I gusti hanno una componente fortemente soggettiva e quindi valore relativo, a ogni modo tra i due autori in esame l'estensore del saggio ha una leggera preferenza personale per Simak.

Clifford Donald Simak (1904 – 1988), nacque a Milville, tranquillo paesino del Wisconsin. Tale precisazione non deve essere intesa come mera informazione biografica, perché egli si sentì sempre così legato alla propria terra da ambientare molte delle sue storie nei luoghi in cui trascorse la giovinezza. Scrittore dalla prosa pulita, semplice e raffinata a un tempo, dotata di un notevole afflato poetico, mostrò più interesse per le emozioni e i sentimenti dei suoi personaggi che per le pure implicazioni scientifiche o speculative della fantascienza. Fu autore tendenzialmente ottimista sul futuro, benché pienamente cosciente dei rischi a cui l'uomo andava incontro col proprio comportamento. Giunto alla scrittura relativamente tardi, almeno in confronto a numerosi colleghi suoi contemporanei, fu forse l'unico dei grandi che nonostante il successo conseguito non volle mai divenire un professionista e continuò sempre a dedicarsi all'attività giornalistica.

Clifford ebbe un lungo apprendistato nella narrativa breve, ambito in cui divenne un maestro e a cui non smise mai di dedicare le proprie attenzioni, con esiti spesso felici. Si vedano ad esempio i due racconti meritatamente premiati con lo Hugo, il lungo e incisivo Il grande cortile, noto anche come L'aia grande (The Big Front Yard, 1958) e il corto e incantevole La grotta dei cervi danzanti (Grotto And The Dancing Deer 1963), splendidi entrambi.

E finalmente nel 1939 debuttò nelle storie a lungo respiro col romanzo Ingegneri cosmici (Cosmic Engineers), magari ancora un poco ingenuo ma in compenso assai ricco (forse pure troppo) di spunti e di invenzioni, testo importante perché anticipa sia buona parte delle successive tematiche simakiane sia molte idee altrui (ad esempio quella dei possibili futuri alternati così tipicamente dickiana è già espressa qui).

Il suo primo e forse più grande capolavoro resta City, alias Anni senza fine, uno dei testi fondamentali dell'intera storia della fantascienza. Non si tratta in realtà di un'opera unitaria, ma di una serie di racconti sviluppata nel corso degli anni '40 e successivamente collegata da una cornice comune in modo da formare un romanzo. Storia di grande e poetica malinconia sul lento, inesorabile declino della razza umana, il libro narra il progressivo spopolamento della Terra, abbandonata dalla sua popolazione in parte trasferitasi, geneticamente trasformata, su Giove e in parte, divenuta mutante, sciamata fuori dal sistema solare fino a far perdere perfino il ricordo di sé, dopo aver imparato a realizzare dei portali di collegamento con altri mondi o forse con altre dimensioni. Lo spazio lasciato libero sul nostro pianeta troverà perciò nuovi protagonisti. Dapprima sarà occupato dal binomio formato dai cani, evolutisi grazie all'operato umano, e dai robot, creati dalla tecnologia umana ma rimasti in eredità agli oramai ex animali domestici. Il suddetto binomio eleverà l'umanità a mito e nel contempo porterà la Terra, anzi, le innumerevoli Terre degli infiniti universi paralleli, a sviluppare il pieno rispetto reciproco tra specie diverse. E mentre cani e robot si trasferiranno su queste altri universi, nella Terra natale si imporrà, tanto lentamente quanto inesorabilmente, un'incomprensibile civiltà di formiche. Ma eccovi l'esemplificativo incipit di City:

Ci sono leggende che i Cani si raccontano quando le fiamme ruggiscono alte e il vento soffia da nord. Allora ogni famiglia si raccoglie intorno al focolare e i cuccioli siedono muti ad ascoltare, e quando la storia è finita fanno molte domande:

«Che cos'è un uomo?» domandano.

Oppure:

«Che cos'è una Città?»

O anche

«Che cos'è una Guerra?»

Non c'è una risposta precisa a domande di questo genere. Ci sono supposizioni, ci sono teorie e molte ipotesi piuttosto dotte, ma nessuna vera risposta. Nelle famiglie raccolte intorno al fuoco, più di un narratore di fiabe è stato costretto a ripiegare sull'antichissima spiegazione che non esistono cose come un Uomo o una Città, che non bisogna illudersi di trovare qualcosa di vero in una semplice fiaba, ma accontentarsi del piacere che essa procura e non cercarvi altro.

