Attenzione: questo articolo contiene pesantissimi spoiler sulla stagione finale di Lost. Chi fosse in attesa di vederla sulla Rai è pregato di leggerlo, così saprà tutto all'istante e si risparmierà vari mesi di inaudite sofferenze.

I due colpevoli: Damon Lindelof e Carlton Cuse
I due colpevoli: Damon Lindelof e Carlton Cuse
Non dico di essere l'unico nel mondo intero, ma senz'altro sono uno dei pochi ad avere capito la verità vera, definitiva, su Lost. Per lo meno, nessuna delle persone con le quali mi sono trovato a parlare ha anche solo remotamente alluso alla chiave interpretativa che ci offre il senso più intimo della sfolgorante serie televisiva testé conclusasi in Italia (scrivo in data 1 giugno, il mattino dopo la trasmissione su Sky dei due ultimi episodi doppiati). E quale sarebbe questa verità? Siete curiosi di conoscerla, eh? Ve la dico o non ve la dico? Fossi un figlio di buona donna come Lindelof e Cuse, i due geniali conduttori di questa genialissima epica della fuffa (o dell'aria fritta, se preferite), impiegherei 121 articoli, rateizzati in sei anni, per arrivare a svelarvela. Ma io sono un omino assai generoso e ve la regalo immediatamente.

La verità vera, da incidere nella pietra del tempo, è che i due sunnominati signori sono sfegatati ammiratori del genio comico di Raul Cremona e hanno voluto rendergli un grandioso omaggio. Anche se purtroppo si sono dimenticati di citare il suo nome nei titoli di testa. Vabbé, succede, non si può avere tutto dalla vita. Abbi pazienza, Raul. E così adesso lo sapete. Cuntent?

Come come? Odo voci irrequiete? Non avete capito cosa sto dicendo? E avete il coraggio di lamentarvi, dopo esservi sorbiti sei stagioni tese all'unico scopo di pigliarvi per i fondelli? Okay, d'accordo, sono troppo buono. Spiegherò l'arcano. Quando uno nasce col cuore d'oro è fregato. Dunque, in una delle sue deliziose impersonificazioni, Cremona racconta la storiella del tizio che va dal medico perché afflitto da diarrea galoppante. Il medico gli dice: "Provi col limone." E il tizio commenta: "Funziona bene, però appena tolgo il limone la merda ricomincia a uscire." Adesso è chiaro? Il limone è un tappo, infilato dove tutti intuiamo. L'isola, come viene esplicitamente detto da Jacob nella nona puntata della sesta serie di Lost, una delle cose più orripilanti che l'occhio umano abbia mai veduto, è un tappo infilato nello stesso posto di milioni di miliardi di centinaia di spettatori del villaggio televisivo globale.

Fine. Tutto qui. L'intero senso dell'operazione sta nella rilettura in chiave tragica della barzelletta di Raul. È questa la straordinaria idea alla base della serie. Fantastico. Solo che Cremona impiega due minuti a raccontare, e questi disgraziati un numero incalcolabile di ore. Ve possino cecà.

Valerio Evangelisti mi ha riferito di avere letto (su Internet, ovviamente) che in America alcuni fans inferociti dagli esiti finali di Lost hanno tentato di linciare L&C. Spiace dire che non ci sono riusciti. Sarebbe stato un bell'esempio di giustizia poetica. Chi la fa deve pagare. Questi non la pagheranno, anzi avranno pure fatto un casino di soldi. Porcazza zozza. Pietà l'è morta.

È difficile, soprattutto alla mia età, andare indietro nel tempo per tanti anni in maniera del tutto lucida. Alcune cosucce le ricordo, comunque. La prima serie mi intrigò parecchio: dopo il pesantissimo battage pubblicitario di Sky, mi ritrovai di fronte qualcosa che partiva alla Robinson Crusoe e poi virava verso una variegata fenomenologia di misteri. Molto fantascientifico, molto stuzzicante. C'era solo da armarsi di santa pazienza e attendere. La seconda serie mi fece cadere le braccia e altre parti meno nobili del corpo. La pappa cominciava a diventare ripetitiva, all'incirca limitandosi a ravanare sempre più nel passato dei singoli personaggi. A me pareva che se ne fosse detto già abbastanza e che tutta quell'insistenza fosse superflua. Hmm, c'era puzza di stiracchiato, di accumulo di materiali all'unico scopo di allungare la sbroda. Andò a finire che registrai tutti gli episodi e costrinsi quella povera infelice di mia moglie a guardarli al posto mio, limitandomi a visionare quelli in cui a suo giudizio succedeva sul serio qualcosa. Pochissimi. E io cominciavo a sentirmi incazzato.

Mi ripresi brillantemente con la terza e la quarta stagione, dal ritmo sostenuto, con una moltiplicazione di enigmi (nonché di parti in gioco, quasi a portare l'isola ai limiti del sovraffollamento) che erano ottima biada per un antico appassionato di sf. Il mostro di fumo, la Dharma, gli Altri, gli spostamenti spaziotemporali dell'isola... Wow. Tanto di cappello.

La quinta serie segnò l'inizio dell'incazzo definitivo, irreversibile: una pacchiana sfilza di salti avanti e indietro nel tempo, con lampi in cielo. Un continuo inseguirsi di personaggi che non potevano ritrovarsi perché prigionieri di sequenze temporali diverse. E una quantità sempre decrescente di eventi significativi, perché tutto era un giochino masturbatorio di corridoi temporali non comunicanti tra loro. Molto fantascienza stile anni Cinquanta, il tipo di storie che mi eccitavano come una foca in calore quando ero pupetto, solo che da allora è passato più di mezzo secolo di piscio sotto i ponti della science fiction, e insomma, magari un poco più di fantasia, no?