Forse lo capì, perché quando finimmo di mangiare disse: - Mark - accarezzandomi la mano - tu sei stato molto più fortunato di me. Appena hai cominciato a svegliarti hai trovato il modo di uscire dal guscio, o forse è stato proprio questo a svegliarti. Io sono sveglia da molto prima di te, ma il modo non l'ho ancora trovato. Ho solo creduto di trovarlo nel sesso. Ma so che non è quello giusto. Anche se non vorrò mai farne a meno. Ti ho amato... - I suoi occhi erano stranamente calmi, profondi. - Ma ormai non è più possibile. Dubito che riusciremo ancora a sapere qualcosa l'uno dell'altro. Ti auguro solo di rompere definitivamente il guscio, Mark. Di uscirne del tutto. Sarebbe molto brutto per te rimanere a metà. - Tenne ancora la mia mano tra le sue, rimanendo a fissarmi con quegli occhi che non le avevo mai visto.

Poi si alzò e andò via.

Ho impressioni confuse del resto di quel giorno. Mi resi conto solo che gli "altri" avevano cominciato a isolarmi.

Ricordo perfettamente, invece, dal momento che spensi la luce. La costruzione della sera prima, le sue strutture incomplete, le possibilità che aveva di crescere indefinitamente. E anche, intuii, una capacità dinamica che pur non sapendo come figurarmi, faceva intuire che la mia costruzione era ben diversa e più complessa di un mosaico volumetrico, sia pure sconosciuto.

Anche quella notte mi lasciai andare al sonno verso l'alba.

Dopo essermi lavato feci colazione e mi distesi su una poltrona del soggiorno. Ci rimasi fino a tutto il pomeriggio in una specie di nirvana, un'abulia che mi rendeva la mente sgombra dai pensieri e quasi toglieva ogni percezione. Fu il buio a riportarmi percezione e pensieri. Mi alzai. Poche cose dal frigo, mi lavai nel bagno, poi di nuovo a letto.

Ed ecco che ancora, nitidissimi, erano attorno a me. Un lavoro d'incastro tridimensionale e una potenzialità dinamica che potevano divenire infiniti. Anche se il tutto sfuggiva totalmente alla mia comprensione. Io disponevo i pensieri, essi si intersecavano l'uno nell'altro senza possibilità d'errore, avvertivo che il processo avveniva nel modo esatto: con il crescere della costruzione, delle sue possibilità, della sua "potenza", ma seguendo parametri che mi restavano inaccessibili.

Mi risvegliai senza fatica né intontimento.

Anche all'Istituto il mio lavoro si svolse in modo impeccabile.

- Mark - disse Louis all'uscita, a mezzogiorno - da un po' di tempo sei strano. Ma oggi è come se fossi diventato... il padrone, sì, il padrone di tutto quello che fai, e al tempo stesso non te ne importasse niente...

- Non pensarci, Louis. A tutti prima o poi capitano momenti di stranezza.

Forse non lo convinsi ma non desideravo continuare, non perché temessi l'argomento: non desideravo parlarne.

Al nostro tavolo venne solo Letsy. - Avete rotto, mi ha detto Lohu.

- E' stata lei a volerlo.

- Ma solo perché non c'era più motivo di...

- E' stata lei a dirlo.

Tacque.

Mangiai assorto, ma sentivo che la mia presenza si frapponeva tra loro. Prima, con Lohu, era diverso; anche io, in certo qual modo, lo ero. Mi lasciarono appena ebbero finito. Contrariamente al solito io invece rimasi. Uscii poco prima che riprendesse il turno. Louis, all'Istituto, mi disse qualcosa scusandosi di avermi lasciato. Gli feci cenno che non stesse a pensarci.

Il pomeriggio trascorse come la mattina. Prima di tornare a casa mangiai qualcosa, poi andai a stendermi sulla solita poltrona e vi rimasi fino a crepuscolo inoltrato. Uno spuntino distratto, una puntata nel bagno, poi a letto.