Delos 28: L'avventura di Ucronia a cura di

Luigi Pachì

intervista

con marco crespiatico

Tra il 1986 e il 1988 visse la sua avventura "Ucronia", una delle tante imprese editoriali di fantascienza sfortunate, ma, almeno nella serie che arrivò nelle edicole con tre numeri, forse una delle migliori. Una rivista a tutto campo: cinema, letteratura, fumetto, che fu la prima tra l'altro a portare in Italia William Gibson e Lucius Shepard. Ne ripercorriamo la storia col direttore, Marco Crespiatico.

Delos: Marco, quando hai cominciato ad avvicinarti alla SF e cosa hai trovato di così particolare in questo genere?

Crespiatico: Diciamo verso i 12-13 anni. Il mio primo acquisto fu, se non vado errato, I Robot di Isaac Asimov, seguito subito dopo dalla trilogia galattica dello stesso autore e da Universo di Heinlein. In quel momento ero molto affascinato dall'astronomia e mi interessavo a tutto ciò che aveva seppur vagamente un minimo di "sapore di stelle". Dall'astronomia alla fantascienza tecnologica il passo è stato breve. Dopo una scorpacciata di un paio di anni di astronavi e pianeti (compreso qualche nefando acquisto, tipo la trilogia di Aarn Murno) c'è stata la scoperta di Robot, rivista che è stata a lungo il mio personale punto di riferimento, e quindi della fantascienza sociologica.

In realtà, a voler ben vedere, in quegli anni eravamo in piena new wave, ed io mi sentivo come se dovessi recuperare in un colpo solo tutti gli anni perduti; divorai Simak, Sheckley, Silverberg, fino ad arrivare, al ritmo di due-tre romanzi al giorno, ad Ellison, Disch, Malzberg ed infine a Philip Dick. Devo dire che avevo una vera e propria adorazione per Dick e certo in quel momento nessuno avrebbe mai immaginato la sua precoce fine, né peraltro il suo parziale ma postumo successo grazie a Blade Runner.

Probabilmente ciò che più mi colpì della SF era il senso di libertà che riusciva spesso a comunicare; che poteva essere sia libertà dal punto di vista degli "spazi aperti", sia dal punto di vista letterario, questo soprattutto con gli autori degli anni settanta. In certi momenti mi sembrava che gli scrittori di fantascienza fossero gli unici a parlare in un certo modo di problemi come l'inquinamento o la sovrappopolazione.

Naturalmente non era affatto così, ma i troppo appassionati sono spesso poco obiettivi riguardo il mondo che li circonda (e questa è una lezione che avrei appreso a mie spese più tardi).

Delos: Come è nato il progetto Ucronia e quali erano i punti di forza e di debolezza della testata?

Crespiatico: Beh, l'entusiasmo è stato il principale "colpevole". Assieme ad un caro amico, nel periodo delle scuole superiori ci iscrivemmo ad un club di fantascienza di Milano, che peraltro ben ricorderai [il club City, N.d.r.]. In quel momento i racconti di Asimov sugli appassionati statunitensi e sulle loro prime convention sembravano materializzarsi davanti a noi. Le idee certo non mancavano allora, tanto che nel giro di un paio d'anni nacquero dal nulla quattro o cinque "fanzine".

Da quelle prime esperienze "letterarie" nacque la volontà di provare a fare qualcosa di più.

Il mondo degli appassionati di SF, infatti, ci apparve, man mano che passava il tempo, un po' come in una gabbia dorata. Assieme ad altri 3 amici tutti convinti dell'inutilità di questo "ghetto" provammo a fare il grande passo: la creazione di una casa editrice con il preciso obiettivo di creare una nuova rivista di fantascienza italiana e di portarla in tutte le edicole.

Purtroppo non solo non avevamo una lira, ma nessuno di noi aveva la minima esperienza del "vero" mercato editoriale e procedemmo quindi con grande entusiasmo e con altrettanta approssimazione. Raccogliemmo qualche milione, abbastanza sì e no per un paio di numeri, e ci buttammo nell'avventura senza nemmeno un piano editoriale degno di questo nome. Il tempo di fare tre o quattro numeri un po' confusionari e perdemmo per strada due dei quattro soci.

Fu allora che riprogettammo la rivista per una seconda serie di numeri che, nelle nostre intenzioni, non avrebbero potuto che essere un sicuro successo.

Così non fu, naturalmente, ma rimango convinto che l'Ucronia di quel periodo fu, tutto sommato, una buona rivista. Aveva un buon look, degli ottimi collaboratori e soprattutto una idea dietro. Le nostre scarse finanze la rendevano però in perenne bilico e bastò una litigata tra noi due soci rimasti per seppellirla del tutto.

