Cos’ha a che vedere tutto ciò con la SF? Forse non poco, direi. Vero è che scrivere un romanzo “leggibile”

usando i moduli della “divagazione”, insomma dando un calcio alla classica “trama” ed eventuale suspense, al finale obbligatoriamente a sorpresa e inevitabilmente risolutivo, attualmente non è da tutti. E non sappiamo se stavolta i nuovi esempi citati in apertura siano  tentativi sporadici d’una moda effimera, o diventeranno un altro “genere”, se non addirittura narrativa corrente. Certo è paradossale – vorrei sottolineare – che il fenomeno ci venga anche dagli Usa, come totale capovolgimento di quanto finora editori hanno predicato e autori si sono sforzati – spesso controvoglia – di produrre: il romanzo “all’americana”, la narrativa “d’azione”, o di “avventura” (intesa questa come un insieme di eventi e colpi di scena quasi da canovaccio cinematografico, o da videoclip).  Quasi non esistesse un passato che ci racconta tutt’altro, né (oggi) alcuna modalità diversa per soddisfare un misterioso lettore standard che, di conseguenza, si configura ingiustamente non proprio brillante.                 

Sappiamo che in questo settore giocano interessi, talora anche molto ampi,  che non sono affatto culturali (non mi soffermo sul tema). Ma va almeno notato che forse non ci accorgiamo – oggi più che mai – di quanto la narrativa viva di “convenzioni”: ne gronda il semplice romanzo maistream, ne accenna sopra anche De Majo. Quanto è “reale” la narrativa realistica? Molto poco. Il principio base è che il romanzo realistico debba narrare una storia “di vita”: verosimile, normale, magari esemplare, ma soprattutto “interessante”, che insomma invogli il lettore a girare le pagine fino in fondo. In effetti, se la narrazione riprendesse cinematograficamente eventi e personaggi d’ogni giorno, il lettore chiuderebbe il libro a pagina 2: la realtà vissuta, quotidiana, è in massima parte anonima routine. Pertanto l’autore deve descrivere eventi che siano in un qualunque modo “interessanti”: i quali però – salvo eccezioni – non ci sono nelle nostre giornate, dove normalmente non viviamo intrecci originali e trovate intelligenti con finali stupefacenti e situazioni mozzafiato, tali e tanti da poterci riempire cento o mille pagine. Tutt’altro. Le nostre vite sono comunemente colme di eventi ripetitivi, inutili, talora assurdi. Ma allora di cosa parliamo quando parliamo di narrativa del reale?

Anche la fantascienza, a mio parere,  non sfugge alle sue contraddizioni. La fantascienza anzitutto nasce da un ossimoro: è fantasia “realistica”. E, come hanno assodato critici di nome, per reggere la narrazione necessita di una “sospensione della incredulità” del lettore, che l’esperto autore deve far assorbire dalla lettura. Altro strumento narrativo del tipo è l’“assertore di veridicità”, cioè una breve espressione o un termine pseudotecnici, che non spiegano nulla ma danno all’evento o all’oggetto di per sé inverosimile una autorevole risonanza di misteriosa credibilità. Tipico esempio: i robot di Asimov hanno tutti un “cervello positronico”: ma il buon Isaac si è sempre ben guardato dallo spiegare di che si tratta.

Aggiungo che la fantascienza – tutta o quasi – poggia, a mio parere, su una convenzione (irrealistica) mai esplicitata: ci racconta di futuri mirabolanti o terribili, concepiti e descritti con gli standard… del nostro presente, pertanto fasulli o improbabili se attribuiti anche al futuro; inverosimili già in partenza. Nel senso che noi scriviamo di un mondo a venire (più il futuro è distante, più aumenta l’incongruenza) dando per scontato, per esempio, che si parlerà e si scriverà l’italiano (o l’inglese, etc.) di oggi, e che si possa quindi narrare e comprendere questo mondo lontano con la lingua attuale; e che del futuro si possano misurare e comprendere gli eventi tramite i valori (morali, politici, etici, religiosi) odierni; il che vale anche per le “certezze” (oggi) scientifiche. Se Dante Alighieri venisse catapultato nel nostro presente, capirebbe ben poco di ciò che vede ascolta e cerca di leggere, magari ne resterebbe terrorizzato, né sarebbe in grado di spiegarlo, riportarlo, “raccontarlo” ai suoi contemporanei. Una storia di sf narrata da un personaggio del 2700,  dovrebbe – per logica – risultare scritta in un italiano ben diverso e comunque presenterebbe eventi per noi misteriosi se non insensati: un futuro pressoché indecifrabile. L’intera SF si direbbe figlia d’una nostra presunzione (inconsapevole) che vuole prevedere e/o correggere il futuro, cioè modificare ciò che neanche si potrà mai conoscere; è la necessità di cancellare la nostra angoscia dell’inconoscibile tentando di descriverlo e quindi dominarlo. E però  tutto questo non mina affatto – almeno finora – le basi della science fiction. La quale vuol essere, e altro non potrà mai essere, una estrapolazione allegorica del nostro presente.