Finch non proferì commenti.– A nove anni lo iscrissi al College, al J.F.K. di Grover Island. Gli insegnanti stentavano a stargli dietro, era una spugna, anzi, una singolarità affamata di ogni sapienza. E io lo tenevo informato sugli sviluppi delle mie ricerche, gli spiegavo ogni cosa. A dieci anni, in un componimento letterario scolastico intitolato “Mio padre”, scrisse: A mio padre, se gli chiedi che ore sono, ti spiega come funziona l’orologio. Non ti dice l’ora, sarebbe banale, ti parla di antichi meccanismi a molla e ingranaggi.  Baj tacque qualche momento, parve perdersi nei ricordi, forse in un particolare ricordo. Finch rimase in attesa, finché il vecchio decise di concludere il suo memoriale: – Così era mio figlio, signor comandante, un’intelligenza superiore. – Sollevò nuovamente la sfera portandosela davanti agli occhi. – Adesso mio figlio è solo polvere, polvere compattata in una sfera perfetta. Caro colonnello, siamo e saremo tutti polvere, soprattutto noi che andremo su un pianeta avvolto in polvere arrugginita.Il comandante Finch, colpito da quelle parole, restò a fissare Baj che riprese a sorbire il suo brodo. La mano che sosteneva l’involucro ebbe un leggero tremito, ma subito si quietò. Finch ripeté le ultime parole del Padre Fondatore: – Polvere arrugginita.

Aggiunse ironico: – Bella immagine, professore.

Baj accennò un sorriso: – Utopia Planiti, la nostra meta marziana, è il luogo dove atterrò la sonda Viking 2 nel 1976. Là il cielo è rosa per via della polvere, senza di essa sarebbe nero. La vita marziana che ci attende avrà orizzonti colorati dalla polvere.

Finch si fece l’idea che Baj, in fondo, era solo un uomo sofferente; partiva per un lungo viaggio allo scopo di elaborare un lutto, o di allontanare un senso di colpa.

– L’uomo è destinato alla polvere, avete ragione professore. L’uomo è la quintessenza della polvere, Shakespeare lo fece dire a quel povero depresso di Amleto.

Per la prima volta il professor Baj manifestò un vero, compiuto sorriso. Finch si alzò per andarsene ma, indicando la piccola sfera perfetta, aggiunse: – Professore, con biglie di quelle dimensioni ci giocavo in spiaggia da bambino.

– Allora è questo il vero scopo della vostra missione, comandante. Andare a giocare a biglie sulle sabbie di Marte.

– Può essere... ormai la spiaggia che frequentavo da piccolo è ridotta a una squallida distesa bituminosa. Non mi resta che emigrare.

– Come a tutta quanta l’umanità.

– Certo, noi siamo solo i Precursori.

Prima di coricarsi, nella solitudine della vano abitativo, Finch dette uno sguardo al panorama lunare circostante. L’oblò esagonale affacciava sul lato della base opposto alla piattaforma di lancio, quindi non poteva vedere la Miracle svettare come un totem in direzione del futuro.

Quel che aveva di fronte era l’irreale architettura di edifici che giacevano nel grigio suolo lunare come... come biglie gettate da un bambino sulla sabbia. Si trattava di ovoidi di cui solo l’strema sommità rimaneva esposta all’esterno: la vita nella base lunare era quasi del tutto sotterranea.  

Sollevò lo sguardo all’orizzonte, al disopra della base, verso il cosiddetto “lato oscuro della Luna”. Cosiddetto dagli ignoranti e dai poeti, pensò Finch. Non esiste nessun lato oscuro, tutta la superficie lunare viene illuminata dal Sole durante il suo percorso orbitale. Esiste solo una faccia della Luna che non guarda mai la Terra, come uno sguardo perennemente rivolto altrove, all’infinito. Uno sguardo sprezzante, che se ne frega del pianeta degli uomini.

Quest’ultimo pensiero lo divertì. E per qualche motivo gli portò alla mente il figlio del professor Baj.

Il ragazzo era stato uno studente selezionato per la marteformazione, un genio tra i geni, uno di quelli destinati alle future missioni marziane. Ed era morto lì, sul suolo lunare: indossata una tuta pressurizzata si era allontanato dalla base per una “passeggiata”, inoltrandosi nel Mare Tranquillitatis. Registrazioni audio della voce del ragazzo testimoniavano la sua allegria: canticchiava al microfono del casco. Finché, giunto “al largo” se lo era levato, il casco, suicidandosi.

Un ragazzino, un genio, un suicida.

Finch ci mise qualche istante a focalizzare ciò che era apparso realmente, adesso, tra gli edifici della base. In tuta bianca e casco a boccia, un individuo passeggiava dondolandosi a fatica. Ma chi era quel tizio? Un tecnico manutentore? Qualcosa nel suo muoversi rivelava incertezza, casualità... non poteva essere, ma Finch ebbe il presentimento che quel tizio fosse Nicolas Baj. Il professore era forse venuto sulla Luna per suicidarsi là dove si era suicidato suo figlio?

Finch raggiunse l’osservatorio panoramico della Postazione di Controllo. Il Generale Dirigente era là, fissava il buio. Accanto a lui due attendenti, quello alla sua destra indicò qualcosa verso l’oscurità: – Eccolo, è là.