Con Field Commander, Sony prova a regalare all’altra metà del cielo uno strategico che possa competere con Advance Wars di Nintendo. Il cielo è quello delle console portatili, nella fattispecie di Psp. E l’operazione porta a risultati interessanti. Soprattutto nell’ottica di un utilizzo del videogame in multiplayer. Esistono diverse possibilità per chi volesse sfidare un altro giocatore, tanto in rete locale quanto online, appoggiandosi al wi-fi o scambiandosi la console di turno in turno, concorrendo alla scalata della classifica mondiale.

La più intelligente è chiamata modalità trasmissione e ricorda il play-by-email di certi strategici per pc (da Civilization al meglio della scuola esagonale), che a loro volta ricordano romantiche partite a scacchi ottocentesche tenute in vita per mesi, comunicandosi le mosse per lettera. Ognuno spedisce all’altro le proprie mosse e poi studia le successive. Nell’intervallo si può fare qualsiasi cosa. Arrovellarsi sulla disposizione delle pedine, andare in ufficio, mangiare, dormire, giocare a Loco Roco, scrivere un romanzo, spegnere la console.

È una modalità intelligente perché, essendo Field Commander uno strategico a turni, per sua natura genere dallo sviluppo meccanico e piuttosto lento, la facoltà di congelare il ragionamento – così come quella di perpetrarlo a oltranza, ossessivamente - permette di assaporare con più gusto la sfida, senza necessariamente il rischio di un’indigestione. Ciò in generale. L’aspetto più pratico della faccenda è invece che non serve stare collegati incessantemente a internet, consumando la batteria di Psp, in attesa delle decisioni dell’avversario. C’è inoltre da considerare che, oggi che molti giocatori sono grandicelli e magari lavorano e hanno una famiglia, potere diluire a propria discrezione, nella giornata, il tempo dedicato ai videogame fa particolarmente comodo. Specie per chi abbia una predilezione per il multiplayer, storicamente l’hobby che più coccia con gli altri impegni. Figurarsi quando sono gli impegni di due persone a dover andar d’accordo.

In questo modo Sony unisce l’utile al dilettevole e dimostra di non aver preso sottogamba la realizzazione di Field Commander. Un altro indizio? La possibilità di fronteggiare un amico sulla stessa console, passandosela tra la fine di un turno e l’inizio del successivo, di nuovo una maniera intelligente per venire incontro al pubblico di Psp.

Naturalmente anche la struttura di gioco del videogame è curata. Le basi sono solide: poggiate e non adagiate pigramente sulle fondamenta del genere. Ci sono una trentina di unità con precise caratteristiche di attacco e difesa, che mutano anche in funzione dell’ambiente. Per scenari e pedine, Field Commander si avvale di una grafica tridimensionale non troppo rifinita, ma efficace, nel senso fisico.

Lo sforzo produttivo di Sony si muove piuttosto nel versante del sonoro, questo sì ben in evidenza, a cominciare dalla presenza del doppiaggio, aspetto raro per il genere, ancora più raro su console portatili. D’altronde si dovrà spiegare pure in qualche modo lo stoccaggio su umd.

In realtà c’è poco da recriminare al videogame inserito, in Europa, nel catalogo Ubisoft. Le meccaniche, seppure non rivoluzionarie, funzionano a meraviglia, tra aerei futuribili, carri, mech e sottomarini da comandare in battaglia, mentre la trentina di missioni della campagna da solisti aiuta a scoprire le piccole ma importanti differenze che fanno di Field Commander un titolo a parte e vengono utili specialmente in un secondo tempo, quando si tenta di avventurarsi nel multiplayer. Se la sostanza c’è, ecco, il limite è lo stile della confezione. Si è sempre lì, con gli yankee big jim contro i terroristi, in una interpretazione del tema nemmeno tanto ispirata e, anzi, un po’ scolorita. Domanda esistenziale: siete di quelli che quando giocano a scacchi guardano la forma dei pezzi sulla scacchiera?