Questo è con tutta probabilità il libro più pessimista di un autore in genere assai fiducioso nei confronti del genere umano. Ciò si può facilmente constatare nei restanti suoi scritti, a partire dall'altra opera più nota, Oltre l'invisibile (Time And Again, 1951), uno dei romanzi più fruibili e riusciti. In un epoca futura in cui l'umanità si sta espandendo, come un virus, nella galassia, Sutton, astronauta dato per disperso e ormai ritenuto morto, torna all'improvviso dal sistema del Cigno, l'unico ancora del tutto estraneo al dominio umano. L'uomo (…) è sempre riuscito a scoprire l'ostacolo che impediva il suo cammino. Con il Cigno, invece, niente da fare. Non abbiamo potuto neanche metterci piede, lassù. Sutton, grande protagonista del romanzo, porta con sé una nuova conoscenza, appresa proprio sul Cigno, che potrebbe rivoluzionare le prospettive dell'umanità. La novità spaventa però tutti coloro che vedono l'uomo superiore a ogni altra razza, spingendoli a combatterla: sia Sutton sia il dono che egli offre dovranno essere eliminati a ogni costo. Basato su molto ben calibrati e convincenti paradossi temporali e sulla possibile alternativa, per l'umanità, o di dominio dell'universo o di convivenza paritaria tra i popoli, ribadisce appieno la filosofia simakiana già introdotta in City sulla fratellanza anche tra specie diverse.

Tuttavia è il fondamentale La casa dalle finestre nere (Way Station) alias Qui si raccolgono le stelle (Here Gather The Stars), premio Hugo 1959 e grande classico della fantascienza, a esprimere al meglio il pensiero dell'autore. Romanzo meditativo e quasi completamente privo di azione, di impostazione teatrale e di grande spessore filosofico, pur essendo conseguentemente di meno facile lettura rispetto ad altri testi, non risulta pesante ed è comunque scritto che non può essere ignorato se si vuole approfondire Simak. Raccontato per intero dal punto di vista del protagonista umano Enoch Wallace, cioè del custode dell'unico luogo di transito e collegamento sulla Terra per le altre civiltà, insomma una specie di motel per alieni, è un autentico inno all'amicizia e alla cooperazione.

Se le tre opere, qui sopra sommariamente descritte, appartengono  di diritto al periodo aureo simakiano degli anni '50 e sono da considerare i suoi massimi capolavori, nei decenni successivi il suo tema prediletto ritorna sovente e felicemente, seppur con inevitabili alti e bassi (comprendendo tra questi ultimi anche alcune avventurette di scarso spessore, tipiche soprattutto degli ultimi anni).

A personale parere di chi scrive, per inventiva e ricchezza di azione e di intensità meditativa, un altro alto è Il villaggio dei fiori purpurei (All Flash Is Grass, 1965), che pur essendo meno considerato dalla critica rispetto alle opere più acclamate, forse perché più tardo, andrebbe fatto rientrare tra i suoi capolavori ed è per giunta di assai piacevole lettura. Un mattino il protagonista del romanzo, uscito di casa con l'intenzione di prendere l'autostrada e recarsi in città, si va a schiantare in auto contro un'invisibile e invalicabile barriera, eretta tutto intorno al paese. Resta perciò intrappolato al suo interno insieme ai compaesani, mentre all'esterno il mondo si spaventa e l'esercito crea un cordone di sicurezza intorno all'enigmatico sbarramento. (Vi ricorda qualcosa questa trama? Sì, è la stessa di The Dome, che Stephen King ha con tutta evidenza scopiazzato dal grande Clifford, senza peraltro eguagliarne valore ed efficacia). Ma chi ha costruito la barriera e perché lo ha fatto? Basato, come molti dei suoi scritti, sugli universi paralleli, forse la tematica a lui favorita, è anche una delle più ambigue e originali invasioni aliene mai inventate dalla fantascienza.

Invece l'allegorico e quasi altrettanto riuscito I giorni del silenzio (Cemetery World, 1973), seguito solamente ideale de La bambola del destino (vedasi più sotto), è ambientato in un'epoca futura in cui l'umanità è sciamata nella galassia abbandonando il proprio mondo natale, abitato ormai solo da pochi e arretrati individui. La Terra porta ancora su di sé devastanti tracce di antiche e inutili guerre globali, ma essendo amata per le sue vesti di ancestrale origine dell'umanità, è stata trasformata in un immenso cimitero, a cui i ricchi tornano per esservi seppelliti. Gli interessi economici e politici della potente azienda funeraria si scontrano però con i reconditi scopi di ignote presenze, tanto ambigue quanto misteriose, e con complessi paradossi temporali, che porteranno gli incolpevoli protagonisti (tra cui un novelliere che come “macchina da scrivere” utilizza un compositore meccanico da cui è forse dominato e che porta il lettore a chiedersi se per gli scrittori esista un autentico futuro) a restare invischiati in situazioni sempre più intricate.

Meritano inoltre una segnalazione a parte e un invito alla lettura perlomeno due altri scritti. Il primo è il curioso e simbolico romanzo, invero più fantasy che fantascientifico, intitolato L'immaginazione al potere (Out Of Their Minds, 1970), in cui le creazioni della nostra immaginazione, come i personaggi dei libri, dei cartoni animati o perfino delle credenze religiose, prendono vita propria e cospirano per penetrare stabilmente la realtà e soppiantare “darwinisticamente” la razza umana come ultima e più innovativa forma evolutiva, discendente diretta dell'uomo che l'ha creata: Nella terra in cui ci trovavamo abitavano tutte le fantasie create dalla mente dell'uomo attraverso i secoli. Qui Huckleberry Finn pilotava la sua zattera lungo un fiume che non aveva mai fine, qui Cappuccetto Rosso si addentrava saltellando nel bosco, qui Mister Magoo avanzava tentoni semicieco verso le sue più illogiche e assurde avventure.

