A quanto pare, comunque, JF non è più rientrato. È capitato in passato che restasse fuori per diversi cicli… e intendendo le spiegazioni di questi miei piccoli e stupidi amici in riferimento a dei turni di lavoro la cosa assume un certo significato. Sembra più che plausibile allora un allontanamento forzato, ed è probabile che JF non farà più ritorno tra queste mura.I miei amici sono orfani di JF come io lo sono del mio mondo e dei miei ricordi. Conservo memoria di Berkeley, di Marin e delle strade di Santa Ana. Ricordo anche i volti della mia vita: Anne, Laura, Isa, Tessa, Chris… Ricordo il reverendo, ricordo… tutto fino al 1980. Ma se ieri era davvero il 2 marzo, come può rientrare questa mia esperienza nel quadro generale delle cose?

Al momento, sono solo due le cose di cui sono sicuro. La prima: il 2 marzo è l’orizzonte degli eventi, il muro che qualche malvagia e oscura divinità notturna ha costruito sul sentiero della mia vita mentre stavo dormendo. La seconda: è inutile ogni sforzo di regressione mnemonica. Non è nel passato che troverò le risposte, ma nel futuro, il domani nascosto da quella barriera. È lì che devo proiettarmi: verso la potenza che è già in atto.

Devo assolutamente trovare il modo per scavalcare quel muro.

“Il diario di una mente malata” si disse Phil sbottando. L’aria s’infilava tra le crepe delle imposte sconnesse in refoli carichi del puzzo dell’umidità, che percorrevano il laboratorio in traiettorie oblique.

Prima di avventurarsi nella lettura di quegli appunti scribacchiati di getto sulla carta che aveva trovato in un cassetto della scrivania, aveva dato un’occhiata ai file del computer. Lo standard di sicurezza non era ai livelli che sarebbe stato lecito attendersi da un genetista della Tyrell Corporation. Il suo terminale era rimasto acceso fin dalla sua scomparsa.

Non era protetto da password.

Prima di accendere il computer, però, Phil aveva dovuto fare qualcos’altro. Non poteva lasciarsi guardare dagli occhi di vetro di manichini senza vita. Così aveva cavato i bulbi oculari a tutti i simulacri. Poi aveva disposto le teste in fila sul ripiano, come se si trattasse del tavolo espositivo di un venditore di teste. Aveva un debole per questi giochi macabri. Le sue gallerie di visioni erano state sempre mostre delle atrocità.

Cominciò a scorrere i file, ripensando al cadavere che era venuto a galla nel fiume il 6 novembre. S’imbatté in una raccolta di schemi, elaborati per un progetto privato. C’erano circuiti neurali tracciati con minuziosa precisione, schede elettroniche e meccanismi, ingranaggi, modelli.

Si voltò verso il tavolo da lavoro.

Quattro teste di fanciulle lo fissavano ora con orbite oscenamente vuote. Phil non riuscì a trattenersi e scoppiò in una risata scomposta.

La Città, così la chiamano i miei piccoli e sciocchi amici. Non è San Francisco e di certo non somiglia a Los Angeles, non quella in cui mi sono addormentato. New York, forse, nel futuro remoto, potrebbe aver assunto queste sembianze di metropoli tetra e decadente, trionfo di ruggine scricchiolante aggredita dai capricci atmosferici. O Tokyo…

Le strade traboccano di insegne incomprensibili, serpenti al neon s’inseguono nella notte tracciando ideogrammi che non riesco a decifrare.

La Città, ha confermato la bambina. Stavolta, mentre parlava, riuscivo a capirla. Ha detto di chiamarsi Jane e il suo nome mi ha suscitato d’istinto un sinistro presentimento.

Conoscevo una Jane un tempo, ne sono certo anche se non ricordo il suo volto né la sua voce.

JANE…

Sono ore che vado ripetendo questo nome nella mia mente, ormai deve essersi installato nelle mie routine neurali. Jane: a furia di ripeterlo rischio di sottopormi volontariamente a un’operazione di riprogrammazione neurolinguistica dagli esiti imprevedibili.

Jane, comunque, non ha saputo dirmi come abbia fatto ad arrivare fin qui. Era in giro e mi ha trovato: ero qui prima di lei. Dal canto mio, non riesco a capire come io abbia potuto rimuoverlo… Forse mi hanno drogato e mi ci hanno portato? I G-men, magari… o forse qualche agente inviato dall’Innominabile Cospirazione che tesse le trame della storia.

Jane non abita qui, ma vi torna spesso da quando ha scoperto questo posto abbandonato. Non conosce JF, da cui deduco che sia arrivata dopo la sua scomparsa. Dice di frequentare questi appartamenti da quattro o cinque mesi. Prima di Natale, ha detto. Adesso, secondo lei, è aprile. Quindi la situazione è più grave di quanto avessi prefigurato: il mio vuoto di memoria non è circoscritto a una notte, ma apre una voragine che inghiotte diversi mesi.