Nel nostro fantascientifico ambito i casi sono rari, ma potrei tranquillamente citare romanzi di pura fantascienza già… alquanto “vagabonda”, risalenti a decenni or sono: capolavori quali Quarta fase (1969) di R.A. Lafferty, Dhalgren (1977) di Samuel Delany, Tutti a Zanzibar di John Brunner (1968). E non va dimenticata la sf sperimentale degli autori New Wave degli anni Sessanta e Settanta, assimilata in diverse gradazioni anche da alcuni autori italiani. Mi piace riportare alcune frasi – che esprimono tre concetti importanti – dalla “Introduzione” di Norman Spinrad per l’antologia Cristalli di futuro da lui curata (“Galassia” n. 211, Ed. La Tribuna, Piacenza, 1976). Il volume presentava racconti di nomi notissimi: Moorcock, Aldiss, Spinrad, Ellison, Silverberg, Sladek, Disch, Farmer e altri.
“Ciò che tutti questi scrittori hanno in comune è il fatto di lavorare in modo del tutto indipendente e al di fuori di qualsiasi influenza massificante (…) Di tutti i movimenti letterari possibili, quello che comporta uno spostamento verso sempre più ampie diversità di stile, tematiche, forma e filosofia, sarà sempre il più difficile da accettare per i tradizionalisti (…) In fondo la New Wave non è una vera e propria corrente, ma una eterna marea antica quanto l’anima dell’uomo”.
E dunque oggi: narrativa vagabonda, divagante? Chissà. Ma c’è posto anche per lei. Benvenuta!
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