A chiunque sia appassionato di science fiction, suggerisco vivamente la lettura di questo recente saggio di Giulia Iannuzzi. Un’opera del genere ci mancava da decenni. Che io ricordi, a parte iniziative occasionali (per esempio Vent’anni di fantascienza in Italia: 1952-1972, che però è il catalogo di una mostra con brevi saggi a più firme, curato da Luigi Russo nel 1978), i titoli di rilievo sull’argomento sono stati finora due. Nel 1962 usciva lo storico, fondamentale volumetto del pioniere e grande scrittore Lino Aldani La fantascienza. Che cos’è – Come è sorta – Dove tende (Ed. La Tribuna, Piacenza), testo che conserva tuttora un suo valore per alcune analisi e riflessioni critiche, fra cui una famosa definizione della sf. E nel 1977 fu pubblicato il testo (anch’esso storico) di Vittorio Curtoni Le frontiere dell’ignoto. Vent’anni di fantascienza italiana (Editrice Nord).
Il libro della Iannuzzi, laureata in Lettere Moderne a Milano, è l’adattamento della tesi per un dottorato di ricerca in Scienze Umanistiche – Indirizzo Italianistico (Università degli Studi di Trieste). Tesi amplissima, ricchissima di contenuti, per cui si è deciso di dividerla in due tomi: nel secondo, che uscirà tra qualche mese, l’autrice illustra in modo più approfondito ed esteso l’apporto alla fantascienza nostrana di alcuni fra gli autori già menzionati nel primo volume.
Guarda caso, anche il libro di Curtoni era un ampliamento e adattamento della sua tesi di laurea. Nell’ultimo decennio si sono viste non poche tesi imperniate sulla sf (chi vi scrive ne sa qualcosa): un segnale positivo o negativo? Non saprei dire. Positivo, perché evidentemente la sf è entrata nelle università, il che è certo un enorme passo avanti, rimasto un sogno fino a non molto tempo fa. Ma anche con elementi negativi: ho verificato con rammarico – forse c’era da attenderselo – tesi sf che sono l’una copia dell’altra, molto superficiali, incomplete, con errori, che riducono questo genere narrativo a quattro chiacchiere nel cortile. Tesi che diventano facili pretesti.
Altro buco nero: entrare nelle università non ha affatto significato essere accettati dalla cultura “ufficiale”, almeno finora. A tutt’oggi, libri di fantascienza editi fuori collana evitano con cura, nelle pagine di copertina o del testo, la parola “fantascienza”: un marchio disonorevole.
L’opera di Giulia Iannuzzi prescinde da preconcetti e punta all’essenziale. Anzitutto, la sf è un “genere”? Viene ridiscusso il senso di questo termine, divenuto anch’esso una condanna. Scrive l’autrice: “Il genere non è qualcosa che esiste in sé, ma una costruzione fluida, a cui concorrono asserzioni e pratiche diverse, messe in gioco da scrittori, editori, distributori, operatori del mercato, fan, critici,insomma da tutti gli attori implicati nella produzione, circolazione e ricezione dei testi. [In queste pagine] la fantascienza è presa in considerazione come qualcosa di storico, come un fatto anche sociale e non solo puramente letterario-testuale”.
Nulla di più ragionevole. D’altronde la fantascienza nasce come reazione all’avvento dell’Era Industriale, e ha palesemente subìto trasformazioni nel tempo, talora anche radicali, attraversando varie fasi, tutte specchio fedele della realtà del momento.
L’opera è suddivisa in sei capitoli:
1.Urania – Nascita della fantascienza come categoria editoriale e genere popolare
2. I Romanzi del Cosmo – Il mestiere della space opera
3. Oltre il Cielo – Una palestra anomala
4. Galassia – Dal filone sociologico alla New Wave
5. Futuro – Nei territori della letteratura
6. Robot – Ritorno al fandom
Seguono: Conclusioni, Fonti e Bibliografia, Indice dei nomi.
