“La gente diceva che l’orcamante era arrivata a Qaanaaq su un catamarano trainato da un’orca imbrigliata come un cavallo. (…) Stringeva le dita lungo l’impugnatura d’avorio di tricheco della lancia. Era giunta a Qaanaaq per fare qualcosa di terribile, e non vedeva l’ora di iniziare.”

Inizia così La città dell’orca (Blackfish City), il romanzo del 2018 con cui Sam J. Miller è arrivato in finale ai premi Nebula e Locus e ha vinto il John W. Campbell Memorial Award, pubblicato in Italia da Zona42

Ambientato in un futuro devastato dai cambiamenti climatici, si svolge su una grande città galleggiante nell’oceano Atlantico dove le intelligenze artificiali prendono la maggior parte delle decisioni quotidiane. Un’idea innovativa, un esperimento riuscito ma anche con problematiche come sovraffollamento e deterioramento che rischiano di far naufragare tutto. I protagonisti principali sono Ankit (l’assistente di un politico che vorrebbe liberare la propria madre da dove è rinchiusa), Kaev (pugile a fine carriera, fratello di Ankit), Fill (playboy senza problemi economici ma che è affetto dal frantumo, una malattia che progressivamente sgretola i ricordi) e Soq (portamessaggi di strada dalle grandi ambizioni). La loro vita sarà messa sottosopra dall’arrivo della misteriosa donna… Miller rientra a pieno titolo nella new wave generazionale di scrittori che non hanno problemi a popolare i loro testi di personaggi LGBTQ, una cosa fino a qualche decennio fa assolutamente impensabile e che oggi invece non crea problemi nella maggior parte del pubblico.

Lo abbiamo intervistato. 

Prima di diventare scrittore chi sono stati gli autori di genere (fantascienza, fantasy, horror) che amavi?

Ray Bradbury, Stephen King e Shirley Jackson hanno avuto una grande influenza su di me quando ho iniziato a scrivere. Ma avevo dodici anni quando ho cominciato a inviare racconti a riviste (e di recente ho venduto una storia a The Magazine of Fantasy and Science Fiction dopo 28 anni!), quindi per me è un po’ difficile ricordare il prima di diventare un scrittore! Ma l'horror è sempre stato molto importante per me. Altre influenze fondamentali nel mio percorso di scrittore sono state Octavia Butler, Ted Chiang, Virginia Woolf, Isaak Babel, James Baldwin e Jean Genet.

Quando hai capito di essere gay come ti sei sentito?

Come molte persone LGBTQ+, avevo interiorizzato così tanto l'odio della società, l'omofobia e la mascolinità tossica che quando ho capito per la prima volta di essere gay, mi sono odiato e ho combattuto più duramente che potevo. Credevo che essere gay significasse una vita di miseria e solitudine e dolore. Ho preso un sacco di decisioni terribili e ho fatto molte cose di cui mi pento in quegli anni, e mi ci è voluto molto tempo per rendermi conto che essere gay è fantastico e mi dà tutti i tipi di superpoteri, inclusa la capacità di vedere attraverso le bugie del patriarcato e capire come funziona l'oppressione.

Oggi cosa ti spinge a inserire personaggi LGBTQ nelle storie che scrivi?

Come scrittore, la mia motivazione principale per includere i personaggi LGBTQ+ è il desiderio di aiutare le altre persone LGBTQ+ a vedere se stesse, a sapere che sono reali, sono valide, contano, e che è questo mondo incasinato e ingiusto che deve cambiare, non loro. Mi auguro di mostrar loro abbastanza del loro potere e potenziale per stimolarli e aiutarli a cambiare tutti i modi questo mondo terribile. È un vantaggio per me se i lettori non LGBTQ+ apprezzano il mio lavoro e ampliano i loro concetti e la loro comprensione del genere e dell'identità, ma non vorrei che il mio obiettivo fosse ‘normalizzare’ l’essere ‘strani’ (queer). Non voglio che siamo normali. Se il mondo ‘normale’ è fatto di patriarcato e razzismo, xenofobia, violenza e sfruttamento, voglio che incarniamo un mondo migliore e cerchiamo di realizzarlo.

Come in "La città dell’orca", dove una famiglia queer gioca un ruolo chiave nello spingere verso un cambiamento un mondo incasinato?

Sì, La città dell’orca riflette in parte la mia convinzione che le famiglie queer e le famiglie che ci creiamo noi stessi con gli incontri che facciamo nella vita contengano i semi di una trasformazione radicale. Costruendo e coltivando amore, sostegno e rispetto a livello personale, diamo gli uni agli altri la forza e il potere di creare un cambiamento su scala macro/politica.

In un certo senso, la fantascienza è sempre stata popolata di personaggi queer, le cui stranezze e diversità dall'essere umano "normale" sono parte del loro fascino. Pensi che a un certo livello le persone LGBTQ possano relazionarsi più facilmente con quegli "strani alieni"?

Penso decisamente che le persone LGBTQ+ possano essere facilitati nell’entrare in empatia con i mostri, i cattivi, gli emarginati, perché nel corso della storia siamo stati evitati dalla stessa società che ha evitato il mostro di Frankenstein, uccisi dalle stesse persone che hanno ucciso King Kong. E poiché la diversità / stranezza è stata così spesso codificata nella narrazione classica di Hollywood come mostruosa o malvagia, per molti di noi gli unici personaggi in cui potevamo riconoscerci erano quelli come Ursula, la strega del mare in La Sirenetta, o il Norman Bates di Psycho. Penso che la maggior parte di noi sia cresciuta sentendosi in qualche modo alieni e ‘mutanti’ in un mondo ostile, quindi penso che sia per questo che tendiamo a gravitare verso la fantascienza, il fantasy e l'horror!

Tutti generi questi, la fantascienza, il fantasy e l’horror, che Miller affronta in Ragazzi Belve Uomini, la sua recente antologia di racconti pubblicata anch’essa da Zona42. Storie di genere diverso e ambientazione varia, tra dinosauri in gabbia e case infestate, dalla Russia rivoluzionaria alle strade di New York nei giorni della rivolta di Stonewall, e che offrono al lettore anche l’opportunità di ritornare a Qaanaaq, la città dell’orca del romanzo.