raccontata da Riccardo Valla

Pagina 1 di 2 - 1 > 2 - versione stampa

STORIA DELLA FANTASCIENZA

La storia della fantascienza, dall'epoca di Verne e Wells fino all'era del cyberpunk, è affascinante. Riccardo Valla, uno dei maggiori esperti italiani, ce la racconta un po' per volta, in ordine sparso.

Lascio da parte la storia delle riviste per iniziare il primo di una serie di "speciali" sui temi della fantascienza: le sue immagini caratteristiche, le sue ambigue profezie. Iniziamo col "robot". Questa è la prima parte, il seguito a una prossima puntata.

1. Premessa

Vi sono alcune immagini fantastiche che ricompaiono lungo l'arco della letteratura umana. Nell'ultimo secolo la fantascienza ha tentato di appropriarsene, ma secondo noi, queste immagini presistono ad essa e colpiscono di per sé stesse, senza bisogno di quella mediazione che è fornita dalla narrazione, cosicché la fantascienza finisce per essere un grande tentativo di esorcizzarle, togliendo loro l'ambiguità e riducendole ad entità spiegabili.

Altro elemento da tenere presente è come l'effetto di queste immagini tenda a ridursi con la loro ripetizione, un po' come nella musica le innovazioni ci colpiscono finché non "abbiamo fatto l'orecchio", e ciò porta a una loro "escalation": nella fantascienza questo progredire della tecnica narrativa viene confuso con la profezia. Per citare un esempio, all'inizio dell'Ottocento fu sufficiente l'annuncio che l'astronomo Herschel aveva visto animali e creature intelligenti sulla luna per colpire i contemporanei e creare la moda della luna, ma qualche anno più tardi la notizia sola non era più sufficiente: la gente voleva vedere raffigurate quelle novità, come nei disegni di Grandville. Ma poco più tardi, con Robida, la sola immagine non bastava più, e l'illustratore francese la giustificò dandole un contenuto satirico. Tanto Jules Verne quanto H.G. Wells utilizzarono la stessa idea di Robida (l'immagine nuova, da confrontare con quelle della realtà), e anche se le opere di Verne sembrerebbero prive di spunti critici, il vecchio rivoluzionario Jules Verne riaffiora ogni tanto dietro i paterni suggerimenti dell'editore e si concretizza in qualche opera che oltre a essere avventura è anche critica della società.

Non tanto I 500 milioni della Begum, con la sua opposizione tra la città della Libertà e quella dell'Acciaio, entrambe costruite in quell'America dove Etienne Cabet voleva creare verso il 1850 la sua repubblica utopica di Icaria: come oggi si sa, il soggetto dei "500 milioni della Begum" veniva da André Laurie (pseudonimo di Paschal Grousset, scrittore e politico di idee rivoluzionarie). Pensiamo piuttosto a opere totalmente di Verne come "20 mila leghe sotto i mari", in cui, ad esaminarne i dialoghi, si scopre una netta opposizione tra la libertà del mare e le costrizioni della terraferma. Tutto il viaggio subacqueo assume forti connotati anarchici, come in un noto racconto della stessa epoca, scritto da Kingsley, I bambini acquatici, in cui un bambino stanco dei mali della società va a vivere sott'acqua coi pesci.

Se l'opposizione centrale di Verne è quella tra la libertà utopistica e la società che impone le sue catene a questa libertà, il nucleo di H.G. Wells è più preciso ed è legato all'imperialismo inglese di quegli anni. Nella Guerra dei mondi i marziani che scendono sulla terra adottano quella che è in effetti la politica inglese delle cannoniere (per poi venire sconfitti "dagli esseri più umili", i batteri), e nella Macchina del tempo i discendenti delle classi abbienti e quelli delle classi operaie danno origine a due ceppi diversi di umanità.

Iniziamo però con l'immagine più antica e più vicina all'uomo, quella dell'uomo di metallo o uomo artificiale, il "robot".

2. Gli uomini di metallo fino al medioevo

Il robot è una figura ancor più antica di quella dell'"alieno" o dell'Ufo, che compare nella Repubblica di Platone, in corrispondenza con la storia di Gige, antenato di Creso, e del suo anello: dopo una tempesta e un terremoto, Gige scopre un "cavallo di bronzo", al cui interno c'è il corpo di un gigante, privo di vesti e con un anello al dito; in seguito Gige si accorge che l'anello rende invisibili. Sembra una storia di alieni che si aggirano tra noi, invisibili, e che arrivano con gli Ufo: uno ha un incidente e nell'atterrare fa un buco nel terreno...

