Il tempo di salire in treno e lei se ne era andata, abbandonando speranze ed entusiasmi materni. La locomotiva si mosse e lui riabbassò il finestrino, tossì nel fumo denso scrutando tra i grigi pendolari vaganti.

Perché cercava quella donna? Era forse senso di colpa quello che provava per quella che in fondo era solo una sconosciuta? Una sconosciuta di cui però conosceva nome, cognome, data di morte: la sua e quella del suo futuro figlio. Ma di cosa doveva sentirsi colpevole? Di averle cancellato il sorriso? In fondo le aveva solo comunicato una notizia: siamo nati per morire e il piccolo Andrea doveva nascere per poi subito morire.  

Andrea: la donna aveva scelto un nome asessuato, che andasse bene sia per un bimbo che per una bimba. Quella scelta poteva avere un senso, quel chiamare per nome lo scopo dei propri ultimi mesi di vita poteva essere… poteva essere… era senza senso. Basta, il giovane non voleva più pensarci.

Richiuse il finestrino come a voler chiudere quella vicenda, il treno era uscito dalla stazione.

Ma la vicenda non era conclusa, ancora se ne sentiva coinvolto e la cosa lo irritava… la Lista Ufficiale delle Morti Previste non lo emozionava più dai tempi dell’adolescenza, eppure quella mattina la morte dell’amico Karl non lo aveva lasciato del tutto indifferente, per l’amico d’infanzia aveva versato un paio di lacrime e adesso… cos’era che lo sconvolgeva e lo tratteneva lì in piedi, in precario equilibrio tra i sedili, a far due passi in là, due passi in qua, due passi in là, due passi in qua... sembrava un malessere fisico, come se un’ulcera sopita tornasse a farsi sentire, avvertì anche un prurito… perché?

Non era abituato a porsi problemi circa i propri stati d’animo, non era abituato a porsi problemi in generale… pensava agli occhi vivi di Edda Kraus resi opachi dalle lacrime, pensava a quelle sue speranze, a quei suoi propositi di futile maternità. L’energia che aveva posseduto Edda e che le nasceva dall’idea di poter fare qualcosa prima di morire, dare la vita a un bimbo, era assurda, demente, eppure… era bella. Bella.

Il giovane dai capelli bianchi si sedette, lo scompartimento del treno era ancora vuoto, nessun viaggiatore aveva voluto sedere accanto a quel tipo nervoso, che borbottava e si grattava. Il fischio del treno lacerò la campagna che annegava nelle risaie, sulla distesa d’acqua irrigua vide sollevarsi all’unisono i volti d’una lunga schiera di lavoratrici, il nero dei loro cappelli divenne il bianco dei visi. Una serie di lampadine spente, accese, spente.

Andrea Kraus era il pensiero di sottofondo che lo tormentava, era quel nome che nascondeva una verità che gli si rivelava per la prima volta: mai prima di allora si era reso conto che il Quotidiano di Regime prevedesse le nascite oltre che le morti. Le nascite. Nessuno mai glielo aveva rivelato, neppure ai corsi di Destino dell’ultimo anno di scuola. Forse nessuno lo sapeva.

Eppure era evidente, il Regime prevedeva una gravidanza non ancora in essere: sapeva che Edda avrebbe partorito mentre lei non era ancora stata fecondata. E per di più era previsto anche il nome che la donna pensava di dare al figlio.

Il Regime sapeva tutto. Certo, esistevano anche le morti impreviste, erano pubblicate sull’occasionale pagina delle Fatalità, più che altro suicidi, ma il fatto che il Regime conoscesse la data di morte di una persona non ancora concepita nel ventre di sua madre era sconvolgente.

Il giovane era perso in pensieri circa la fecondazione delle donne quando la porta scorrevole dello scompartimento si aprì con fragore ed Edda Kraus entrò sorridendo. Il suo dito indice puntava al Quotidiano abbandonato sui sedili:

- Quello non è mio figlio! Quello è un altro Andrea Kraus!

Il giovane dai capelli bianchi ebbe un sussulto, non riusciva a controllare gli stati d’animo, la cosa era evidente. Il quieto distacco e l’indifferenza acquisiti in anni di studi superiori lo stavano tradendo: