Non c'è verso: un robot senza l'aspetto umanoide non è un robot. Discendendo direttamente dal paradigma "creato a immagine e somiglianza", che tecnologicamente fa innalzare l'uomo al rango di un dio dispensatore di vita, l'immagine che noi esseri umani abbiamo del robot è qualcosa di radicato in maniera talmente ancestrale, che anche il progresso tecnologico è costretto a farci i conti. I computer, anche i più intelligenti -pensate un po' ad Hal 9000-, non saranno mai dei robot. Il robot, per definizione, è antropomorfo. Il robot, prima ancora di pensare, deve saper camminare. Non rotolare. E nemmeno strisciare o gironzolare a quattro zampe. Niente ruote, rotelle, cingoli, cinghie, sfere o altri surrogati per muoversi, dunque. Ma due vere e proprie gambe per muoversi in posizione eretta. Naturalmente, rispetto al problema di costruzione di un robot, si tratta di un punto di vista come qualsiasi altro, ma è quello che ci interessa maggiormente, perché è quello dal quale i tecnici della Honda sono partiti ormai quasi vent'anni fa e che oggi, in ASIMO, ha raggiunto risultati stupefacenti. A parte l'evidente intenzione di celebrare il celebre capostipite letterario del robot moderno, ASIMO significa infatti Advanced Step in Innovative MObility (lett. Stadio avanzato nella mobilità innovativa) e costituisce forse l'esempio più sofisticato di tecnologia applicata alla robotica umanoide che ci sia attualmente in circolazione, o per lo meno di cui sia giunta notizia al grande pubblico.

Un passo alla volta

L'avventura della Honda nel campo della robotica umanoide inizia intorno al 1986, quando la casa giapponese decide di inaugurare un nuovo settore di ricerca e sviluppo dedicato appositamente alle applicazioni antropomorfe della robotica. Partendo dalle sofisticate competenze tecnologiche sviluppate nella robotica impiegata nelle grandi catene di montaggio delle fabbriche di automobili e motociclette, la Honda si confronta con il problema "robot" da un punto di vista originale. Il progetto della Honda non focalizza i suoi sforzi sul riconoscimento degli oggetti, sulla capacità di rispondere a domande, o sull'apprendimento intellettivo, bensì sul movimento. Per l'essere umano camminare è una delle attività più semplici, poiché acquisite fin dalla primissima infanzia a livello istintivo, ma coinvolge il controllo di un numero di variabili talmente elevate che la versione artificiale di due gambe che camminano ha avuto bisogno di quasi venti anni per trovare un'espressione soddisfacente.

Viene a questo punto da chiedersi il motivo per cui la Honda abbia voluto percorrere questa strada, cominciando forse da una delle cose più difficili, quando avrebbe potuto privilegiare aspetti diversi e, per certi versi solo apparentemente più stimolanti, come la visione o l'intelligenza artificiali. Ebbene, la risposta è semplice. La Honda ritiene che se entro la fine del XXI secolo esisterà una macchina in grado di cooperare con l'uomo e vivere in armonia nella società degli uomini (e gli scienziati della Honda ne sono convinti), questa dovrà avere il più possibile l'aspetto di un essere umano. E questo non solo per una questione di natura psicologica, ma per mera praticità.