L'alieno di Gige era di carne; nelle opere letterarie a noi note, le tracce di uomini di metallo sono ancora più antiche, e la loro figura si incontra in varie letterature. Probabilmente l'origine dell'immagine dell'uomo di metallo è greca: del resto è noto l'interesse della civiltà greca per i meccanismi, gli orologi, le fontane (va però detto che c'è un caso cinese che non rientra in una diffusione avente origine dalla Grecia). Già la tradizione omerica parla dei servitori meccanici posseduti dal dio Vulcano nella sua officina, e più tardi, nelle storie degli argonauti, incontriamo il gigante Talos, fatto di rame e dal sangue bollente. Gellio cita nelle Notti attiche le quantità di libri fantastici venduti ai passeggeri che si imbarcavano nei porti greci, per ingannare il tempo del viaggio, e forse è con questi antenati del feuilleton che l'immagine si è diffusa nell'Oriente, dove ricompare in forma scritta verso l'anno Mille. Nelle tradizioni nordiche non sembra invece presente: il loro meccanismo più complesso è forse la corazza impenetrabile di Beowulf. Qualche idea vicina a quella degli uomini di metallo si ha nelle leggende su Virgilio (il Vergilius Magus medievale, "colui che tutto seppe") che possedeva una testa di metallo parlante o una mosca di metallo da lui usata per spiare luoghi lontani; lo stesso si diceva di papa Silvestro.

Nella favolistica araba di quei secoli compare un "arciere di bronzo" in una delle prime storie delle Mille e una notte, quella del facchino e delle tre dame di Baghdad. In essa un pellegrino narra di avere fatto naufragio contro il Monte Magnetico, che strappa i chiodi dal fasciame delle navi, e di avere fermato l'uomo di bronzo che stava sulla cima del monte e che faceva naufragare i vascelli. A salvarlo dall'inabissamento del monte era poi giunto un altro uomo di bronzo, che l'aveva portato via con la sua barca. Curiosa anche una storia a noi giunta in un manoscritto buddista dell'Indocina: in esso si parla del re di Roma (probabilmente l'imperatore di Bisanzio) i cui maghi riescono ad animare "guerrieri di metallo" (introducendo uno spirito al loro interno) e se ne servono come di assassini. La storia prosegue dicendo che il segreto è gelosamente custodito e che coloro che conoscono il segreto non possono allontanarsi dalla città. Nella storia il segreto viene sottratto da un indiano e usato per proteggere un tempio pieni di reliquie. Il re di Roma, però, quando viene a sapere che in India qualcuno conosce il suo segreto, manda uno di quei guerrieri a uccidere l'indiano che lo ha scoperto: insomma, una sorta di Terminator!

Il caso cinese è molto più antico di questi, ma non sembra avere avuto ulteriore sviluppo in patria: è una sola citazione risalente al terzo secolo prima di Cristo. La citazione riguarda il Primo Imperatore, Ch'in Shih Huang-ti (lett. il Signore del Ch'in, l'Augusto) quello famoso per i "guerrieri d'argilla" e che è rimasto nella tradizione come il più grande tiranno della storia. Borges lo ricordava perché aveva fatto bruciare i libri e costruire la Grande Muraglia, ma pare sia stato un personaggio ancor più romanzesco (anche se non proprio per le due azioni di cui lo accusa Borges: la Muraglia già esisteva e soprattutto l'imperatore aveva cercato di eliminare il Libro delle Odi in cui erano riportate le antiche cerimonie, da lui giudicate uno spreco di vino caldo e una perdita di tempo). La sua leggenda dice che per anni si appassionasse dell'alchimia e che perciò si fosse circondato di fontane contenenti mercurio invece che acqua, e prosegue narrando che in ciascuno dei suoi palazzi, collegati tra loro da passaggi segreti, avesse messo una bambola animata, uguale a lui, per sviare i potenziali assassini. Altri automi gli facevano da guardie.

Il Signore del Ch'in non lasciò eredi, e con la dinastia seguente l'interesse dei cinesi per i congegni meccanici si spense.


Tutti i diritti sono riservati. E' vietata la riproduzione in tutto o in parte del testo e delle fotografie senza la previa autorizzazione della direzione di Delos Science Fiction e degli aventi diritto.

raccontata da Riccardo Valla

Pagina 2 di 2 - 1 < 2 - versione stampa

STORIA DELLA FANTASCIENZA

3. Il ritorno nel Settecento

Con la diffusione dell'alchimia e della scienza naturale in Occidente, sembrerebbe che questo genere di immagini dovesse aumentare, ma invece scompare per ricomparire nel Settecento. Probabilmente l'immagine del "robot" non sorge dall'idea dei progressi che si possono conseguire con la scienza, ma da un'idea dell'uomo come elemento di una società ordinata. Il Primo Imperatore seguiva la scuola filosofica legista, che voleva abolire tutte le vecchie tradizioni e creare una società perfettamente burocratizzata; i suoi successori reintrodussero il confucianesimo e ritornarono alle vecchie tradizioni. Anche nella storia buddista del Terminator, la civiltà di "Roma" che produce i "guerrieri metallici animati" è una società rigorosamente organizzata. Così, nel Settecento, il ritorno dell'immagine del robot si accompagna alle proposte di una maggiore organizzazione sociale, quando circolavano suggerimenti come il falansterio, un singolo edificio capace di ospitare una falange di cittadini, o il panopticon, l'edificio costruito in modo che il suo interno possa essere costantemente oggetto i osservazione.

