Per fortuna il caso ha voluto che quest'anno ci sia stata la Grande Opposizione di Marte. Benché queste configurazioni planetarie si ripetano ogni 15/17 anni, le modalità di volta in volta sono differenti e da molti secoli il Pianeta Rosso non era mai stato così vicino alla Terra come questa volta. Insomma, tra la metà di agosto e la metà di settembre del 2003, l'occasione per osservare Marte non era solo molto favorevole, era davvero unica. Senza contare che Marte io lo potevo vedere tutte le sere dal balcone della cucina. Così (come penso molti altri) ho fatto la pazzia e, dopo attente ricerche e valutazioni, ho comprato un piccolo telescopio. Niente di stratosferico, intendiamoci. In fondo la Luna, i pianeti (fino a Saturno) e molte stelle doppie sono osservabili con un classico riflettore Newtoniano da 114 mm o un altrettanto tradizionale rifrattore acromatico da 90 mm. Tutta roba non proprio economica, ma piuttosto abbordabile in termini di prezzo. L'ho portato a casa, mi ci sono picchiato un po' e per un po', devo ammettere, ha vinto lui. Poi, alla fine, quando ho avuto ragione di ruote dentate, declinazione, asse polare e ascensione retta, sono riuscito a puntarlo correttamente e ho avvicinato l'occhio all'oculare... Ecco, la prima volta che avvicini l'occhio all'oculare di un telescopio ti rendi conto che non è una cosa normale quella che stai per fare. Ci si sente un po' come ragazzini che sbirciano per la prima volta dalla serratura dello spogliatoio delle ragazze... Marte è lì. Lo vedi. E' proprio quello, porca miseria! Subito ti appare come un disco arancione abbastanza uniforme. Non ha niente di planetario, tranne il fatto, non del tutto trascurabile, che tu sai che quello è proprio il Pianeta Rosso com'era appena tre minuti fa (tanto impiegava la luce ad arrivare alla Terra nell'agosto scorso). Non ha niente a che fare con le immagini che di sicuro hai già visto in giro, ma quella non è una foto. E non è nemmeno un disegno. Ti senti come uno che, fino a un istante prima, non sapeva nuotare e, contro ogni evidenza, si sorprende a galleggiare. Quella cosa lì è proprio Marte a 55 milioni di chilometri da qui e non puoi trattenere un'esplosione di brividi su e giù per la schiena. Certo, di tutto quello che ti mostrano le illustrazioni delle riviste, i canyon, i canali, i vulcani, vedi ben poco, se non niente. Ma quando l'occhio ti si abitua e riesci a distinguere solo quel leggero biancore ovale che capisci essere la calotta polare, senti qualcosa che ti si smuove dentro. E cominci a capire per davvero la storia della pallina da golf.

Se poi ti capita di fare la stessa cosa con Saturno, il risultato è ancora più sconvolgente. Le fotografie della Voyager sono straordinarie e quelle della Cassini saranno ancora più incredibili, ma vedere gli anelli benché sfuocati, ma con i tuoi occhi, sapere che sono davvero là proprio come dicono i libri, attribuisce un sapore, un significato, una prospettiva, del tutto nuovi alla percezione dell'universo che ti circonda e che ti ospita. Guardando il cielo in una notte di Luna nuova, sembra tutto uniforme: una distesa di puntini più o meno luminosi disposti a casaccio, e invece possiede una varietà di cui solo guardandolo direttamente con i tuoi occhi si può afferrare la portata, e intuire, nell'ottica della pallina da golf, quanto questo universo sia vasto e misterioso e perciò degno di attenzione. Per questo sono convinto che l'astronomia sia una delle scienze più meritevoli di essere seguita e studiata, non solo perché lo studio dell'universo è anche lo studio di noi stessi, delle nostre origini e delle nostre ragioni di essere. Ma anche (e, oserei dire, soprattutto) perché portandoci lontano centinaia, milioni, miliardi di anni luce, a osservare oggetti cui la nostra immaginazione non si può nemmeno avvicinare per dimensioni, complessità e bellezza, rimette al suo posto la nostra prospettiva nei confronti di noi stessi e della piccola palla su cui viviamo, fa ordine nella scala dei nostri valori e contribuisce a farci capire che il golf in fondo è soltanto un gioco e l'importante non è vincere, ma giocare bene.