aneddoti di

Vittorio Curtoni

Memories of green Un mese intenso


Non sappiamo se Delos sia entrato nella storia della fantascienza italiana, ma sicuramente la storia della fantascienza italiana è entrata in Delos. Vittorio Curtoni, già direttore delle mitiche riviste Robot e Aliens - e comunque un bel po' mitico già di suo - ha accettato di portare sulle nostre pagine una collezione di gustosi aneddoti del fandom e dell'editoria italiana. Ah, per sua volontà, il sottotitolo di questa rubrica è "i farneticanti ricordi del vecchio vic". Almeno sapete cosa aspettarvi...

Io sono uno che ama pochissimo viaggiare, spostarsi. Sono il classico uccello stanziale, direi da sempre: a casa mia, in mezzo alle mie cose, mi trovo bene, avverto un senso di pace e di sicurezza. Non che soffra di agorafobia, anzi magari tendo più alla claustrofobia, ma trovo sempre faticosa l'idea di mettermi in cammino per raggiungere l'una o l'altra meta. Per buona parte è colpa, credo, della mia inveterata abitudine ai viaggi mentali, che costano niente, non richiedono sprechi di tempo, e ti portano dove vuoi senza la minima fatica. A questo va aggiunto il fatto che delle bellezze artistiche (l'architettura di una città, eccetera) assai poco mi cale; e, in quanto al fascino dei paesaggi naturali, datemi un boschetto qualunque e sarò contento.

Limiti miei, intendiamoci, ma proprio perché sono miei, chi me lo fa fare di sforzarmi per superarli? Mica mi danno il tormento. Anzi.

Però sono anche un inveterato compagnone, uno che sguazza in mezzo al casino amicale, un animale serotino, se non proprio notturno, molto portato a raduni, festival, cene conviviali. Soprattutto se e quando è il dovere fantascientifico a chiamare (mi si passi la pompa). E nel novembre scorso sono stato chiamato più d'una volta, e mi sono mosso: un mese davvero da record, per i miei standard.

L'11 novembre, per la tavola rotonda preannunciata sul precedente numero di Delos, sono stato a Camerino. Una graziosa cittadina tutta in salita (oppure in discesa; dipende dal senso del moto soggettivo; comunque io prediligo le località pianeggianti, sia detto per inciso) nella quale spiccano, per intrinseca pulcritudine architettonica, i ponteggi post-terremoto che se non sbaglio stanno lì dal 71 a.C. e ormai non si possono più levare perché fanno parte del patrimonio artistico protetto. Mirabilia dell'efficienza italica.

Il convegnetto è stato piacevolissima occasione, e mi sia concesso ringraziare Maria Concetta De Vivo e tutti i suoi fidi che hanno sfoggiato un'eleganza, un savoir faire, un senso dell'ospitalità decisamente rari. Ci avevano persino messo i regalini in camera! Oddio, non lo dovevo dire? Non so. A me è toccato un peluchone gigante che riproduce le orride fattezze di Eymerich. Era destinato a Valerio Evangelisti ma si sono sbagliati. Cose che capitano.

L'importante è lo spirito, non la lettera (come disse quel noto alcolista analfabeta).

Dopo una penosa giornata trascorsa in automobile con Claudia e Giovanni Mongini (e vorrei vederti, con quei due), Evangelisti e io siamo finalmente approdati verso le 17 al mitico luogo d'arrivo. Ci eravamo fermati a mangiare ad Ancona in un posto scelto dai Mongini, un ristorante che si chiama Il Lazzaretto (non sto scherzando; è verissimo), dove stranamente si è pranzato molto bene. Mah.

Quando Valerio è sceso dall'auto a Camerino, data la sua altezza era piegato in tre, e c'è voluto del bello e del buono per farlo tornare alla sua forma consueta. A raddrizzargli il fisico e l'umore ha contribuito l'apparizione dell'altro spettabile convegnista, Vittorio Catani, giunto da Bari tra inenarrabili patimenti ferroviari, ammompagnato, oltre che da Maria Concetta, da alcuni amici della mailing list radunati lì per l'occasione: Michele Catozzi, Lanfranco Fabriani, Maurizio Nati, e Michele "Mbeps". Una congrega di non eccessive dimensioni, ma sceltissima a livello umano e fantascientifico.

Maurizio Nati, che io non rivedevo da vent'anni, somigliava in maniera sospetta a Gianfranco Viviani, il boss dell'Editrice Nord. Barba a parte. Anzi ho i miei dubbi che quello fosse proprio Nati. Secondo me era Viviani in incognito. E' uno di quegli enigmi della storia che non verranno mai sciolti.

Ma bando alle ciance. Il cinema dove si svolgeva l'incontro era affollatissimo di persone, che però purtroppo sono fuggite quasi tutte non appena è terminata la proiezione di Matrix. Cioè prima che noialtri ci mettessimo a parlare.

