“La schiuma dei giorni” di Boris Vian

Le faccende domestiche si rivelano sempre più fonte inesauribile di spunti di riflessione. Giorni fa, infatti, mentre spolveravo lo scaffale di una mia libreria, mi è caduto lo sguardo su un romanzo che lessi negli ultimi anni (non so determinare meglio il periodo, dato che una volta assorbita nella coscienza, il quid che mi ha lasciato una lettura, ad esempio, perdura in un eterno presente), ovvero La schiuma dei giorni di Boris Vian1. La trama, in estrema sintesi, consiste nella storia di Colin, un giovane parigino ricco e annoiato, che trascorre il tempo dedicandosi a ricette inverosimili, strimpellando bizzarri strumenti di sua invenzione, bighellonando con Chick - il suo migliore amico, un ingegnere spiantato e sperperone che ha uno strano pallino: collezionare le opere di Jean-Sol Partre. Ad un certo punto, nella vita del protagonista entra, in modo esplosivo, l'amore: l'incontro con la bella Chloé, un vero colpo di fulmine, tanto che decidono di sposarsi nel giro di pochi giorni. Al ritorno dal viaggio di nozze, però, Chloé si ammala, nei suoi polmoni si annida un male terribile... [Ometto altri particolari per evitare spoiler] Il romanzo trasuda della vita e degli ideali del suo stesso autore, ossia l’amore per la cucina, il jazz, l’estro artistico incontaminato, nonché il rancore feroce per ciò che intossica la vita (il lavoro, il produttivismo, il bigottismo, il razzismo, la guerra, l’ineluttabilità della vecchiaia e della morte, come pure le convenzioni sociali e la morale borghese, sovente al centro dei suoi impietosi sbeffeggiamenti). Proprio questo impossibile convivere di cose amate e odiate, ma inevitabili nel quotidiano, lasciano trasparire quello che superficialmente può essere definito cinismo, ma che, ad uno sguardo più attento, può essere interpretato come sguardo lucido e disincantato sulla realtà e tentativo di esorcizzarne le parti ineluttabili e più pesanti passando al setaccio del grottesco amarezza e inquietudine.

Entropia emotiva: da tecnica narrativa a potenzalità psichica

Nel romanzo citato (delicato, struggente e per certi versi spietato), tutte queste tensioni (impersonate dal protagonista e dalla sua storia d’amore) trovano un espediente narrativo simbolico di estremo impatto, che dà spunti di riflessione oltre il libro stesso. Questo il gioco: mentre appena sposati, la casa di Colin e Chloé si arricchisce di splendore, bellezza, ricchezza, si ingrandisce addirittura in stanze e oggetti in modo direttamente proporzionale rispetto al loro amore e felicità, man mano che la giovane fanciulla peggiora in salute e la tristezza diviene unica padrona, l’appartamento faraonico inizia a restringersi, decadere, imbruttirsi, svuotarsi. La forza di questo artificio, spalmato nella trama, è notevole, immediato. Esso crea un contesto onirico, di dominanza psichica, di impatto visivo, che avvinghia tra le righe e trascina nel magmatico mutare della casa stessa. Mi piace chiamare questa tecnica magistralmente utilizzata da Vian, “entropia emotiva”. Il che non significa che riguarda soltanto il contesto emozionale dell’uomo, anzi. Non so se o quanto consapevolmente, l’autore per prima cosa ci presenta senza mezze misure l’assunto che al nostro passaggio, forieri di un nostro ego personale ed energetico, modifichiamo la realtà circostante2. Questo non vale soltanto come assunto psicologico (“sono felice, vedo tutto più luminoso” o viceversa), ma quale effetto concreto che operiamo sulla cosiddetta realtà. Anzi, non solo il nostro passare, vedere, toccare fisico fa mutare ciò che ci circonda, ma grande influenza deriva dall’energia psichica da noi emanata.