I sopra elencati capitoli, qui arido elenco, nel testo si trasformano, avanzando nella lettura, in un universo ribollente, vivo, ricchissimo di personaggi ed eventi, titoli, editori, discussioni, progetti, confronti, talora anche contestazioni e litigi. In che modo Giorgio Monicelli riuscì a convincere Mondadori a creare una nuova collana da edicola, con materiale statunitense. Nascita e caratteristiche di altre collane e di riviste, di rubriche, posta dei lettori, recensioni, interviste, anche (nota importante) spazi per racconti italiani di esordienti, come la rubrica Accademia sulla rivista Galaxy (in Accademia, anno 1962, pubblicai il mio primo racconto). Per contro, dopo la gestione Monicelli, nasceva in Urania l’insolita rubrica Il Marziano in cattedra per raccontini italiani brevissimi, poesie, perfino disegni dei lettori, varata dai nuovi curatori Fruttero e Lucentini, all’epoca celebri esponenti dell’establishment culturale italiano. Contrariamente a quanto ci si potesse attendere, i due, durante la loro ventennale gestione, dichiaratamente abbassarono la saracinesca dinanzi a romanzi e racconti italiani, con l’eccezione di tre o quattro loro racconti, contrabbandati con pseudonimi. Un preziosissimo ventennio perduto, perché proprio in quel lungo periodo maturava la maggior parte dei nostri primi autori, molti dei quali avrebbero meritato spazi adeguati. E poi ancora: la descrizione di accaniti dibattiti tra curatori di collane circa l’impostazione di una fantascienza “italiana”, per raggiungere risultati positivi e una propria voce e originalità. L’analisi accurata di antologie di racconti e romanzi italiani. La battaglia della rivista Futuro (nata nel 1963) per un’idea di “fantascienza come ramo della letteratura a tutti gli effetti”, con risultati di notevole rilievo e che avrebbero meritato uno sviluppo. L’interessantissimo, continuo dialogo su natura e valore della fantascienza tra esponenti di quest’ultima (Lo Jacono, Cremaschi, Aldani) e primari scrittori dal mainstream italiano che per contro mostravano interesse (Bigiaretti, Flaiano, Vittorini, Soldati, e pochi altri…). Tutto questo viene riproposto e illustrato al lettore, e al riguardo la Iannuzzi scrive: “La narrativa pubblicata su Futuro rappresenta effettivamente una declinazione del genere nient’affatto escapista, al contrario impegnata nella critica al presente, alle forme di controllo sociale, alla guerra, allo strapotere dei media, alla burocrazia. Dunque una riflessione sulla modernità industriale mentre, va notato, meno presenti sono tematiche direttamente legate alle scienze dure o all’epistemologia. Dal punto di vista stilistico gran parte dei risultati è degno di nota (…) Sul piano letterario si realizza (…) una narrativa in grado di coniugare ricerca originale e leggibilità (…) per un lettore non sprovveduto ma nient’affatto ipercolto”.
E ancora: l’apertura alla New Wave fantascientifica degli anni ’60/70 per merito di Vittorio Curtoni e Gianni Montanari, come pure a un discorso critico che non sia autoreferenziale e si serva degli strumenti più raffinati e aggiornati che offre la narrativa in generale.
Infine la nascita della rivista Robot (aprile 1976), che segnerà davvero un’epoca, impostando un dialogo con i lettori, che toccherà l’apice con il turbolento dibattito sul tema “fantascienza e politica”. Vittorio Curtoni, direttore della rivista, su Robot pubblicò quanto di meglio produceva la sf dell’epoca: vere colonne portanti di questa narrativa quali Delany, Malzberg, Lafferty, Zelazny, Farmer, Brunner, Ellison, Ballard, Dick, Dish, Le Guin, Moorcock, Silverberg, Spinrad, G.R.R. Martin, Tiptree jr e altri. Per rientrare in tema: Curtoni darà ampio spazio agli autori italiani, con ottimi risultati.
Conclude la Iannuzzi: “Spero che la lettura critica delle riviste e degli autori considerati contribuisca a dimostrare l’obsolescenza di una nozione assiologica di “genere letterario” e la capacità del repertorio fantascientifico di prestarsi a una costante riscrittura (…) e infine la capacità degli autori e delle autrici italiani, di proporre una narrativa sia d’intrattenimento di qualità che a un alto tasso di sperimentazione”.
Sebbene io abbia, in alcuni punti, idee diverse circa la gestione curtoniana di Robot, il libro di Giulia Iannuzzi (che attualmente lavora a uno studio su “la traduzione e la fortuna della fantascienza americana in Italia”) appare, a sua volta, imperdibile nel panorama dell’attuale science fiction: per completezza, ricchezza di dettagli, impostazione critica (testo non solo descrittivo e/o bibliografico), analisi approfondita e spesso originale, chiarezza di linguaggio.
L’unica cosa di cui ci si può rammaricare, dopo aver letto questo corposo testo, è che l’esame si ferma allo scadere degli anni ’70. Ma negli anni ’80 la sf subirà uno dei suoi ciclonici mutamenti, riflesso dell’avvento dell’era telematica e dunque del cyberpunk… Ed è tutto un altro discorso.
Giulia Iannuzzi - Fantascienza italiana. Riviste, autori, dibattiti, dagli anni Cinquanta agli anni Settanta (con Premessa di Carlo Pagetti - Ed. Mimesis, collana Fantascienza e società n. 8, direttore Domenico Gallo, pagg. 359. Disponibile anche in versione ebook).
