La scorsa volta ci siamo occupati di una scrittrice operante in un'epoca in cui la fantascienza era, o sembrava, una faccenda da maschi. Visto che con Leigh Brackett il discorso può dirsi lungi dall'essere finito, torneremo su di esso trattando di un'altra scrittrice, se non dimenticata, quanto meno scarsamente ricordata dal grande pubblico: Catherine Lucille Moore (1911-1987). In effetti, la fortuna letteraria della Moore (va notato che per lungo tempo si firmò C. L. Moore e molti appassionati e colleghi tra cui H. P. Lovecraft ed Henry Kuttner, che furono in corrispondenza con lei, sulle prime ignorarono che si trattasse di una donna) ha dovuto fare i conti con il fatto che la Moore era sposata ad un autore di fantascienza. Anche la Brackett, coniugata con Edmond Hamilton, era nella medesima condizione, ma mentre la Brackett ed Hamilton avevano due carriere quasi totalmente separate, Catherine Lucille Moore ed Henry Kuttner stabilirono un sodalizio letterario, lavorando in coppia sotto diversi pseudonimi. Con non poco maschilismo, sino a non molti anni fa, i meriti del lavoro in comune vennero assegnati soprattutto all'uomo, tralasciando quasi l'esistenza della moglie, e soltanto negli ultimi tempi, grazie a un lavoro filofogico, si tende a restituire alla Moore un ruolo almeno paritario, quando non preminente all'interno del duo.

Raramente i racconti di esordio di un autore lasciano un particolare ricordo, ma quello di C. L. Moore fu uno di quelli che lasciano il segno. Shambleau (Classici Urania 171, Mondadori 1991), uscito nel 1933 su Weird Tales, attrasse immediatamente l'attenzione non solo dei lettori ma anche dei colleghi, ed è stato ristampato costantemente e ancora oggi è considerato uno dei più bei racconti a cavallo tra fantascienza e fantasy. E' la ripresa del mito della Gorgone, trapiantato su Marte (in realtà secondo l'autrice sarebbe nato su Marte e trapiantato sulla Terra), e dimostra che l'uso di materiali mitici non è esclusivo appannaggio di Zelazny e degli altri autori degli anni sessanta-settanta.

La seconda cosa da notare è che con il suo racconto d'esordio la Moore apriva anche il ciclo dedicato a uno dei suoi personaggi favoriti, Northwest Smith, l'esploratore avventuriero che si muove sullo sfondo di Marte e Venere. Gran parte della notorietà della Moore, ruota intorno ai personaggi di Northwest Smith e di Jirel di Joiry, protagonisti ognuno di una serie di racconti e che si incontreranno in Quest of the Starstone (La cerca della pietra stellare, in Jirel delle lande di Joiry, Tascabili Fantasy, 23 Edizioni Nord 1995) del 1937 in una sorta di cross over ante litteram.

Smith è in tutto e per tutto il pistolero solitario. Potremmo ritrovarlo in sella ad un cavallo in un film western ma potremmo altresì scoprirlo con l'impermeabile bianco con la cintura annodata, il cappello abbassato sugli occhi e la 45 sotto l'ascella. Ma sbaglierebbe chi da questa descrizione pensasse di essere di fronte al cliché dell'avventuriero spaziale, così come veniva inteso in quel periodo. Smith ha una profondità di tratto che lo stacca dal resto dei personaggi della fantascienza della sua epoca, ed anzi possiede una complessità amara che lo accosta ai detective di Hammett e Chandler. Così, in ambito completamente diverso, è per Jirel attraverso la quale, forse per la prima volta, la Moore mette in scena come protagonista una donna non relegandola al ruolo di premio per l'eroe o nelle vesti tipicamente femminili, ma tratteggiandola anzi come un'amazzone, una guerriera medievale. Infatti, sconfitta ma non domata, mortale nel suo odio, con indosso l'armatura insanguinata la troviamo nella sua storia d'esordio Black God's Kiss (Il bacio del dio nero in Il Grande Libro della Heroic Fantasy, Narrativa Nord 117, Editrice Nord) del 1934: "Era alta come un uomo, feroce come i più agguerriti tra loro, e la caduta di Joiry le aveva spezzato il cuore: per questo continuava a maledire, con un ringhio, il gigantesco conquistatore. Il viso sulla cotta di maglia non si sarebbe detto carino, con un'acconciatura femminile: ma nella cornice di ferro dell'armatura aveva una bellezza selvaggia, tagliente, acuta come il lampo delle spade. I capelli rossi sulla testa indomita erano tagliati corti; la luce gialla degli occhi emanava furore, come il crogiolo emana il calore del fuoco."