Com'era ovvio e prevedibile. Imponenti assembramenti umani si sono rimaterializzati dopo la nostra concione, dandosi il caso che venivano offerti assolutamente a sbafo pastasciutta e caldarroste e vin novello. La bassezza dell'umana natura non finisce mai di stupirmi. Ah, quel porcellino del Catani portava la cravatta. Baresi, vil razza dannata.

Comunque, una quarantina di fan e senzatetto sono rimasti a sentirci parlare, e qualcuno ha anche fatto domande. Poche, perché tutti quanti non vedevano l'ora di mangiare a ufo. Sulla qualità degli interventi e delle risposte dovrebbero parlare altri, non certo io. Resta il fatto che di pomodori marci non ce ne sono piovuti addosso, ammesso che questo significhi qualcosa.

In attesa della pasta, si sono formati gruppuscoli cianciaroli; e così ho fatto conoscenza con Alberto Cola, il vincitore di quest'anno del Premio Courmayeur per un racconto di fantascienza. E' stata una cosa molto singolare. Dopo la table rectangulière, un gruppo di ragazzi si è accostato a Catani, Evangelisti e me, e si è partiti con le chiacchiere da convention. A un certo punto, questo ragazzo del quale ignoravo l'identità mi dice: "Visto che lei è nella giuria del premio Courmayeur, potrebbe dirmi com'è il livello medio dei racconti?" Io parto in quarta con uno dei miei sproloqui e arrivo a dire: "Quest'anno c'era un solo racconto veramente bello, quello che ha vinto. Era un eccellente racconto, e se non avesse vinto sarei andato a Courmayeur a combinare un macello. Gli altri rientravano tutti in una generale aurea mediocrità." Quello mi fissa intenso e mi fa: "Sta parlando proprio sul serio? E' convinto di quel che dice?" E io: "Sì, certo. Grande racconto." Allora lui mi porge la destra, commosso, e dice: "Be', grazie. Quel racconto l'ho scritto io. Sono Alberto Cola." Dopo di che, baci e abbracci: contentissimo lui, contentissimo io.

L'avessi fatta apposta, non mi sarebbe riuscita meglio.

Dopo cena ci siamo trasferiti in massa in un pub locale, dove Valerio e io abbiamo fatto a gara a chi ingurgitava più birra. Siam finiti alla pari per reciproco ko tecnico. Poi però quel malandrino mi ha fregato bevendosi un grappino al bar dell'hotel, anche se ha avuto la gentilezza di informarmene solo il giorno dopo. La serata/nottata al pub è stata molto divertente, tra battutacce più o meno amene. La cosa più dura era andare a fare la pipì, perché c'era una TERIBBILE! scala a chiocciola di quelle che ti viene il mal di mare solo a guardarle. La seconda volta io, da brava carogna, ho mandato avanti Catani, e il buon Vittorio era di un pallido...

Poi, a letto. Era quasi già l'alba. Dopo due minuti ha suonato il telefono per la sveglia. Si è fatta colazione, ci si è salutati, e Valerio e io, schiavi del rio destino, ci siamo rifiondati in auto coi Mongini per il ritorno (eseguito passando da Firenze, dove s'è mangiata una pizza, per raccattare Manuela, moglie di Giovanni). Orpo, dimenticavo di dire che i Mongini hanno regalato a Valerio e me il sesto volume della Storia del cinema di fantascienza, appena uscito: noi due abbiamo tentato per tutto il viaggio di lanciare dai finestrini le nostre copie dello scellerato tomo, ma sfortunatamente le due manovelle erano bloccate, i vetri non si abbassavano, sicché siamo stati costretti a portarci a casa gli orridi oggetti. Bleah! A Bologna ho ripreso il mio trenino. Sono arrivato a Piacenza verso le 18. Ho cenato assai parcamente. Alle 21, davanti al mio fido tv color, stavo per godermi Fuga da Los Angeles (mai visto), quando mi sono subitamente addormentato. Pure mia moglie ha reclinato il capino santo. Ci siamo risvegliati verso le 23. Abbiamo guardato per un po' uno di quei maghi che per sole 70.000 lire (massimo 80.000) promettono di farti vincere un terno secco al lotto, se mandi loro la tua data di nascita; poi ci siamo trascinati a letto.

Insomma, due belle giornate. In grande compagnia umana. Un po' faticose, a essere onesti. Sicché, se dovesse esserci una seconda edizione, mi permetto di fare una modesta proposta all'università camerinense. Anzi, una proposta biforcuta: o organizzate un convegno che dura una settimana, così c'è il tempo per riprendersi; oppure spostate Camerino a mezza strada tra Piacenza e Bologna. Mi paiono due proposte sensate. E Catani che è venuto da Bari?, mi chiederà qualcuno in relazione alla mia seconda ipotesi. Risposta: E chi se ne frega? Così impara a vivere a Bari!