13 commenti
Aggiungi un commentoTutto vero, o quasi. Non è detto che persone con esperienza diretta abbiano tutti il bagaglio tecnico per scrivere critica letteraria. La maggior parte - e io per primo mi includo tra costoro - potrà magari raccontare episodi, atmosfere, eventi, curiosità, trame di racconti e romanzi, tentare confronti, citare titoli e autori, magari fare anche gossip, e potranno anche essere letture piacevolissime e dense di notizie preziose: ma questa non è "critica". E la critica è proprio quella che ci manca, da decenni, a parte due o tre persone adeguatamente competenti, le cui firme appaiono purtroppo raramente.
La recensione mi è piaciuta, ma mi restano alcune perplessità. Un critico letterario non deve necessariamente essere obiettivo: a volte, più è "partigiano" e meglio è. Tuttavia deve conoscere bene la materia che tratta, per non prendere cantonate. Come si fa, dico io, a ignorare una rivista come Nova SF? Che è durata dal 1967 fin quasi ai giorni nostri e che, tra l'altro, ha anche pubblicato numerosi italiani (ricordo con inalterato piacere "Tre per uno", tanto per non far nomi). Si tratta di una "dimenticanza", se tale è, che mina la credibilità del testo. A questo proposito, un po' di ragione Enrico Bonacina ce l'ha. Faccio notare che "Cartografie dell'inferno" reca firme come De Turris, Vegetti, Cersosimo, Valla, Proietti, Lippi, Ragone eccetera eccetera. Mi sembrano adeguatamente competenti, no?
Mi scuso per questo mio intervento anomalo, tuttavia vale la pena di ricordare che in ambito universitario sono stati fatti altri tentativi per nobilitare la fantascienza.
Nell'anno accademico 1970/1971 Valeria Previ, laureanda dell'Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano (Facoltà di lingue e letterature straniere) dedicò la sua tesi alla fantascienza francese dal titolo "La Littérature de Science-Fiction après Barjavel".
La prima parte dell'introduzione recitava "Défense de la Science-Fiction que doit être consideré literature". Una difesa appassionata di un genere considerato (anche?) allora alla stregua di una misera Cenerentola.
La tesi venne presentata nel novembre del 1971 e Valeria Previ, per svilupparla, ebbe tra l'altro modo di accedere alla biblioteca di Pierre Versins che le fu di molto aiuto con i suoi consigli.
All'epoca la tesi suscitò un certo interesse nel mondo accademico contribuendo, seppure in misura lieve, a "diffondere il verbo". All'epoca la Previ dichiarò che il suo scopo era proprio quello di convincere gli scettici che il genere aveva una sua validità dal punto di vista letterario.
Verso la fine degli anni '70 una studentessa di Ca' Foscari (Venezia - lingua Giapponese) mise a punto una tesi sulla fantascienza giapponese esaminandone non solo gli aspetti letterari ma anche quelli amatoriali (mondo delle fanzine). Purtroppo ricordo solo il nome della studentessa: Milena, ma non il cognome. All'epoca la misi in contatto con Hazu Hiroaki e Takumi Shibano che le fornirono tutte le informazioni necessarie per completare il lavoro. Da parte mia contribuii con un certo numero di fanzine in lingua giapponese. Successivamente Milena si recò in Giappone dove ebbe modo di incontrare, tra gli altri, lo stesso Shibano.
Guarda che in effetti di tesi di laurea sulla fantascienza ce ne sono a bizzeffe. Io conosco almeno cinque o sei persone che hanno dato la tesi sulla fantascienza, e non è che abbia fatto una ricerca, lo so casualmente.
Come Delos pubblichiamo anche la rivista Anarres che è piena di contributi di docenti universitari proprio sulla fantascienza.
In effetti credo che a livello universitario non ci siano grossissimi problemi a occuparsi di fantascienza.
S*
Se non altro avrò aggiunto un paio di tasselli al mosaico. E può anche darsi che 40 e passa anni addietro le tesi sulla SF non fossero così comuni, in particolare sulla SF giapponese. Avendola vissuta era un'epoca abbastanza pionieristica, e una tesi sulla fantascienza non era ancora vista con occhio particolarmente benevolo. Nel 1972 Pagetti aveva iniziato a dare il suo contributo operando dalla Libera Università Abruzzesi degli Studi "G. D'Annunzio" in quel di Pescara, ma era solo l'inizio. E c'eravamo noi, i "fanzinari" della prim'ora. Nel 1963 avevo già qualche fanzine alle spalle. Bei tempi. .
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