Nell'immaginazione del Settecento, l'aspetto interessante di questo tema è che la "meccanizzazione" è vista come un fenomeno positivo, un "miglioramento" rispetto alla forma naturale: gli strumenti musicali automatici realizzati dai meccanici dell'epoca sono più precisi dei suonatori veri, e lo stesso vale per gli "automi" che venivano costruiti all'epoca per divertire i principi. Il fatto che si dedicasse tanta attenzione alla costruzione di questi giocattoli sottintende però un giudizio preciso: che l'imitazione meccanica sia migliore dell'originale.

Questa ammirazione per la copia meccanica è visibile in Hoffmann. Nel famoso racconto che ha ispirato l'opera I Racconti di Hoffmann, il protagonista si innamora di una donna perfetta, che però è una bambola costruita da un orologiaio; cent'anni dopo, il francese de l'Ile Adams scriverà un racconto analogo, Eva futura, con protagonista una bambola meccanica costruita dall'inventore Edison, e in questa tradizione rientra un po' anche la donna robot del film Metropolis.

Nella prima parte dell'Ottocento, la macchina più complessa costruita dall'uomo fu il calcolatore di Babbage, ma non sembra che qualcuno si sia ispirato a quello. Compaiono alcune sporadiche immagini: il giocatore di scacchi di E.A. Poe, l'"uomo a vapore delle praterie" di un feuilleton americano degli anni 1850: un uomo meccanico, azionato dal vapore, che nelle illustrazioni del fascicolo dell'epoca trascina un carretto (lasciandosi alle spalle gli indiani che lo inseguono).

4. Gli anni 1920

Il tema degli uomini meccanici non pare riscuotere molto interesse per una quarantina d'anni, ma ritorna negli anni 20 sotto vari aspetti. L'esempio più noto, quello dei "lavoratori" della commedia di Capek che ci hanno dato il nome "robot", presentava in realtà una sorta di cloni o di prodotti della biologia, più vicini al personaggio del mostro di Frankenstein, sia come origine sia come psicologia: si tratta di uomini che, diversi a causa della loro origine, non sono accettati dall'umanità come uguali. Anche il "mostro di metallo" di un romanzo di Abraham Merritt è un essere vivente, un "alieno", fatto di metallo; tuttavia è nato e non è stato costruito. Vero robot è invece quello già citato del film Metropolis, anche se all'autrice del testo, Thea von Harbou, la moglie di Lang, dev'essere stata ispirata dai vari film girati all'epoca sul personaggio dell'Alraune, la radice di mandragora che diventa donna per sedurre gli uomini e dannarli.

In questo gruppo si inserisce anche un curioso romanzo italiano del 1932, L'uomo di fil di ferro, ambientato in un non precisato futuro. In esso, nelle vicinanze delle officine dell'inventore italo-americano Fabbri, si nota occasionalmente la presenza di uno strano individuo che esce incolume dallo scontro con un camion, salva persone che cadono dal tetto, e alla fine scopriamo essere Zeta Otto, un uomo meccanico: il primo di un gruppo di operai meccanici che il proprietario delle officine intende costruire. L'automa, nei suoi vagabondaggi, ha avuto la prova che non solo il suo fisico, ma anche la sua intelligenza è superiore a quella degli esseri umani e questo l'ha convinto di doversi impadronire del potere; con gli altri uomini meccanici conquista perciò la città di Roma. Finirà però per cadere nello spleen perché è innamorato e non è umano, e insieme ai suoi compagni scende nel Tevere: di lì, sott'acqua, raggiungono il mare. Gli uomini, a loro volta, dopo avere provato il pericolo delle macchine, rinunciano a quello sviluppo "artificiale" e riscoprono la natura (noi diremmo l'ecologia).

Tutti questi sono esempi di robot un po' fuori del tipo più noto, che è Robbie the Robot del film Il pianeta proibito. Per giungervi bisogna però passare attraverso due personaggi, uno famosissimo, Isaac Asimov con le sue "leggi della robotica", e l'altro poco conosciuto, ma altrettanto importante nel suggerire l'immagine del robot: l'illustratore Frank R. Paul, autore delle "copertine robotiche" della rivista americana Wonder Stories.

1- continua


Tutti i diritti sono riservati. E' vietata la riproduzione in tutto o in parte del testo e delle fotografie senza la previa autorizzazione della direzione di Delos Science Fiction e degli aventi diritto.