Delos: Come vi siete suddivisi il lavoro?

Crespiatico: Nei primi tempi, quelli della cosiddetta "prima serie", ci davamo da fare un po' tutti, università permettendo. Ci si ritrovava di sera presso un amico tipografo e si cominciava ad imparare cos'erano i caratteri, i corpi e le interlinee. Non avevamo un grafico (e si vedeva) così facevamo tutto noi. Raccoglievamo qualche racconto nell'ambito degli appassionati di SF e cercavamo di "condirlo" il meglio possibile.

Nei numeri successivi, invece, rimasi da solo a gestire la rivista (il socio rimasto si occupava più della parte amministrativa e degli altri progetti della casa editrice). Decisi quindi di indirizzare la rivista verso le nuove tendenze letterarie che si stavano formando, come i cyberpunk e i neo-romantici.

Il numero-tipo procedeva più o meno così: buttavo giù un primo menabò di cosa volevo che ci fosse sul numero e quindi partiva la corsa; prima da Piergiorgio Nicolazzini, preziosissimo nell'aiutarmi a scegliere i racconti stranieri che venivano poi portati a Nicoletta Vallorani che si occupava di tradurli (per due lire); appena la prima pagina era tradotta, glie la sfilavo di mano per portarla al buon Giuseppe Festino che si occupava delle illustrazioni, così come se ne occupava ai tempi con Robot. Più o meno contemporaneamente Sergio Giuffrida mi sottoponeva gli articoli sul cinema di SF, con la solita dovizia di foto, che provvedevo a passare al fotolitista. Tutti i testi, compresi quelli degli eventuali racconti italiani e delle recensioni, venivano poi passati alla fotocomposizione che faceva le famigerate "strisciate" che provvedevo ad impaginare. Pellicolato e stampato il numero, l'ultima fase, molto delicata, era dal distributore con cui pianificavo dove mandare le copie; avevamo infatti preparato un piano distributivo "stagionale" che prediligeva non solo le grandi città o le sedi di club di fantascienza, ma anche le stazioni turistiche; così d'inverno andavano più copie a Madonna di Campiglio e d'estate c'erano più copie a Rimini, per esempio.

Delos: Se non ricordo male ti sei anche occupato di ricercare testi di autori stranieri di SF da importare sul mercato nazionale per Ucronia. Come ti eri organizzato?

Crespiatico: La scelta degli autori stranieri dipendeva da una serie di fattori: in genere erano racconti che Piergiorgio o io avevamo letto nei mesi precedenti su qualche rivista, tipo Analog o la IASFM e in qualche modo ci avevano colpito (o erano stati finalisti o vincitori di qualche premio, come il Nebula); trovato un paio di buoni racconti bisognava cercare chi fossero, se c'erano, i loro distributori italiani o europei, per poterli pagare e ottenere quindi i diritti di pubblicazione. A volte capitava che fossero autori non ancora conosciuti e in quel caso si contattava direttamente l'editore americano o l'autore stesso, come è stato con Kim Stanley Robinson che è venuto a trovarci in Italia durante una convention.

Delos: Il primo racconto in assoluto di William Gibson apparso in Italia lo si deve proprio a Ucronia. Per quale ragione venne scelto proprio Gibson? Ti saresti mai immaginato la sua esplosione e quella del "cyberpunk" dopo poco tempo dal suo esordio sulle pagine della vostra rivista?

Crespiatico: In tutta onestà sarebbe stato impossibile prevederlo, così come certo non si poteva immaginare la crescita di tutto ciò che è "cyber". Andando "a naso" a noi sembrò un ottimo autore, e come lui Lucius Shepard ed altri che non feci in tempo a proporre. Alcuni di questi scrittori anche all'estero apparvero su pubblicazioni che erano poco più che delle fanzine e certo avrebbero meritato altrettanta fortuna di Gibson.

Delos: Ucronia, versione edicola, aveva un lay-out molto bello e accattivante. Chi lo realizzò? Si trattava già di un prodotto in Desktop Publishing oppure era un lavoro tipografico?

Crespiatico: La grafica degli interni e soprattutto della copertina (parliamo della cosiddetta "seconda serie") la commissionammo ad un grafico, Oscar Biggiogero. Purtroppo per me che mi occupavo di impaginarla veniva fatta in fotocomposizione, anche se nel 1988 ci comprammo un Apple Macintosh (e sicuramente eravamo fra i primi ad usarlo), apposta per poterla impaginare da noi e ridurre quindi i costi di fotocomposizione. Ti dò un'anteprima postuma: la terza serie di Ucronia, che non è mai nata, ma che avevo in parte riprogettato per affrontare meglio la "bagarre" dell'edicola, sarebbe stata interamente realizzata in Desktop Publishing.

