Il robot sfida l'umano.

Nei sogni degli androidi ci sono non solo le pecore elettriche, ma anche le immagini dell'uomo sconfitto. Sogni perfettamente legittimi e non in contrasto con le Tre Leggi della Robotica, perché la sfida del robot all'uomo “non può recar danno a un essere umano né permettere che, a causa del mancato intervento del robot, un essere umano riceva danno”. Parliamo infatti di sfide sportive, ovvero di competizioni in cui una macchina opportunamente programmata prova a sconfiggere un essere umano, meglio ancora se un campione nel proprio sport.

L'episodio più celebre ci porta con la memoria al 10 febbraio 1996, quando Deep Blue, un calcolatore progettato e prodotto da IBM, affrontò e sconfisse per la prima volta in una partita a scacchi il campione del mondo in carica Garry Kasparov.

Gare sportive tra uomo e macchina, ma, nell'ambito degli scacchi, la competizione si disputa esclusivamente su un piano mentale, ovvero sugli algoritmi e sulla potenza di calcolo.

Le cose si fanno più complesse quando la sfida prevede anche movimento e coordinazione. In questo caso si tratta di programmare un robot non solo per elaborare calcoli, ma anche per compiere movimenti precisi, calibrati e non determinati a priori, come lo sono invece quelli dei robot usati nell'industria. Uno degli esempi più eclatanti degli ultimi tempi è rappresentato da Motobot, un robot umanoide, realizzato da Yamaha, in grado di guidare autonomamente una moto sportiva: una R1M da 1000 cc. La seconda versione di Motobot si è addirittura cimentata, alla fine del 2017, in una sfida a cronometro contro Valentino Rossi. Il campo di gara è stato la pista di Thunderhill West in California. Un solo giro di pista e nessun colpo di scena: Valentino Rossi ha compiuto il percorso in 1:25, il suo avversario ha impiegato 32 secondi in più. Ma le immagini che mostrano il parallelo tra i due piloti e le capacità di Motobot sono davvero stupefacenti.

Negli stessi giorni Francesco Totti, invitato dalla federazione dell'Arabia Saudita a una festa per celebrare la qualifcazione ai mondiali di calcio 2018, si cimentava nell'esecuzione di un calcio di rigore. Tra i pali non un portiere in carne e ossa ma un robot. Che si lanciava alla propria destra per respingere il tiro eseguito dal campione della Roma.

Restiamo nel mondo del calcio, perché è innegabile che la sfida più ambiziosa dei robot agli umani è quella degli sport di squadra, in quanto i robot devono da un lato garantire l'interazione tra loro, dall'altro fronteggiare le azioni avversarie, avendo così la capacità di elaborare strategie (d'attacco e di difesa) e di metterle in atto sviluppando movimenti complessi. Tutto molto difficile non solo in teoria ma anche in pratica. E in effetti per il momento i robot si accontentano di competere tra loro mediante sfide caratterizzate da diversi gradi di complessità.

L'idea di una competizione calcistica tra robot fa la sua prima apparizione tra il 1992 e il 1994, in alcuni studi pubblicati da Alan K. Mackworth, professore di Informatica all'Università di British Columbia in Canada. Alla teoria viene associata la pratica, mediante lo sviluppo dei primi prototipi radiocomandati, nell'ambito del Progetto Dynamo (DYNAmics and MObile robots). Nello stesso periodo in Giappone un gruppo di ricercatori guidato da Minoru Asada, Hiroaki Kitano e Yasuo Kunyoshi rilancia l'idea di Mackworth ponendo le basi per il primo torneo di calcio tra robot: la Robot J-League (la J-League è la massima serie del campionato di calcio giapponese). L'iniziativa riscuote un successo tale da richiederne l'estensione come progetto internazionale.

Così, nel mese di agosto del 1997 si disputa la prima edizione dei campionati mondiali di RoboCup, una rassegna che ha cadenza annuale e che consiste in diverse gare, una delle quali, denominata RoboCupSoccer, prevede l'impiego di robot per lo svolgimento di una partita di calcio. A Padova nel 2003 l'unica edizione svolta finora sul suolo italiano.

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Le dimensioni e la complessità dei robot determinano le categorie in cui è suddiviso il torneo.

Si parte dalla “Small Size League”. Su un campo lungo 9 metri e largo 6 si muovono due squadre di sei robot larghi massimo 18 centimetri e alti 15. L'inseguimento del “pallone” (delle dimensioni di una pallina da golf), il movimento sul campo e l'interazione con i “compagni di squadra” sono realizzati mediante l'integrazione tra i visori dei robot e delle telecamere poste al di sopra del campo. Le partite sono veloci e possono risultare anche interessanti: alcuni tiri a effetto ottenuti combinando i pistoni che colpiscono la palla susciterebbero l'invidia dei calciatori più affermati. Ma le dimensioni e le fattezze dei robot (scatolette a forma di cilindro o di parallelepipedo) rendono il gioco ben diverso da quello praticato dagli umani.

Con un salto di scala si arriva alla “Middle Size League”. I robot sono più grandi ed evoluti e giocano su una superficie lunga 22 metri e larga 14 (più o meno la metà di un campo da calcio a 5). Tutti i sensori di posizione sono installati a bordo degli automi, che si sfidano in 5 contro 5 con un pallone da calcio regolamentare. Il movimento è fluido perché, come i “calciatori” della “Small Size”, è favorito da piccole ruote e le partite sono tutto sommato avvincenti.

Ma è nella categoria superiore che si stabilisce il confine tra scienza e fantascienza. Lo statuto della RoboCup mette infatti il sogno nero su bianco: schierare, entro l'anno 2050, su un campo da calcio una squadra di 11 robot umanoidi in grado di sconfiggere, giocando con le regole ufficiali FIFA, la nazionale campione in carica dei Mondiali.

Al momento siamo molto lontani dall'obiettivo. I robot della “Humanoid League” (quelli candidati ad affrontare i campioni del mondo) fanno ancora molta fatica a muoversi e a interagire tra loro. I filmati reperibili in rete mostrano infatti movimenti impacciati e frequenti cadute, data l'evidente difficoltà a coordinarsi e a spostarsi non su ruote ma su due gambe. Quindi di dribbling ubriacanti, cross liftati e colpi di testa neanche a parlarne. Così come è prematuro narrare le gesta di quel robot che “prese un pallone che sembrava stregato, accanto al piede rimaneva incollato, entrò nell'area, tirò senza guardare ed il portiere lo fece passare”.

Un sogno destinato a naufragare? Mancano trent'anni alla data della sfida, troppo presto per dirlo. D'altra parte, fanno notare gli organizzatori della RoboCup, il lasso di tempo che intercorre tra la prima edizione del torneo e la data prevista per la realizzazione del sogno è all'incirca lo stesso che è passato tra il primo volo dei fratelli Wright e l'allunaggio dell'Apollo 11.

Intanto, già nel 2030 potremmo vedere una prima presenza robotica sui campi di calcio. Secondo alcuni futurologi (tra cui il britannico Ian Pearson) entro quella data il giudizio delle partite sarà interamente affidato ad arbitri robot (con VAR incorporato) coadiuvati da guardalinee robot.

Insomma, per ora possiamo accontentarci di cercare in rete filmati di partite tra robot e provare ad appassionarci, complice anche l'astinenza dagli sport dovuta all'emergenza Coronavirus. Poi avremo trent'anni di tempo per decidere, quando verrà il momento, se fare il tifo per gli umani o per i robot.