Su un poggio erboso, incongruo, immobile, tozzo e squadrato, stava un mezzo cingolato, un VTC M-113 di quelli che avevamo anche al "Butera". A giudicare da quel che si poteva vedere delle insegne, coperte da fango secco e olio, annerite dal fumo, si trattava proprio di uno dei nostri blindati. Notai, avvicinandomi lentamente, che sulla sommità del cingolato era stato installato il cannone anticarro senza rinculo. Per un attimo, assurdamente, pensai che ci erano venuti a cercare con quel cingolato; poi notai che il portellone posteriore era spalancato in modo anormale, come se fosse stato scardinato, che un cingolo era rotto e se ne stava steso sull'erba dietro il veicolo. Girai attorno al VTC, seguito da Magni; il fianco sinistro del mezzo era deformato e annerito. L'avevano colpito in modo tale da trinciare il cingolo e da strappare quasi completamente il portellone dai cardini.

Giuseppe s'era intanto inoltrato nello spazio tra il cingolato e il limitare del bosco, poi indicò un punto del terreno. Seguii la sua indicazione e vidi alcuni corpi immobili. Mi avvicinai, e i miei timori furono confermati: erano dei morti. Indossavano mimetiche a chiazze, sul tipo di quelle dei parà. C'erano due fucili per terra, armi diverse dalle nostre, con lunghi caricatori ricurvi. Tra i corpi, uno infagottato in una giacca a vento troppo grande, riverso con una mano sullo stomaco, il sangue che cominciava a rapprendersi sulla pelle e sul tessuto verde marcio. Il volto di Ribicchini era contratto in un'estrema sofferenza; gli occhi, pieni dell'ultima spaventosa sorpresa.

- L'hanno colpito per sbaglio, - spiegò Giuseppe, - credevano che era dei regolari.

- E questi chi li ha ammazzati?

- Erano già morti quando siamo arrivati. C'eravamo fermati a guardare... e poi hanno sparato.

- Dove siamo? - chiesi, fissandolo negli occhi febbricitanti. Lui fece uno strano sorriso, e disse esultante:

- Dall'altra parte. Non senti? Ora siamo svegli.

- Che cosa? - chiesi.

Giuseppe scrollò le spalle, poi si voltò a guardare il cingolato. Io mi chinai a toccare il primo morto della mia vita. Era freddo e non riuscii a chiudergli gli occhi sbalorditi. Nei film fanno tutto facile, ma la realtà è un'altra cosa. Guardai gli altri cadaveri: facce feroci anche dopo la morte, dipinte a strisce di verde e nero. Mi balenarono in testa certe immagini delle Falkland che avevo visto alla televisione, certi film... Dio solo sa a cos'altro pensai in quei pochi, interminabili minuti che trascorsi in quella radura senza neve. Alzai lo sguardo su Magni: era come inebetito. Giuseppe si voltò a guardarmi, ma non riuscii a capire che cosa provava in quel momento. Avevo meno possibilità di comprendere che cosa passava nella sua testa allora di quante ne abbiate voi ora di immaginare quel che provo io, ora che finalmente racconto la mia storia.

- Chi sono quelli? - chiesi alla fine, facendo un gesto vago che comprendeva tutti i morti in mimetica.

- Che ne so... - rispose Giuseppe, spazientito, - non c'era mica il tempo di stare a fare domande!

Una voce rauca troncò le sue parole, gridando:

- Mani in alto!

Ci voltammo e scoprimmo che c'era un ottimo motivo per alzare le mani: dal sottobosco erano spuntati quattro soldati che ci tenevano sotto il tiro dei loro fucili automatici.

* * *