E sono molti i lettori italiani che devono a Clarke la scoperta della fantascienza come genere. Basta pensare che il primo numero di Urania era proprio un suo romanzo, Le sabbie di Marte. Così come un suo racconto, I dieci miliardi di nomi d Dio,era incluso nell’antologia einaudiana Le Meraviglie del possibile, curata da Carlo Fruttero e Sergio Solmi, la prima in assoluto mai arrivata in libreria.Il lettore avvezzo alle storie di Clarke, tuttavia, non si aspetta dallo scrittore inglese la descrizione dei sentimenti, delle passioni, le introspezioni psicologiche dei personaggi dei suoi romanzi. La forza dello scrittore sta invece

Amitav Ghosh e Arthr C.Clarke a colloquio.
Amitav Ghosh e Arthr C.Clarke a colloquio.
nella grandiosità delle trame che riesce a tessere, nel saper piegare e tradurre il linguaggio scientifico che è alla base delle sue storie. Un tratto che lo accomuna a scrittori come Isaac Asimov, Fred Hoyle, Gene Wolfe, Carl Sagan, solo per nominarne qualcuno. La fiducia nella scienza, però, si mescola nelle sue opere con la riflessione filosofica e metafisica.Da questa premessa scaturisce la sua prosa a tratti didascalica e – diciamolo pure – con intenti didattici: affiora insomma nelle sue opere il divulgatore scientifico piuttosto che lo scrittore tout court. Ma resta il fatto che i romanzi di Clarke sono godibilissimi e molto più visionari di quanto si possa immaginare.

Anche Vittorio Catani, uno dei nostri grandi autori di fantascienza, sottolinea la capacità di Clarke di avvinghiare il lettore con storie ricche di immaginazione.“Personalmente, - afferma lo scrittore pugliese - rimpiango la perdita di un vero e proprio poeta della scienza, della natura umana, del laicismo. Tutte le sue opere (numerosi romanzi e numerosissimi racconti, molti di elevato livello) esprimono un anelito alla conoscenza, una tensione verso qualcosa di più grande (una sorta di religione senza divinità) capace di catapultare il lettore in una dimensione più vasta e più umana. Le sue pagine grondano insieme visionarietà e razionalità, senso del mistero, consapevolezza d’un universo sconfinato, ma anche, spesso, fiducia nell’uomo. La sua narrativa – spiega Catani - si può dividere in due filoni, non sempre distinti: storie giocate su geniali estrapolazioni futuribili ma verosimili; storie in cui la fantasia si sfrena e si mescola all’onirico. In ogni caso – conclude l’autore di Gli Universi di Moras - è stato maestro nel creare scenari inquietanti eppure estremamente fascinosi, ricchi di sense of wonder, mentre altre storie non disdegnano un gradevole humour tipicamente britannico. Addio, inimitabile Arthur: mi hai incantato e fatto sognare per mezzo secolo”.

Tra le sue opere fantascientifiche, ricordiamo almeno Incontro con Rama (Rendez-Vous with Rama, 1973), Le sabbie di Marte (The Sands of Mars, 1951), La città e le stelle (The city and the stars, 1956) e i seguiti di 2001: Odissea nello spazio: 2010: Odissea due (2010: Odyssey Two, 1982); 2061: Odissea tre (2061: Odyssey Three, 1987) e 3001: Odissea finale (3001: The Final Odyssey, 1997). Gli ultimi anni di vita dello scrittore britannico sono stati ricchi di soddisfazioni sia per quanto riguarda la sua carriera di scienziato sia per quella di scrittore, ma segnata anche da un episodio amaro: nel 1998 fu accusato di pedofilia da parte del tabloid inglese "The sunday mirror", accusa che fu comunque considerata senza basi dalla polizia dello Sri Lanka e ritrattata su carta poco tempo dopo.

Concludiamo con un ricordo dello scrittore inglese di Giovanni De Matteo, anch’egli scrittore e recente vincitore del Premio Urania 2006 con il romanzo Sezione Π2 :

“L'infinito. Un'idea che si presta a una molteplicità di approcci e per questo difficile da ridurre al dominio dell'esperienza umana. Innumerevoli autori si sono cimentati nell'impresa, ma pochi sono riusciti a scamparla. Arthur C. Clarke era tra questi. Che lo attaccasse sul fronte temporale o su quello spaziale, Clarke riusciva a riportare sull'infinito un successo tanto più eclatante in quanto frutto di un rigore e di una disciplina con pochi eguali.Nelle sue mani, l'infinito si riduceva alla componente più difficile del senso del meraviglioso, quella che deriva da una lacuna - anche infinitesima - nella comprensione complessiva di un disegno di vaste proporzioni. Pochi sarebbero disposti a scommettere sulla possibilità di conciliare le istanze della hard sci-fi con i toni della poesia, ma al padre della fantascienza tecnologica il miracolo sgorgava dalla macchina da scrivere spontaneo come le note della matematica da un'equazione. Il mistero di Rama, la sentinella monolitica posta a presidio dell'evoluzione umana, i canti remoti di una Terra perduta: nei suoi romanzi e nei suoi racconti, il piacere più grande riservato al lettore derivava sempre dalle schegge di quell'infinito che per molti resta una pura teorizzazione, ma che nelle sue mani diventava un'entità concreta, tattile, viva. Per qualche ragione incomprensibile, ho sempre associato la figura di Clarke alla versione di sé che Bowman incontra al culmine del suo viaggio al di là di Giove: un uomo più antico del tempo, in muta contemplazione del mistero indecifrabile del Monolite, come se non fosse ancora del tutto pronto per varcare l'ultima soglia.Ed è così che voglio ricordarlo, un po' egoisticamente, nella speranza che sappia trovare la pace, dall'altra parte dell'oceano dell'infinito, sulla spiaggia al termine dell'Universo”.