"It's a little bit funny/This feeling inside/Not one of those you can/Easily hide..." cantava Elton John quando era ancora capace di scrivere grandi brani come Your Song. E quella che provo è davvero una sensazione del tipo non facile da nascondere, sicché nemmeno ci proverò: torno sulle colonne dell'amata Delos dopo sei mesi d'assenza! Se qualcuno pensava che fossi andato in pensione, si sbagliava; e se qualcuno pensava che fossi morto (tocchiamo la testa di Mongini!) si sbagliava ancora di più. Perché che ho fatto in questi looonghi mesi se non lavorare, lavorare, e ancora lavorare? Accumulando un totale di circa 2.300 cartelle tradotte, per non parlare di altre cose?

La ferale "Operazione Culo Rovente" è iniziata in dicembre con un legal thriller tradotto per Sonzogno, Life Sentence, uscito da poco in Italia col titolo La lettera. L'autore, David Ellis, è un giovane avvocato di Chicago che due anni fa ha vinto in America l'ambitissimo Edgar Award col suo romanzo d'esordio, Line of Vision (L'uomo nascosto, un'altra mia traduzione). Sa scrivere con un ottimo ritmo, un'approfondita caratterizzazione dei personaggi, e poi usa il tempo presente e la prima persona, due caratteristiche che io amo molto. Consiglio entrambi i romanzi agli appassionati di gialli. In giugno ho avuto il piacere di conoscerlo a Milano, visto che era ospite del suo editore italiano per il lancio del libro: un tipo molto cordiale, affabile, con una faccia che più americana non si può. Fa l'avvocato, però scrive da quando aveva dieci anni, e dopo il successo dei primi due romanzi sta pensando di dedicarsi alla narrativa a tempo pieno. Fresco di matrimonio, al momento è in viaggio di nozze in Italia. Ciao Dave!

Poi sono passato a Joyce Carol Oates, una scrittrice che non ha bisogno di presentazioni, considerata da anni la maggior papabile americana al Nobel per la letteratura assieme a Philip Roth. Di suo ho tradotto un lungo romanzo (600 cartelle) del 1996, We Were the Mulvaneys, che uscirà in autunno presso Tropea Editore. Non conosco ancora il titolo italiano, ma credetemi, è un libro che vale la pena acquistare, leggere e rileggere. Non è fantastico, non è sf: la saga della famiglia Mulvaney, che vive in campagna nel nord dello stato di New York, nella splendida High Point Farm, circondata da animali che in queste pagine risultano vivi quanto i protagonisti umani. Chi potrà mai scordarsi il gatto Focaccina, ad esempio? E, come esclama a un certo punto Corinne Mulvaney, riferendosi a cani abbandonati dai padroni: "Ma sono umani anche loro!" Dolcissimo e verissimo, per quel che mi concerne.

Purtroppo per i Mulvaney, un brutto giorno (anzi una brutta notte) del 1976 succede qualcosa, e la famiglia comincia a disgregarsi, ad andare a rotoli... Stop. Per quanto non si tratti certo di un romanzo che ha il suo punto di forza nel plot, più di così non dirò. La storia è, a mio giudizio, un saggio sulla memoria, sugli affetti, sui rapporti umani, sulle dinamiche interne di una famiglia, il tutto illustrato con una maestria e una leggerezza che conquistano. Ahimè, è anche un libro piuttosto salato a livello traduttorio, per più di un verso, e mentre godevo nel tradurre tanta beltà, penavo anche non poco. Il risultato è che ho impiegato più del tempo previsto, una ventina di giorni o giù di lì, e quindi sono finito in ritardo con l'ultima fetta di "Culo Rovente", che era anche la più impegnativa a livello di quantità.