Delos: Quali sono stati i primi problemi che avete dovuto risolvere nel realizzare una rivista distribuita nelle edicole nazionali?

Crespiatico: Vedi, il mondo della distribuzione in edicola ci era totalmente sconosciuto, così come ci erano sconosciute le sue leggi. I primi problemi nacquero con lo scoprire la parte, diciamo così, legale: autorizzazioni, registrazioni, eccetera. In secondo luogo, l'edicola ha le sue regole per quanto riguarda la leggibilità della testata o il posizionamento della rivista rispetto alle altre: spesso ci capitò di vedere Ucronia fianco a fianco con riviste di Astrologia... Una sorpresa favorevole fu, devo dire, la disponibilità del distributore a venirci incontro, mentre i tempi tecnici per avere i primi responsi (3 numeri) furono una amarissima sorpresa.

Delos: Quante copie si vendevano e quante invece se ne sarebbe dovute vendere per raggiungere almeno il break-even?

Crespiatico: Ucronia veniva stampata in circa 5/6.000 copie, di cui poche centinaia restavano da noi per gli ordini e i pochi abbonati ed il resto andava dal distributore nazionale. Di queste ne vendevamo circa 1/3 con un break-even al 50%. Al contrario di altre testate fallite, Ucronia non fece il massimo del successo all'inizio per poi scemare, anzi.

Considerando che partimmo praticamente senza pubblicità, il trend era leggermente in salita. Alla fine perdevamo non più di uno-due milioni a numero; bazzecole, con un budget a disposizione che avesse coperto i primi numeri e ci avesse permesso di assestarci e di pubblicizzarci. Così non fu, ma saremmo comunque riusciti a tirare avanti ancora per un po' in attesa di una probabile crescita, se non avessimo rotto la società per tutt'altri motivi.

Delos: Cosa ricordi con più soddisfazione di quel periodo?

Crespiatico: Sono convinto che i bilanci sul passato non vadano mai fatti, comunque direi che ricordo con piacere gli amici conosciuti in quel periodo e non posso dimenticare che la mia attuale posizione di consulente su piattaforma Apple Macintosh nasce da allora. Certo alcune delusioni hanno lasciato profonde ferite.

Delos: Dopo l'esperienza di Ucronia ti è mai più passato per la testa di continuare ad occuparti di fantascienza?

Crespiatico: Vorrei dirti di no, ma non è la completa verità. E' vero che ho avuto un rigetto nei confronti della fantascienza (peraltro l'unica incolpevole) e soprattutto nei confronti del fandom (questo sì, in parte colpevole) ma è anche vero che ognuno di noi, e io non faccio eccezione, ci tiene a non lasciare "conti" in sospeso. Comunque, e ti lancio un'altra esclusiva, la mia rivincita nei confronti dell'edicola potrebbe non tardare ad arrivare, anche se all'inizio non si tratterà di fantascienza.

Delos: Che rapporto hai oggi con la SF?

Crespiatico: La conosco poco. L'overdose degli anni passati ha lasciato il segno. Inoltre il mio lavoro e i miei interessi mi lasciano poco spazio per la narrativa, di qualunque tipo si tratti. Ogni tanto mi "concedo" un romanzo pescandolo a caso dai centinaia accumulati a casa e magari mai letti.

Delos: Se Ucronia potesse uscire oggi per la prima volta, considerando il successo di serial tv quali X-Files, Star Trek, il successo di film di SF come ID4, Mars Attacks!, Star Wars Special Edition, ecc., credi che avrebbe maggiore fortuna di allora?

Crespiatico: Non so, penso che avrebbe un look diverso... ma non sarebbe cambiato molto, perchè con lo stesso budget il problema sarebbe rimasto: nessuno sapeva che la rivista esisteva e nel frattempo non mi sembra che l'italiano medio abbia "scoperto" le riviste in edicola; il mercato è saturo e bisogna attirare l'attenzione dell'acquirente in qualche modo, ora più che allora.

La nostra idea, inoltre, non era quella di fare una rivista "d'onda", che seguisse la moda finché tirava e poi basta, bensì quella di una rivista stabile negli anni che potesse diventare un punto di riferimento per gli appassionati italiani di SF desiderosi sia di leggere buoni racconti (o romanzi) sia di essere informati su tutto quello che li potesse interessare nel settore.

Certo oggi non ci mancherebbe la tecnologia per editarla.