Non solo il tempo non esiste, ma non esiste nemmeno lo spazio: questo è quanto rimuginavo nei giorni scorsi, cominciando ad assumerlo come vero, continuando anche a scavare nei pensieri e nelle percezioni di tutto quello che preme addosso a ognuno di noi. “Non esiste né lo spazio né il tempo” è - anche - il concetto cardine che asserisce implicitamente il Paradigma Olografico, fautore di un’essenza nascosta che anima qualsiasi percezione che noi abbiamo del reale, un reale che diventa una poderosa e solida illusione modellabile da qualsiasi livello di realtà che l’umanità possa concepire: ovvero, chi è in grado di costruire una sua variabile della realtà può realizzarla, perché tutto è possibile a patto che si sia abbastanza forti da imporla agli altri, poiché la realtà è solo un vestito da adattare sull’essenza invisibile del nostro continuum. Pensaci bene - mi sono detto - nel passato ci sono stati diversi modelli di tangibilità, tutti veri e vincenti eppure, a volte, contrastanti tra loro in modo totale. Pensiamo all’Illuminismo, così razionale, così scientifico – che ci ha aperto le porte della ragione – eppure così distante, diametralmente opposto alla mistica dell’età classica - per esempio del Paganesimo - dove eventi naturali, imperscrutabili eppure rivelatori, erano letti come il volere di un dio piuttosto che di un altro essere deificato. Continuando a braccio: perché gli avvistamenti degli UFO sono diventati assai frequenti, ma solo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale? Sembrerebbe quasi che un meme si sia diffuso tra gli uomini, e che un particolare modello di realtà abbia preso piede, forse semplicemente
perché si è semplicemente affermato, forse perché ha avuto sufficiente forza da far passare il concetto UFO come qualcosa di assolutamente esistente. Pensiamo anche alla tecnologia dei semiconduttori, alla fisica che governa l’area della giunzione del transistor e che ha del miracoloso, del bizzarro; verrebbe quasi da pensare che tale tecnica non dovrebbe nemmeno funzionare, data la sua precarietà, eppure è alla base della nostra società attuale, costituisce il substrato vitale che ci permette di trasporre e diffondere anche le considerazioni che state leggendo. Parlate, a questo proposito, con un ingegnere di microelettronica, e vi dirà che – per esempio – il buon funzionamento della RAM di ogni computer (circuiti realizzati sulla tecnologia dei

semiconduttori a giunzione) ha del prodigioso, non dovrebbe nemmeno operare tanto è instabile l’equilibrio su cui si basa il funzionamento dei banchi di memoria volatile.

Cosa significa tutto ciò? Tutto, oppure niente. Dipende, molto, dall’atteggiamento con cui ci poniamo di fronte a tali considerazioni; dipende dal grado d’introspezione che usiamo per scavare nei fenomeni che avvengono attorno e dentro noi. Dipende dalla sensibilità di cui siamo capaci e che possiamo usare per osservare, percepire, ogni avvenimento, fino a giungere a una coscienza multipla, a una vitalità che ci sembra infinita, a uno scoperchiare l’illusione che aderisce ai nostri sensi come se fosse una seconda pelle; è uno scoprire che tutto è vero come nulla può esserlo, finendo per ritrovarci come Neo in Matrix che osserva la realtà scomporsi in codici grafici elementari, aggregati come macro via via sempre più complessi: no, non sto asserendo che dietro a noi ci sono delle macchine, sto semplicemente dicendo che Matrix era una metafora per suggerirci la neurosimulazione di cui tutti siamo piacevolmente vittime. Chi c’è dietro la nostra Matrix? Non lo so, non ho idee precise, forse un Demiurgo, forse un Grande Antico… Forse nulla.

Da quando ho cominciato a speculare su tali pensieri i segnali, attorno a me, di un tale stato dell’universo sembrano aumentare; piccoli suggerimenti mi vengono anche da fonti impensabili, come la serie televisiva Lost, che proprio nella puntata trasmessa pochi giorni fa sembrava suggerire che tutto il gruppo dei dispersi fosse parte di un esperimento medico, e che essi fossero semplicemente stati immersi in una simulazione – non meglio specificata – tale da farli credere dispersi su un’isola deserta. In fondo, su quell’isola si ritrovano personaggi che non dovrebbero esserci, come l’atleta incontrato allo stadio da Jack (il medico) anni prima, di notte, e che inspiegabilmente lo si ritrova chiuso nel bunker da quarantena, impegnato a pigiare i tasti dell’assurdo e forse inutile countdown; come Harley, il personaggio obeso che proprio sull’isola incontra – forse – la donna della sua vita, che uno scorcio finale d’inquadratura rivelatore e geniale ci svela essere una precedente compagna di degenza in un ospedale psichiatrico. Cos’altro è, tutto ciò, se non un’indicazione di una realtà illusoria che ci circonda tutti? Cos’altro è, questo, se non un invito al risveglio, di matrixiana memoria ma, soprattutto, di mistica memoria, di quella che si trasmette di generazione in generazione. fin dagli albori dell’umanità?

E la tecnologia, in tutto ciò? Cosa c’entra?