Il Generale incrociò le braccia sul petto gonfio. Trattenne uno sbadiglio. – Cosa significa? – gli chiese Finch facendosi avanti. – Quello è il professor Baj? Il Generale, quieto, gli diede la buonasera. Poi aggiunse: – Ho parlato col professore della sfera di cui mi avete detto. Le spoglie mortali del figlio. Mi ha chiesto il favore di permettergli di disperderle come ceneri sul suolo lunare. Non potevo rifiutare un favore all’autorevole... – Ma Generale! – sbottò Finch. – Quell’uomo vuole fare la fine di suo figlio! Si leverà il casco e...

Il Generale lo fissò inarcando entrambi i sopraccigli. Gli attendenti strinsero i binocoli a rilevamento termico che tenevano appesi al collo. Li puntarono al vecchio pazzo.

Il professor Baj si levò il casco sollevandolo sopra la testa. Si guardò attorno. Posizionò il casco sotto il braccio sinistro e mosse l’altra mano portandosela al viso. Si passò sugli occhi le paffute estremità delle dita inguantate, bagnandole di lacrime cristallizzate. Qualcuno lo sollevò del peso del casco.

– Grazie – disse Baj.

Un piccolo comitato d’accoglienza lo aveva circondato non appena uscito dalla camera di compensazione. Aveva di fronte il Generale Dirigente e il comandante Finch. Si rivolse a quest’ultimo: – Signor Finch, ho voluto rispettare l’ultima volontà di mio figlio.  

– Baj, vi confesso che pensavo voleste...

– Rimanere con mio figlio là fuori? No, non credo desiderasse la mia compagnia. Ho deciso sempre tutto io nella sua vita, almeno la sua ultima, e forse unica decisione, la dovevo rispettare.

Finch annuì comprensivo, il Generale accennò ai suoi attendenti di aiutare Baj a levarsi la tuta. Il silenzio che accompagnò la svestizione fu rotto da Finch: – Ancora non ve l’avevo detto, professore, ma siete il benvenuto a bordo della Miracle.  

– Grazie, comandante.

Il Generale borbottò qualcosa, e se ne andò augurando la buonanotte ai due Precursori.

– E adesso andiamocene a dormire – disse Baj una volta libero.

2.

– A questo punto possiamo affermare che il guru si sbagliava, abbiamo lasciato Gaia, l’Anima Mundi, e non ci siamo dissolti nel nulla.

Il comandante Finch si espresse con disinvoltura, nonostante pedalasse alla cyclette da più di un’ora. Una cintura lo legava al sellino, per dargli stabilità alla gravità zero.

Accanto a lui, su un tapis roulant, deambulava il professor Baj. Entrambi puntavano lo sguardo all’infinito, all’oscurità punteggiata di stelle. Avevano di fronte il più grande oblò panoramico della Miracle. Viaggiavano nello spazio da ottanta giorni.

– Avevate qualche timore? – il vecchio era affaticato, ma l’attività fisica era obbligatoria per tutti i Precursori, ed egli non aveva preteso esenzioni “honoris causa”.

Finch scosse la testa.

Dopo qualche minuto di fatica Baj tornò a parlare, cambiando argomento: – Comandante Finch, quando pensate al futuro su Marte, come ve lo figurate?

La domanda del professore sorprese il comandante, era la prima volta che Baj si interessava a lui. E al futuro.

Rispose: – Quando penso a Nuova Terra, al di là della nostra missione, del lavoro che ci aspetta, io penso al Monte Olimpo.

– Il Mons Olympus – specificò Baj.

– Già, una montagna inconcepibile per noi terrestri: ventisettemila metri di altezza. La cima è quasi al limite dell’atmosfera marziana. Il fianco della montagna, osservato dalla vetta, è l’unico panorama visibile. Degrada oltre l’orizzonte.

– Vi brillano gli occhi come a un ragazzino, un ragazzino ammaliato dal sense of wonder – disse Baj. – Ma non volevate andarci a giocare a biglie su Marte?

– Certo, professore, ma solo dopo che avremo creato il mare. Per avere una spiaggia consona e per avere il livello delle acque come riferimento per misurare l’altezza dell’Olimpo.

Finch fece in tempo a finire la frase, poi i piedi gli scivolarono dai pedali, le mani dal manubrio. Lentamente la testa si chinò sul petto, priva di vita.

– Finch, che vi prende?  

Il professor Baj avvertì il gelo salire dai piedi alla testa. Non riusciva più a muoversi. Lanciò sguardi attorno, nessun allarme suonava, ma sentiva che qualcosa stava spegnendo la sua vita. Si sentì una cavia mandata allo sbaraglio. Pensò a suo figlio, voleva fosse quello il suo ultimo pensiero, ma non riuscì a visualizzare il viso del ragazzo. Vedeva solo la sfera grigia, quella... maledetta... fottuta... sfera... perfetta.

Cessò di pensare.

Ultime notizie.

“Gli uomini e le donne che componevano l’equipaggio della Miracle, primi esseri umani destinati alla colonizzazione del pianeta Marte, sono morti al quarto minuto della sedicesima ora dell’ottantesimo giorno di navigazione spaziale. La missione, programmata in ogni particolare da circa mezzo secolo, è fallita tragicamente.