ma se riesci a parametrizzare i dati, spediscimeli. Io ho un semantizzatore, e non me lo beccheranno neanche i Servizi Segreti." mi disse.

"Come sarebbe a dire, spediscimeli?"

"Penso di partire, Valla, qui tira brutta aria Ti do il mio futuro indirizzo, tieni."

"Parti veramente?"

"Valla, qui le cose si mettono male. Per adesso preferisco andare via. E tu cosa pensi di fare?"

"Io rimango, e se non sono gradito, che vadano a farsi fottere."

"Sentiamoci spesso, mi raccomando."

"Puoi contarci."

"Se ottieni dei dati, mandameli. Mi raccomando."

Così realizzai l'esperimento senza Bierkovitz, che intanto era andato in Finlandia.

Non fu facile ma ci riuscii. Mi bastò fare costruire un amplificatore di segnale che interfacciai a un parametrizzatore. Poi calcolai la portata di quella rete gigantesca, grande come il mondo e costituita da cellule batteriche, come se fosse un enorme sistema nervoso. Ci misi un mese per tracciare uno spettro che si adattasse a un ipotetico segnale di quella massa assurda. Ci provai presupponendo che fosse un vero e proprio tessuto nervoso.

Fu il primo spettro neuronale teorico che mi costruii, ma non ebbi altre possibilità. Con un cervello umano si possono fare prove: basta saggiare diverse lunghezze d'onda e quando si è trovata la più verosimile si prova se le onde cerebrali di quel cervello vengono campionate. Basta provare e riprovare. Tanto si sa qual'è il range delle lunghezze d'onda dei cervelli umani.

Coi batteri no. Che cazzo ne sappiamo che funzioni d'onda partoriscono. E se le partoriscono, soprattutto. Ragionai per pura intuizione, insomma.

Così mandai l'analizzatore insieme all'amplificatore di segnale in orbita, per mezzo di un satellite svizzero che stava raccogliendo dati metereologi nella biosfera.

E qui devo ringraziare un mio amico ingegnere che mi consentì di intrufolarmi nell'Istituto di Ricerche Spaziali di Zurigo. Gli eventuali dati sarebbero stati teletrasmessi.

Alla fine parametrizzai un segnale, che in trenta secondi riempì tutta la memoria del mio analizzatore.

Che non è roba da poco.

Ti mandai quella sfilza di algoritmi, Bierkovitz, ma i miei dubbi rimasero senza una risposta.

Spero solo che tu non mi abbia tradito, anche se sono sicuro di no: sei troppo intelligente per farlo.

E poi Bierkovitz, che ce ne frega a noi di arrovellarci il cervello con queste stronzate? Lo sai bene quali sono le cose che mi piace fare nella vita. Stare sul lettino anatomico ad ascoltare della musica con un buon bicchiere di Calvados o di Duca D'Alba, passione che tu mi condividi, del resto. Vorrei sentire insieme a te quel bellissimo cd di Chet Baker che mettemmo su tanto spesso, durante i nostri discorsi di gnoseocibernetica o di donne.

Quante stronzate facemmo insieme, Bierkovitz.

E magari io ne sto commettendo anche adesso.

E pensando.

Basta solo che non mi hai tradito, grande Bierkovitz.

Fine del messaggio.

Bierkovitz spense il semantizzatore e dopo aver letto il messaggio si buttò sulla poltrona del salotto. Spinse un pulsante del telecomando e Chet Baker iniziò a suonare. Le note di If I should loose you iniziarono ad uscire come per incanto dai diffusori laminari sparsi nell'ambiente. Poi Bierkovitz andò alla finestra e guardò fuori: lo stesso panorama da tre giorni a quella parte. Solamente il tramonto aveva un colore diverso, con sfumature variabili per intensità di colore e cromatismi da un giorno all'altro. Ma si sa, l'atmosfera produce perturbazioni caotiche non lineari e i colori del crepuscolo non saranno mai identici una sola volta in tutta la storia del mondo. Magari diversi di pochissimo ma mai uguali. Per non parlare della variabilità intraspecifica dei meccanismi percettivi visivi.

Questo sarebbe stato semantizzato dal pensiero di Bierkovitz se ci fosse stato un decodificatore a campionargli il cervello.

Ormai Bierkovitz era lì da tre giorni ma di Vallanzani neanche l'ombra.

Iniziava a preoccuparsi, ormai.

Era venuto dalla Finlandia apposta con un pacco di grafici e algoritmi e voleva mostrarli a Vallanzani. E in più aveva con sè una pagina scritta, stampata in carattere arial, un frammento di trenta secondi di un pensiero. L'aveva stampato in Finlandia e si trovava salvato sul disco rigido del suo semantizzatore in un luogo sicuro.

Voleva parlarne con Vallanzani, ne valeva la pena. Prima di pubblicarlo voleva sentire il suo parere.

Da non crederci.

Santo cielo, Valla... dove sei finito?

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