Quello che è cambiato, insomma, non è il modo di raccontare di Gibson, che in fin dei conti racconta sempre la stessa storia, anche se la racconta sempre molto bene, ed ha ulteriormente affinato la sua capacità di coniare frasi in grado di stamparsi a fuoco nel cervello del lettore. E' invece il nostro presente ad essere cambiato, ad essere diventato molto più simile a quello in cui nei primi anni Ottanta aveva ambientato la trilogia dello Sprawl. Ora abbiamo telefoni cellulari, computer portatili, un mondo virtuale che corre lungo i cavi di Internet e in cui, pur non immergendoci in esso con tutti i sensi come i cowboy del ciberspazio gibsoniano, ugualmente viviamo tutti in maniera più o meno costante. E si sono materializzati, purtroppo, anche gli incubi di una violenza che sfugge al controllo degli stati per tracimare in forme impreviste. L'11 settembre 2001 viene evocato direttamente nel romanzo, ma Gibson lascia ad altri la fantapolitica e le dietrologie. L'attentato alle torri gemelle diventa in Pattern Recognition il simbolo di un'insicurezza globale, di qualcosa che può colpirci senza preavviso perché non riusciamo a comprendere le forze che l'hanno generata. Chi riuscirà a riconoscere i pattern, a capire in che direzione stiamo andando, in un mondo in cui ogni cosa, anche la pace e la guerra, diventano una questione di marketing in cui l'essere e l'apparire sono indistinguibili?
Ecco dunque come il moto retrogrado della fantascienza gibsoniana, e la corsa del nostro presente verso un futuro che proprio Gibson ci ha reso familiare (ma non per questo è meno incomprensibile e spaventoso) si saldano in un effetto Vertigo. Non solo Gibson firma una delle sue opere più convincenti dai tempi di Neuromante, ma riesce a dimostrarci come la fantascienza, intesa come metodo narrativo, sia in grado di spiegarci non solo il futuro, ma anche il presente e il passato.











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