Il cinema di fantascienza – ed in particolare la sua storia - continua ad essere oggetto di studio e di analisi, paradossalmente proprio in un periodo, come quello attuale, in cui escono davvero pochi film di science fiction, e tra questi veramente pochi sono quelli da annoverare come interessanti. Eppure ci sono stati momenti d’oro per questo genere di cinema e film che hanno lasciato un’impronta anche sulla storia tout court della settima arte. Un esempio su tutti: nel 2008 cade il quarantennale dell’uscita di 2001: Odissea nello spazio del Maestro Stanley Kubrick. Ci si potrebbe chiedere, allora, che senso abbia produrre indagini sul cinema - e sulla letteratura - di SF, quando questo genere sembra avere poco da dire? La risposta è molto semplice: la narrativa ed i film di fantascienza possono essere uno straordinario strumento per analizzare la nostra contemporaneità, una sorta di grimaldello per scardinare la realtà e studiarne le pieghe più profonde.

È proprio da questo punto di vista che -in qualche modo - prende le mosse l’interessante libro Nell’occhio, nel cielo. Teoria e storia del cinema di fantascienza di Luca Bandirali e Enrico Terrone, un corposo volume (ben 464 pagine, con un ampio corredo fotografico) edito dalla Lindau di Torino.

I due studiosi e critici – entrambi redattori della rivista Segnocinema – ci traghettano in un viaggio fantastico che parte da Il viaggio nella Luna di Georges Méliès per approdare ai giorni nostri, attraverso una mappa dettagliata del cinema di fantascienza (la filmografia supera gli 800 titoli). Ma come sottolinea il titolo del volume, non c’è solo una storia del genere, ma anche una sua teorizzazione ed una sua analisi del tutto originale, che fanno di questo testo un unicum del panorama saggistico italiano. 

A Bandirali e Terrone abbiamo rivolto alcune domande per parlare del loro lavoro, ma anche dello stato di salute del cinema di fantascienza.

 

Cominciamo da una curiosità: come è iniziata la vostra passione per il cinema di fantascienza? E la science fiction vi interessa solo dal punto di vista cine-televisivo, o siete anche lettori più o meno assidui?

Luca Bandirali: Il mio ricordo più lontano della fantascienza è un passaggio televisivo di Spazio 1999 visto da bambino, e di lì a poco ricordo una proiezione estiva di Guerre stellari. A livello letterario, un libro che mi impressionò durante gli anni del liceo fu I figli di Matusalemme di Heinlein. Da tempo, però, confesso di essere più assiduo come spettatore

Robbie, il robot di <i>Il Pianeta Probito</i>
Robbie, il robot di Il Pianeta Probito
che come lettore, anche se ogni tanto mi capita di fare qualche scoperta interessante, come Ghiaccio di Sorokin. 

Enrico Terrone: La mia passione per la fantascienza è iniziata con l’ondata di cartoni animati giapponesi degli anni ‘70. Di Guerre stellari e di Incontri ravvicinati del terzo tipo mi avevano folgorato le locandine, ma durante la visione onestamente ci avevo capito abbastanza poco. l primo film di fantascienza di cui serbo un ricordo nitido e un apprezzamento sincero è E. T.

Il vostro saggio si differenzia innanzitutto – ma non solo - per il fatto di essere formato quasi da tre libri in uno, perché suddiviso in tre parti, rispettivamente dedicate alla teoria, alla storia e alla messa in scena del genere fantascienza. Ci spiegate questa scelta e nel dettaglio la struttura del volume?

Enrico Terrone:  Il capitolo teorico è stato anteposto a quello storico e a quello stilistico perché riteniamo che per dire qualcosa di significativo sia necessario sapere precisamente di che cosa si sta parlando. Si potrebbe obiettare che è una premura eccessiva e che tutti sanno distinguere un film di fantascienza, ma a ben vedere non è sempre così. Dopo che abbiamo definito e spiegato il nostro concetto di fantascienza, la storia diventa lo studio delle sue realizzazioni nelle differenti epoche, mentre la stilistica si occupa dettagliatamente delle modalità con cui questo concetto può rappresentarsi in immagini e suoni.

L’approccio metodologico che utilizzate per analizzare i film di fantascienza è quello “ontologico”. In poche parole, l’ontologia vuole rispondere alla domanda “che cosa è reale?”: una domanda che sembrerebbe in contraddizione con la fantascienza, forse il genere cinematografico più immaginifico che possa esistere. In cosa consiste quest’approccio e come si applica, secondo voi, al cinema di fantascienza?

Enrico Terrone:  La fantascienza è immaginifica proprio perché estende la realtà: nei mondi fantascientifici la risposta alla domanda “che cosa è reale?” ha una portata più ampia in rapporto alla risposta che daremmo nel mondo in cui viviamo. Ma la fantascienza è immaginifica anche perché, letteralmente, fabbrica le sue immagini, cioè queste immagini fantastiche non sono date a priori, ma devono essere costruite, o perlomeno spiegate, all’interno del mondo narrativo, attraverso il ricorso alla scienza e alla tecnologia.