Il secondo testo degno di nota è l'originale e stringente invasione aliena soft basata su un punto debole dell'umanità, in fondo evidente eppure forse mai rilevato a dovere da altri autori di fantascienza: l'economia. Cosa accadrebbe se, proprio come si verifica in Camminavano come noi (They Walked Like Men, 1962), una civiltà extraterrestre cominciasse a rivolgerci, sotto mentite spoglie, offerte di denaro troppo generose da poter essere rifiutate, allo scopo di acquistare tutti i nostri averi immobili e ritrovarsi infine legalmente proprietaria di buona parte del pianeta?

Se le due ultime composizioni succitate, benché assai riuscite, per motivi del tutto relativi vengono considerate minori, altre a cui non abbiamo ancora fatto riferimento sono in genere inserite tra le sue opere principali pur non essendo forse altrettanto meritevoli. In primis ciò vale per L'Anello intorno al sole, (Ring Around The Sun, 1952), a personale parere di chi scrive romanzo assai sopravvalutato, che può essere considerato un po' come la versione alternativa e ottimista di City, ma che al contrario di quest'ultimo non ha retto lo scorrere del tempo. Sebbene, infatti, con la sua trama vivace, interamente basata su inspiegabili sparizioni legate, tanto per cambiare, all'esistenza degli universi paralleli, questo lavoro avesse molto colpito e affascinato l'autore dell'articolo che state leggendo quando era sui quattordici o quindici anni, riletto oggi, nello smaliziato ventunesimo secolo e in età adulta, appare davvero troppo ingenuo e puerile per risultare ancora convincente.

Altro libro di spessore discutibile è La bambola del destino (Destiny Doll, 1971), che pur avendo una storia del tutto autonoma per personaggi e ambientazione, è stato considerato dall'autore stesso strettamente legato al successivo I giorni del silenzio, rispetto al quale almeno parte della critica italiana lo considera superiore, forse perché vede in quest'ultimo, che godette peraltro di un maggior successo di pubblico, una non necessaria riproposta di tematiche. Eppure Destiny doll non regge il confronto col suo “seguito” sotto più di un aspetto. La trama del fascinoso e malinconico I giorni del silenzio, infatti, è assai più avvincente e meglio inquadrata rispetto all'altro e la stessa scrittura risulta più riuscita, evitando le fastidiosi ripetizioni e sciatterie presenti nel predecessore. “…Il luogo del nostro atterraggio sarebbe stato un villaggio. Forse uno di quei villaggi antichi, simile a quel vecchio villaggio bianco, del New England che avevo visto sulla Terra… a questo punto si era spinta la mia fantasia. Avevo ricordato il villaggio…”. Ebbene, questo breve passo è estrapolato appunto dall'incipit de La bambola del destino. Ora, è vero che nel mondo anglosassone si dà meno peso alle ripetizioni che in quello latino, ma quando è troppo è troppo: qua (complice forse anche un traduttore pigro?), la parola villaggi(o) appare ossessivamente ripetuta altre quattro volte, per un totale di ben otto in appena diciannove righe, con un effetto davvero stridente, soprattutto considerato che è solo un esempio negativo tra i tanti presenti, vedasi ad esempio l'aggettivo “bianco” o il sostantivo “montagna”, moltiplicati più avanti fino alla nausea.

Infine va aggiunto che neppure il pur valido Infinito (Why Call Them Back From Heaven, 1967) è parso al vostro deluso M.B. così riuscito e avvincente come sostenevano, tra gli altri, i curatori della casa editrice che per prima lo pubblicò in Italia, ma in questo caso senza intendere esprimere, con tale affermazione, nulla più che un sindacabilissimo parere basato solo sul gusto personale.

Sconsolata chiusura

Come purtroppo spesso accade in Italia con la snobbata fantascienza, di fatto in libreria praticamente nulla è reperibile e qualche titolo è indicato “a disponibilità limitata”, qualsiasi cosa ciò voglia dire. Unica eccezione, Straniero in terra straniera di Heinlein, presente in più di un'edizione. In compenso vari titoli simakiani sono ancora ordinabili direttamente sul sito web della Perseo Libri. Vale tuttavia la pena di cercare questi autori anche in bancarella, Heinlein tra le benemerite collane della Nord (l'elegante Cosmo oro ne pubblicò diversi titoli), e Simak tra le fondamentali collezioni Urania della Mondadori, augurandosi che, nel frattempo, la doppia ricorrenza di aprile e maggio 2018 scuota dall'apatia le nostrane case editrici.