Nel 2001 usciva nei cinema Final Fantasy, film tratto da una fortunatissima serie di videogame nata nel 1987 e che ad oggi conta ben 13 capitoli. Benché l’ispirazione al videogioco fosse in realtà molto vaga, il risultato fu in qualche modo emblematico. Da una parte, infatti, c’era un videogioco che aveva negli anni saccheggiato dal grande contenitore di idee e immagini della fantasy e della fantascienza, all’interno della solida cornice del misticismo giapponese. Dall’altra un film che non soltanto riprendeva quegli spunti ma ne aggiungeva altri (il tema del pianeta vivente, ad esempio) e al contempo cercava di dire la sua anche nel mondo videoludico, attraverso un esperimento di film completamente in computer grafica che rendeva incerte le barriere tra i due media.

Tuttavia, alle spalle di quell’esperimento – che poi non ebbe alcun riscontro favorevole nel pubblico e nella critica – c’era già una lunga storia. Forse la data pionieristica può essere  indicata nel 1977, un anno storico per la fantascienza cinematografica perché vedeva l’uscita nelle sale di Guerre stellari. George Lucas è stato senza dubbio il primo film-maker a fondere le realtà – o meglio le finzioni – di cinema e videogioco. Non soltanto perché anticipò prima di tutti il ruolo fondamentale che la computer grafica avrebbe avuto nella realizzazione dei film futuri, ma anche perché nella sceneggiatura stessa del film inseriva elementi che egli traeva dalla propria giovanile esperienza nel mondo dei videogiochi. Sul finire degli Settanta il videogioco non era altro che un cassone in un bar, del tutto privo delle esperienze di immersione che l’evoluzione attuale garantisce al giocatore. Ma sin da allora Lucas sapeva che quella era una frontiera da conquistare, fondendo quei due "media del futuro" in uno solo: se ne rendeva conto Marco Consoli in un illuminante saggio, Dal sogno di una galassia lontana alla premonizione di un futuro digitale (in Guida completa a Star Wars, Elle U Multimedia, 1999): la lunga corsa di Luke nel canalone centrale della Morte Nera con l’obiettivo di centrare il reattore principale è un topos dei videogame di quegli anni; lo stesso computer primitivo con cui Luke si fa inizialmente aiutare per "vincere" ha un grafica identica a quella dei videogiochi dell’epoca. E seguiranno tanti altri spunti: dalla battaglia di Hoth contro i grossi camminatori imperiali alla corsa con i podracer, fino ad arrivare alla scena tratta dai "platform" più classici con Anakin e Padmé che sfuggono alle trappole del nastro trasportatore della fabbrica geonosiana.

Dall’analisi di questi due esempi si può far dipartire una categorizzazione: da una parte abbiamo infatti quei film che parlano dei videogiochi, ossia che ne sfruttano i meccanismi, l’immaginario che li sottende, l’impatto sociale, la carica futuristica insita anche nel più banale prodotto. Dall’altra abbiamo, invece, i film tratti dai videogiochi, che coprono una vistosa mancanza di idee tramite lo sfruttamento di trame già pronte che, non più ispirate ai “vecchi” romanzi, cercano di trarre ispirazione dai nuovi prodotti consumati dal loro pubblico potenziale. Si tratta soprattutto di una differenza qualitativa: i film del primo tipo sono importanti indicatori dell’epoca in cui sono realizzati, rappresentano spesso una riflessione socialmente stimolante e conducono anche interessati esperimenti di proiezione nel futuro del ruolo dei videogiochi nella struttura sociale. I film del secondo tipo sono per lo più banali operazioni di marketing, in molti casi flop al botteghino e anche in quei rari casi di successo (Tomb Raider o Resident Evil) non lasciano traccia nella storia del cinema e non aumentano il fascino dei videogame da cui sono tratti, che almeno rispetto ai loro emuli sul grande schermo possiedono una carica di originalità in più.