Gli alieni dunque, a rischio della loro stessa vita, hanno fatto appena in tempo a fuggire evitando l'onda d'urto della nova solare in espansione. Resta il rebus dei terrestri svaniti. Un mistero che Clarke, con colpo da maestro, risolve nelle ultime pagine regalandoci una storia che è anche una sorta di monumento (magari un po' retorico, un po' fumettistico, ma a suo modo geniale) alla creatività, alla vitalità e alla testardaggine del genere umano!

Del tutto differente e solo in apparenza più placido è lo scenario da "fine delle ere" descritto dal Viaggiatore, protagonista del romanzo La macchina del tempo (1895) di Herbert G. Wells. Anche in queste pagine si descrive una catastrofe planetaria: i toni non sono apocalittici, ma di lentezza (anzi, indifferenza), solitudine; non c'è una "desertificazione" in senso letterale, traspare comunque un paesaggio brullo in cui dominano aridità, definitivo senso di perdita.

Prima di rientrare definitivamente nel suo tempo, infatti, Il Viaggiatore decide di spostarsi a curiosare nel più lontano futuro. Approderà in un'epoca a circa 30 milioni di anni da noi:

Mi fermai con molta delicatezza e, seduto sulla Macchina del tempo, guardai attorno. Il cielo non era più azzurro, anzi verso nord-est era nero come l'inchiostro; in alto si tingeva di un rosso cupo senza ombra di stelle, mentre a sud-est il colore si mutava in un lucente scarlatto dove, sulla linea dell'orizzonte, spiccava immobile la grande sfera del Sole. Anche gli scogli intorno erano rossicci, e l'unica traccia di vita che scorsi era il verde intenso della vegetazione che copriva queste rocce sul lato a sud-est. (...) Vidi, molto vicino a me, la cosa che avevo scambiato per un gruppo di scogli rossi: un essere grande e mostruoso simile a un granchio. Le sue numerose zampe si muovevano lente e incerte, agitando grossi artigli; aveva antenne lunghe come fruste di cavalli e due occhi sporgenti che mi guardavano dall'uno e dall'altro lato della fronte metallica.

Il Viaggiatore scopre che un'orda di quelle creature lo hanno individuato e si dirigono verso di lui. Azionando un comando della Macchina, in un attimo egli si sposta in avanti di un mese:

Non è possibile descrivere il senso di odiosa desolazione che ora incombeva. Il cielo rosso a oriente e nerissimo a nord, quel mare che era veramente morto, la spiaggia pietrosa piena di mostri striscianti, il verde uniforme e deprimente dei licheni, l'aria sottile che mi faceva dolere i polmoni: tutto contribuiva a rendere terrificante quel luogo.

Affascinato da quella desolazione, il Viaggiatore si spinge sempre più lontano nel futuro, per altri milioni di anni. Quando infine si arresta, scopre che sulla spiaggia grava un cielo più rosso e cupo; i granchi giganti sono definitivamente scomparsi; resta il "verde livido" dei licheni, a testimonianza che la vita non è ancora svanita del tutto.

L'oscurità cresceva rapidamente, raffiche di vento soffiavano da levante e adesso fiocchi di neve volteggiavano fitti. Il mondo era immerso nel silenzio (...) Fui preso da un senso d'orrore. Qualcosa, tuttavia, si spostava sul banco di sabbia: era un corpo rotondo, simile a un pallone da football da cui uscivano dei tentacoli. Si muoveva saltellando, a balzi irregolari. Mi accorsi che stavo per venir meno, ma il terrore di giacere inanimato in quel remoto spaventoso crepuscolo, mi sostenne mentre mi arrampicavo sul sedile della Macchina.

Sorprende scoprire in Wells pagine dal sapore quasi pre-lovecraftiano; ad ogni modo forte è il sense of wonder di questi scenari, in cui si immagina che il nostro Sole faccia una fine diversa, praticamente "per consunzione", in accordo con teorie in voga all'epoca.