Giovedì 18 novembre sono stato a Milano, alla Libreria Sherlockiana di Tecla Dozio (che molto ringrazio; l'ospitalità è stata come minimo eccellente), per la presentazione di La notte dei Pitagorici di Claudio Asciuti, il romanzo che quest'anno ha vinto il Premio Urania. Claudio è arrivato in compagnia dell'inseparabile Domenico Gallo (secondo me sono due gemelli siamesi un po' anomali). C'era ovviamente il suo agente letterario, Piergiorgio Nicolazzini, che molto si è prodigato nell'organizzazione, e i presentatori ufficiali erano Giuseppe Lippi, Riccardo Valla, e il sottoscritto.

L'affluenza di popolo fantascientifico ha assunto dimensioni epiche, da convention riuscitissima. Cito in ordine sparso, come mi vengono alla mente, i nomi dei presenti, e so già che dimenticherò qualcuno e chiedo scusa in anticipo: c'era troppa bella gente per potersi ricordare di tutti! Allora: Ernesto Vegetti, Adalberto Cersosimo, Gianfranco Viviani, Marzio Tosello, Giuseppe Festino, Laura Serra, Cristina Petri, Carlo Formenti, Franco Ricciardiello, Marco Mocchi con fidanzata, Silvio Sosio idem (solo che la fidanzata era la sua, mica quella di Mocchi), Fabio Zucchella, Claudio Del Maso, Alessandro Fambrini, Stefano Carducci, Giuseppe De Micheli, Sergio "Alan" Altieri, Franco Giambalvo, Stefano di Marino, Giuseppe Caimmi, Luca Masali.

Picchio! Chi non c'era si morda le mani.

Dopo una veloce introduzione di Nicolazzini, Giuseppe Lippi ha parlato dell'originalità intrinseca del romanzo di Claudio, opera fortemente caratterizzata dalla personalità dell'autore, e poi ha allargato il discorso ai vincitori del Premio Urania, ognuno dei quali, ha detto, segue una sua via personale, senza adeguarsi a modelli più o meno stereotipati, sicché ci sono ottime speranze per la sf italiana, e anzi più che speranze, già concrete realtà. Riccardo Valla ha invitato Claudio a contenersi meno nei romanzi futuri, a non avere paura di riversare in quel che scrive tutto ciò che gli passa per la testa e per l'anima; poi si è tuffato in una disquisizione sul finale del libro e sui finali in genere, citando in particolare Sciascia e invitando gli autori ad abbracciare il finale aperto e i lettori a non andare in cerca a tutti i costi del finale canonico che chiude definitivamente la vicenda. Io ho elogiato la generosità di Claudio nello spargere a piene mani idee, temi, invenzioni, paragonandolo in questo a Lafferty; poi, com'è mio uso e costume, ho narrato le origini della mia amicizia con Claudio, amicizia che risale al 1976, quando io facevo Robot e lui mi scrisse una lettera che mi colpì molto e gli risposi e ci conoscemmo e poi io gli pubblicai il primo articolo che lui abbia mai venduto in vita sua. Claudio, palesemente commosso e stordito, ha parlato con molta umiltà del libro e ha espresso le proprie preoccupazioni, i timori all'idea di doversi confermare all'altezza col secondo romanzo, ma Lippi e io gli abbiamo fatto presente che un ottimo secondo romanzo lo ha già pronto (quello che inviò al premio lo scorso anno), sicché semmai cominci a preoccuparsi del terzo! Gli interventi sono stati numerosi e vivaci. Da segnalare in particolare quelli di: Vegetti, che ha invitato Claudio a riprendere l'impegno (politico, esistenziale) concreto, al di là dell'attività scrittoria; Formenti, che ha lodato la sapienza sociologica del romanzo; e Gallo, partito in quarta con uno dei suoi tipici sproloqui sulla straripante generosità dell'autore. Dopo un'ora abbondante (ma si sarebbe potuti andare avanti ancora a lungo; è che si era fatto tardi) abbiamo cominciato a bere spumante ed eccellenti cocktail, a manducare gli stuzzichini portati da Piergiorgio, e poi ancora metà circa della truppa è uscita a cena in un locale vicino, disperdendosi su tre tavoli assai caciaroni. Nell'insieme, una splendida serata. Di quelle che ti restituiscono il piacere delle piccole cose della vita, ammesso e non concesso che il calore e l'amicizia di tante variegate persone siano piccole cose.



Foto di Elena Pittofrati. I diritti su testi e immagini sono riservati. E' vietata la riproduzione senza l'autorizzazione degli autori.